Dovrebbe suscitare un certo imbarazzo l’accordo concluso dall’amministrazione Biden con il regime iraniano ad agosto. Ieri la notizia che il Dipartimento di Stato ha sbloccato 6 miliardi di asset iraniani, che erano congelati in alcune aziende sudcoreane a causa delle sanzioni. I fondi potranno quindi essere trasferiti in banche qatariote e tornare di fatto nella disponibilità di Teheran.
In cambio, l’Iran accetta di non superare il 50 per cento nell’arricchimento di uranio, processo imprescindibile per dotarsi della bomba atomica. Inoltre, i due governi si sono impegnati al reciproco rilascio di 5 prigionieri, membri dell’Intelligence accusati di spionaggio.
Un accordo che ancora una volta, come già nel caso del JCPOA stipulato nel 2015 da Barack Obama, viene concluso scavalcando il Congresso, al quale spetterebbe la ratifica. Una ratifica che, come nel 2015, difficilmente sarebbe stata concessa, non dai Repubblicani e forse neanche dalla totalità del Partito Democratico.
La scelta dell’amministrazione Biden non rappresenta un fulmine a ciel sereno: per anni abbiamo denunciato la pericolosa ripresa dei rapporti tra Washington e il regime degli ayatollah, a discapito delle relazioni con la strategica Arabia Saudita e l’alleato storico nella regione, Israele.
Droni iraniani alla Russia
Tuttavia, oltre alla repressione in corso in Iran e alle attività destabilizzanti del regime in Medio Oriente, e alla sua totale e dimostrata inaffidabilità sul programma nucleare, ulteriori ragioni in questo momento evidenziano la pericolosità e l’assurdità di un accordo con Teheran: il sostegno politico e militare alla Russia nella guerra contro l’Ucraina, anche attraverso l’invio di armi a Mosca.
Dopo aver negato ogni coinvolgimento, lo stesso regime iraniano ha dovuto ammettere la fornitura di droni Shahed 136 e altre attrezzature belliche alla Russia, dopo la denuncia di Kiev accompagnata da prove evidenti del loro utilizzo, anche sulla popolazione civile. Droni che quasi quotidianamente vengono lanciati sulle città ucraine.
L’ipocrisia Dem
Ad ulteriore prova dell’ipocrisia dei Democratici, proprio in questi giorni Elon Musk viene criticato per la scelta di negare l’utilizzo del sistema satellitare Starlink all’esercito ucraino intenzionato, nel 2022, ad attaccare la flotta russa nel Mar Mero. Un’azione che avrebbe permesso a Kiev di colpire con efficacia il proprio invasore. L’accusa dei Democratici al patron di X è di aver indirettamente favorito la Russia e quindi l’aggressione ai danni dell’Ucraina.
Ma un identico e forse più grave risultato può essere prodotto dall’allentamento di fatto delle sanzioni all’Iran: il sollievo finanziario potrà consentire a Teheran di incrementare la produzione di armamenti per Mosca da usare sul campo di battaglia o direttamente contro i civili ucraini.
Con la decisione dell’amministrazione Usa, inoltre, viene trasmesso il messaggio che si possono stringere accordi e attuare un disgelo nelle relazioni anche con Paesi impegnati a colpire direttamente gli alleati dell’Occidente (nel caso dell’Iran, Kiev e Gerusalemme).
Con ogni probabilità, il presidente americano ignora o sottovaluta le potenziali conseguenze della sua scelta. Innanzitutto, le possibili frizioni diplomatiche con Kiev. Proprio nei scorsi giorni il presidente Zelensky aveva denunciato alcune lacune nella morsa delle sanzioni varate dall’Occidente a danno di Mosca e dei suoi partner criminali.
Probabilmente, un avviso rivolto anche alla Casa Bianca, intenta da mesi a rilanciare il vecchio accordo con Teheran sul nucleare, con la mediazione di alcuni Paesi europei. Non a caso, è la stessa Russia a trarre giovamento dall’allentamento delle sanzioni all’Iran.
Inaffidabilità sul nucleare
In secondo luogo, Biden sottovaluta la totale inaffidabilità del regime iraniano proprio negli impegni presi riguardo la quantità massima di uranio da arricchire. Già in passato Teheran aveva dato prova di non rispettare i termini dell’accordo sul nucleare stipulato con l’amministrazione Obama, rifiutando le visite di esperti nelle centrali ed avvicinandosi pericolosamente alla soglia necessaria per fabbricare l’atomica. Aspetto che incrementa il rischio di tensioni diplomatiche con gli alleati e di ritrovarsi comunque un Paese minaccioso presto dotato della bomba atomica.
Le preoccupazioni di Israele
Un accordo che rischia quindi di raffreddare ulteriormente le relazioni con Israele, preoccupato dall’aggressività iraniana in Medio Oriente e dall’utilizzo dei suoi proxies palestinesi per attaccare lo Stato ebraico. Da mesi esponenti del governo di Gerusalemme, e il capo del Mossad David Barnea, cercano di dissuadere Washington da nuovi accordi con il regime iraniano, anche a causa della brutale repressione in corso nel Paese.
Da quasi un anno l’Iran è stravolto dalla ribellione del proprio popolo contro le prevaricazioni del regime e della polizia morale. La decisione di trattare e stringere patti con i carnefici dei manifestanti rappresenta una mancanza di rispetto e supporto verso i ragazzi impegnati a combattere per ottenere diritti e un futuro democratico.
Il rischio è che il nuovo riavvicinamento tra Washington e Teheran incendi ulteriormente la già difficile situazione mediorientale, piuttosto che raffreddarla, anche a causa della comprensibile diffidenza di Israele verso ogni ipotesi di trattativa.
L’attuale governo di Gerusalemme, non intenzionato a retrocedere sui principi e nella difesa della sicurezza nazionale, potrebbe decidere di perseguire autonomamente l’opzione militare e colpire i siti nucleari iraniani, al fine di danneggiarli in maniera irreversibile. Uno scenario che determinerebbe l’inizio di un conflitto diretto tra Gerusalemme e Teheran, proprio l’eventualità che la Casa Bianca si illude di poter evitare tramite questi accordi con la teocrazia iraniana.