Asilo facile: sentenze assurde che possono provocare incidenti diplomatici

Ogni volta che un giudice accetta richieste di asilo poco o per nulla plausibili sta accusando uno Stato di non tutelare i propri cittadini al punto di indurli alla fuga

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migrante giudice

Accusare un governo di non tutelare i propri cittadini al punto di indurli come unica, disperata soluzione a fuggire è una questione delicata. A rischio di provocare incidenti diplomatici, l’Italia lo fa di continuo: non esplicitamente, ma di fatto, ogni volta che un giudice accetta come plausibili certe richieste di asilo e concede quindi a chi le presenta protezione internazionale (status di rifugiato o protezione sussidiaria) oppure protezione speciale (prima del 2018, protezione umanitaria).

Le sentenze: Tunisia

Il tribunale di Roma, ad esempio, il 9 luglio 2024 ha riconosciuto lo status di rifugiato a una richiedente asilo tunisina, vittima di violenza domestica da parte del compagno della madre. Con riferimento all’articolo 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) il tribunale ha stabilito che in Tunisia, nonostante l’esistenza di leggi e misure volte a contrastare la violenza contro le donne, permangono varie e sistematiche forme di discriminazione e violenza contro queste ultime e che, a fronte di numerosi e diffusi episodi di violenza domestica, lo Stato tunisino non offre una tutela adeguata.

E ancora, il 14 ottobre 2024 il tribunale di Roma ha accolto il ricorso di un cittadino tunisino e gli ha rinnovato il permesso di soggiorno in Italia per cure mediche avendo stabilito che il sistema sanitario in Tunisia non garantirebbe al ricorrente la qualità delle cure ricevute nel nostro paese.

El Salvador

Il 16 ottobre 2024 il tribunale di Milano invece si è pronunciato contro l’espulsione di un cittadino di El Salvador affetto da una patologia sostenendo che il suo paese non è in grado di offrirgli adeguato supporto sanitario prova ne sia che, nonostante una riforma risalente al 2009, la copertura del sistema sanitario pubblico rimane bassa e si è registrato un aumento della spesa a carico dei cittadini, passata da 98,15 dollari nel 2009 a 118,24 dollari nel 2021. Inoltre, sebbene la legge in Salvador proibisca la discriminazione delle persone con disabilità fisiche, sensoriali, intellettuali e mentali, tuttavia il governo non la applica e non esiste nemmeno un sistema formale per presentare una denuncia di discriminazione basata sulla disabilità.

Egitto

Sul sito web Melting Pot Europa si trovano tante altre sentenze simili, segnalate da avvocati di tutto il paese come successi della giustizia. Andando a ritroso, il 10 luglio 2023 il tribunale civile di Roma ha riconosciuto lo status di rifugiato a un cristiano copto egiziano nella convinzione che il rimpatrio lo avrebbe esposto al rischio di essere perseguitato a causa della sua fede, vista “l’assenza di protezione da parte dello Stato di appartenenza”. “Degno di nota – si legge nel commento alla sentenza – il cenno relativo alla legislazione egiziana sulla blasfemia (articolo 98 F del Codice penale), frequentemente utilizzata per arrestare e perseguire membri di minoranze religiose, tra cui cristiani”.

Pakistan

Prima ancora, e tra le tante che si possono citare, c’è la sentenza pronunciata dal tribunale di Napoli il 25 giugno 2020 con cui un cittadino pakistano ha ottenuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari dopo che la sua richiesta di asilo era stata rigettata perché “di dubbia credibilità”. Si era in piena pandemia.

“Dalle fonti internazionali consultate – si legge nella sentenza – emerge che la pandemia da Covid-19 ha assunto una situazione di rilevante gravità cui il sistema sanitario pakistano non appare capace di fare fronte”. Determinante poi si è ritenuto il fatto che il sistema sanitario pakistano “per effetto di una diffusa privatizzazione che ha consolidato un orientamento commerciale alle cure mediche” garantisce scarsi servizi sanitari ai poveri. Costringere l’uomo a rientrare in patria lo avrebbe esposto a condizioni di “estrema vulnerabilità” e il suo diritto alla salute sarebbe stato gravemente compromesso.

Bangladesh

Pochi giorni dopo, il 30 giugno, lo steso tribunale aveva concesso protezione umanitaria a un cittadino del Bangladesh in considerazione soprattutto dell’andamento dell’epidemia nel suo paese di origine. “In Bangladesh – dice la sentenza – la pandemia da Covid-19 ha colpito buona parte della popolazione”. Inoltre, “da notizie di recente acquisite, è emersa l’inadeguatezza dei rimedi posti in essere dal governo per contenere la propagazione di tale pericolosa malattia. I giornali nazionali hanno segnalato casi di persone sintomatiche (febbre, tosse) che si sono recate in ospedali e cliniche, dove non sono state ammesse essendogli stato rifiutato qualsiasi trattamento o test al virus”.

Per finire, il sistema sanitario, secondo il collegio giudicante, “è carente perché vi è mancanza di personale sanitario qualificato nel settore pubblico e l’accesso dei poveri alle cure è molto problematico, specie nelle zone rurali”.

La Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il diritto internazionale impongono di dare asilo a una persona che lascia il proprio paese per salvare vita e libertà e l’Italia estende alla tutela della salute i casi in cui concederlo. La minaccia può provenire dal suo governo oppure da altri fattori dai quali il governo dimostra di non potere o non volere proteggerla.

Le fonti dei giudici? Al Jazeera

Le sentenze citate e molte altre chiamano in causa dei governi e, va detto, spesso sulla base di documentazioni ricavate da fonti che i sociologi definiscono “non convenzionali” come ad esempio i mass media. Nel caso di un richiedente asilo pakistano, a conferma delle sue dichiarazioni è stato portato anche un documentario prodotto da Al Jazeera. Ci sono effettivamente governi che possono, e anzi devono, essere considerati responsabili: attualmente, il Sudan, il Myanmar, l’Afghanistan, il Venezuela…

Il caso egiziano

Ma in altri casi occorrerebbe assai maggiore prudenza. Ad esempio, denunciare l’assenza di protezione ai cristiani da parte del governo egiziano è ingiusto perché l’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi ha più volte dato prova del contrario.

Oltre tutto come argomento contro il rimpatrio si è citata anche la legge sulla blasfemia. In realtà l’articolo 98F del codice penale egiziano punisce “chiunque sfrutti e usi la religione sostenendo e propagandando con parole o gli scritti, o con qualsiasi altro mezzo, pensieri estremisti allo scopo di istigare sedizione e divisione o di disdegnare e disprezzare una qualsiasi delle religioni o delle sette ad esse appartenenti, o di pregiudicare l’unità nazionale o la pace sociale”. Sebbene talvolta abusata, la legge è stata pensata proprio per proteggere le minoranze religiose.

La scusa del Covid

A proposito delle sentenze citate a favore del cittadino pakistano e di quello bengalese, sono state emanate mentre in Pakistan i casi di Covid-19 erano poco più di 300.000 e i morti 6.466 su 212 milioni di abitanti e in Bangladesh i casi erano 359.000 e i morti 5.161 su oltre 164 milioni di abitanti: non esattamente “buona parte della popolazione” e, soprattutto, nel frattempo l’Italia registrava quasi 300.000 casi e 35.658 morti su 59 milioni di abitanti.

Quanto al tunisino e al salvadoregno ammalati, può darsi che l’Italia stia garantendo loro cure migliori che in patria. Per esserne certi bisognerebbe sapere, per un confronto, quanto lunghe siano nei loro paesi le liste d’attesa per effettuare esami e visite mediche (in Italia ormai mesi e persino anni) e quante persone siano costrette a rinunciare alle cure mediche perché non sono in grado di pagarle e lo Stato non vi provvede (nel 2021 quasi cinque milioni di famiglie italiane hanno rinunciato o rimandato visite mediche ed esami e la quota di spesa sanitaria a carico dei privati è in continuo aumento).

Infine, se la Tunisia “non offre una tutela adeguata” alle donne vittime di violenza tanto da decidere di concedere lo status giuridico di rifugiato a una sua cittadina, allora, e per le stesse ragioni, si potrebbe dire che non lo sia neanche l’Italia.

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