Ieri il presidente Joe Biden ha parlato per la seconda volta dell’attacco di Hamas a Israele. Un intervento reso necessario dalla notizia dei 14 cittadini americani uccisi e di un numero imprecisato ancora nelle mani dei terroristi. In sostanza Biden ha ribadito i concetti già espressi nelle precedenti dichiarazioni, ma si nota un indurimento dei toni e dello sdegno.
Forza schiacciante
Hamas paragonato all’Isis, ribadito il sostegno a Israele, con un riferimento ad un uso della forza schiacciante – quindi sì, l’America sostiene una “reazione sproporzionata” – ma anche al rispetto delle “leggi della guerra”.
Dobbiamo essere chiarissimi: siamo dalla parte di Israele. Siamo dalla parte di Israele. E faremo in modo che Israele abbia ciò di cui ha bisogno per prendersi cura dei suoi cittadini, difendersi e rispondere a questo attacco.
Ho appena parlato al telefono per la terza volta con il primo ministro Netanyahu. E gli ho detto che se gli Stati Uniti sperimentassero ciò che sta vivendo Israele, la nostra risposta sarebbe rapida, decisiva e schiacciante.
Abbiamo anche discusso di come le democrazie come Israele e gli Stati Uniti siano più forti e più sicure quando agiamo secondo lo stato di diritto. I terroristi prendono di mira intenzionalmente i civili, li uccidono. Noi sosteniamo le leggi della guerra: la legge della guerra. Importa. C’è una differenza.
Ristabilire la deterrenza
Quindi, di nuovo l’avvertimento a chiunque stia pensando di intromettersi: “Lasciatemelo dire ancora una volta: a qualsiasi Paese, a qualsiasi organizzazione, a chiunque stia pensando di approfittare di questa situazione, dico una una parola: non fatelo“.
Ben 33 mesi di appeasement, da quando la presidenza Biden si è insediata, hanno indotto Teheran a credere che gli Stati Uniti non avrebbero difeso i loro alleati e questo ha evidentemente contribuito a creare le premesse per l’attacco di Hamas, esattamente come gli errori commessi nel 2021 hanno convinto Putin di avere una buona mano per riprendersi l’Ucraina.
Sia nel sostegno a Kiev che nel sostegno a Israele l’amministrazione Biden ha reagito, ma ciò non toglie che l’indebolimento della deterrenza Usa ha portato a queste due guerre.
Ora, in gran fretta, si corre ai ripari, cercando di ristabilire una deterrenza credibile. A parole, minacciando un intervento diretto in caso di intromissioni, e con i fatti, inviando la portaerei Gerald Ford, e pare una seconda portaerei, nel Mediterraneo orientale, per “dissuadere le potenze regionali dall’entrare in guerra”. Ci auguriamo che basti.
Iran innominabile
Ma la parola I-R-A-N alla Casa Bianca non riescono nemmeno a pronunciarla, sembra bandita. E se Biden non menziona ancora l’Iran, se non nomina nemmeno Hezbollah come obiettivo, se dovesse attaccare Israele, se non ricongela i 6 miliardi di fondi israeliani in Qatar, se non ritorna ad applicare le sanzioni in modo stringente, insomma se non mostra agli iraniani una immediata inversione di rotta, a 180 gradi, della sua politica nei loro confronti, il rischio è di inviare ancora una volta il messaggio sbagliato a Teheran e di non riuscire a ristabilire la necessaria deterrenza.
La parola “Iran” bisogna cavarla dalla bocca. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha confermato la linea: l’Iran è complice di questo attacco in senso lato… per il sostegno ad Hamas in passato, ma non abbiamo conferme del coinvolgimento dell’Iran in questo attacco. Da notare però che Sullivan ha tenuto a sottolineare “in questo preciso momento” non abbiamo conferme, ma continueremo a confrontarci con gli israeliani e a guardare nella nostra intelligence.
Quando una giornalista gli ha chiesto se il sostegno di Teheran ad Hamas che aveva appena descritto fosse una ragione sufficiente per ri-congelare i 6 miliardi di fondi iraniani sbloccati in Qatar, dato che l’amministrazione sostiene che in qualsiasi momento gli Usa possono bloccarli, se vedono che prendono una direzione sbagliata, Sullivan ha risposto che “non un solo dollaro è stato speso” e che non ritiene di bloccarli. Il che è talmente illogico da dubitare che gli Usa abbiano davvero il potere di ricongelarli, contrariamente a quanto è stato assicurato.
Il segretario di Stato Antony Blinken ha reso noto che si recherà domani a Gerusalemme, dove forse gli israeliani gli mostreranno le prove, visto come ha risposto ieri su X il profilo ufficiale di Israele all’ennesima minaccia dell’ayatollah Khamenei: “Voi e i vostri amici di Hamas vi pentirete molto presto delle vostre azioni barbare”.
Non ha paura di nominare il regime iraniano l’ex segretario di Stato Mike Pompeo: “L’Iran ha diretto l’uccisione di almeno 11 americani. La nostra risposta non dovrebbe essere rivolta solo ai proxies iraniani: dovrebbe essere rivolta direttamente ai terroristi iraniani che hanno condotto questo attacco”.
Depistaggio
Sembra che la direttiva interna all’amministrazione Biden sia “non menzionare l’Iran, ad ogni costo”, usare l’espressione “altri attori statuali”, allontanare il più possibile Teheran da questo attacco.
Il Team Biden non sta cercando prove del coinvolgimento dell’Iran, le sta nascondendo. E d’altra parte, molti sono gli stessi del depistaggio di Bengasi, quando l’attacco militare jihadista in cui fu ucciso l’ambasciatore Stevens fu presentato all’opnione pubblica come una protesta spontanea dei libici per un video anti-islamico pubblicato in America.
Eppure, le prove del coinvolgimento iraniano sono (e anzi erano) ovunque, come dimostrano i segnali colti dal Memri fin dal 31 agosto di cui ci occupiamo oggi.