Stando a quanto riportato martedì pomeriggio dal Wall Street Journal, l’amministrazione Biden ha toccato un nuovo fondo, quando pochi giorni prima della decisione dell’Opec+ di tagliare la produzione petrolifera di 2 milioni di barili al giorno, funzionari Usa hanno contattato le controparti in Arabia Saudita e in altri Paesi del Golfo per lanciare un ultimo “urgente appello” quanto meno a ritardare la decisione di un altro mese.
Cosa sarebbe cambiato? Si sarebbero scavallate le elezioni di midterm. La risposta dei sauditi, riporta il quotidiano, è stata un “sonoro no”.
Il quid pro Joe
I funzionari Usa avevano avvertito i leader sauditi che un taglio sarebbe stato visto come una chiara scelta da parte di Riyad di schierarsi con Mosca e che avrebbe indebolito il già declinante sostegno al Regno in quel di Washington.
In particolare, mettendo a rischio più di 100 milioni di forniture militari che i sauditi vorrebbero dagli Usa e spingendo il Congresso a reintrodurre la sospensione della vendita di armi all’Arabia Saudita.
Martedì il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha dichiarato che il presidente Biden è pronto a “rivalutare” le relazioni con l’Arabia Saudita: “Penso che il presidente sia stato molto chiaro sul fatto che questa è una relazione che dobbiamo continuare a rivalutare, che dobbiamo essere disposti da rivisitare. E sicuramente alla luce della decisione dell’Opec+“, ha spiegato alla Cnn.
Ieri lo stesso Joe Biden ha confermato: “Reagiremo all’Arabia Saudita, prenderemo provvedimenti”. “Stiamo facendo consultazioni”, ha aggiunto rispondendo ad una domanda sulle richieste di diversi congressmen Democratici di congelare la vendita di armi e la cooperazione militare con Riyad.
Secondo il WSJ, come prima risposta, l’amministrazione Biden starebbe valutando anche di ritirarsi dalla partecipazione al forum di investimento saudita Future Investment Initiative entro la fine del mese.
Ora, ricorderete che il presidente Trump fu posto sotto impeachment nel 2019 dai Democratici per un presunto “quid pro quo” con l’Ucraina: la richiesta al presidente Zelensky di avviare un’indagine su Joe Biden, il suo avversario politico, in cambio, secondo l’accusa, dello sblocco degli aiuti militari a Kiev.
Sembra proprio che l’amministrazione Biden abbia messo in atto nei confronti dell’Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo un ricatto molto simile a quello attribuito (ma mai dimostrato) a Trump: la minaccia di sospendere la vendita di armi ad un Paese straniero per costringerlo a concederle un favore politico, che nella fattispecie avrebbe dovuto consistere nel rinvio dell’annunciato taglio della produzione petrolifera, per evitare aumenti dei prezzi dei carburanti ad un mese dalle elezioni di midterm.
Petrolio arma politica?
Il ministro degli esteri saudita, Adel al Jubeir, ha ricordato che Riyad è impegnata a garantire la stabilità del mercato petrolifero e che l’Opec+ ha aumentato la produzione per gran parte dell’anno, ma ora i segnali negativi dell’economia globale giustificano un taglio della produzione.
E ha spiegato, in un’intervista a Fox News, che la reazione isterica di Washington è basata sulle “emozioni che hanno a che fare con le imminenti elezioni“. “L’idea che l’Arabia Saudita lo farebbe per danneggiare gli Stati Uniti o per essere in qualche modo coinvolta politicamente non è affatto corretta”.
Secondo analisti anche occidentali, i sauditi hanno bisogno di un prezzo intorno agli 80 dollari al barile per pareggiare il loro bilancio dell’anno prossimo e non mettere al rischio il piano Vision 2030 per diversificare l’economia del Regno.
Il “no” alla richiesta della Casa Bianca di ritardare di un mese il taglio dell’Opec+ è la migliore dimostrazione, dal punto di vista dei sauditi, che le decisioni sulla produzione petrolifera non sono “politicizzate” ma rispondono ad una logica puramente economica.
Partenza col piede sbagliato
I passi falsi del presidente Biden con Riyad risalgono ai primi giorni del suo mandato: la diffusione del rapporto dell’Intelligence che accusava il principe ereditario Mohammed Bin Salman di aver personalmente approvato e ordinato l’omicidio di Jamal Khashoggi; lo stop alla vendita di armi; la revoca della designazione dei ribelli Houthi come organizzazione terroristica; la decisione di riprendere i colloqui con Teheran per un nuovo accordo sul programma nucleare. Quattro veri e propri affronti, tutti all’inizio del mandato.
E già in campagna elettorale, inoltre, Biden aveva promesso che con lui alla Casa Bianca le cose tra Washington e Riyad sarebbero cambiate, fino a rendere il Regno “un pariah” della comunità internazionale.
Visita fallimentare
Se la visita di Biden a Jeddah, nel luglio scorso, aveva lo scopo di riparare le relazioni, e l’amministrazione era riuscita a presentarla come un successo, creando aspettative di un aumento della produzione petrolifera, oggi scopriamo dal Wall Street Journal che le cose sono andate molto diversamente.
Secondo le fonti, la visita ha fatto infuriare il principe Mohammed, irritato dal fatto che Biden avesse reso pubblici i suoi commenti privati al reale saudita sulla morte di Khashoggi, spingendo i funzionari sauditi a smentire il resoconto dei colloqui.
Secondo fonti saudite citate dal WSJ, il principe Mohammed avrebbe detto ai suoi consiglieri di non essere disposto a sacrificare molto per l’amministrazione Biden, citando la posizione critica di quest’ultima sulla guerra nello Yemen, gli incessanti tentativi di chiudere un accordo sul nucleare con Teheran, a cui Riyad si oppone da sempre, e infine i commenti del presidente su di lui.
Se ad agosto i sauditi avevano in programma di spingere l’Opec+ ad aumentare la produzione di petrolio di 500 mila barili al giorno, nel tentativo di venire incontro alle richieste Usa, il principe Mohammed avrebbe ordinato di portare l’aumento a solo 100 mila barili al giorno, una quantità meramente simbolica.
Come meravigliarsi, se una breve visita e un goffo saluto col pugno non hanno prodotto i risultati sperati, dopo aver preso a bastonate sulle gengive il Regno e il principe ereditario per 14 mesi?
Una rottura suicida
Dunque, non solo per tutto il 2021 e fino all’inizio del 2022, incredibilmente l’amministrazione Biden non ha fatto nulla per riparare i rapporti con Riyad, nonostante fosse in possesso di informazioni sempre più credibili e precise circa le intenzioni e i preparativi di Mosca per invadere l’Ucraina, e quindi consapevole che ci saremmo potuti trovare presto nel bel mezzo di uno shock energetico e di una guerra economica con la Russia.
Non contenta, anziché impegnarsi per rilanciare un rapporto quasi secolare, ancor più strategico in questo momento di crisi energetica e di confronto con Russia e Cina, l’amministrazione Biden lo sta portando verso una vera e propria rottura, essenzialmente per interessi di partito.
La colpa di Riyad sarebbe quella di non essersi prestata ad aiutare i Democratici alle elezioni di midterm, pur avendo ricevuto solo affronti dalla presidenza Biden fin dal primo minuto.
Una rottura paradossale, se pensiamo che mentre l’amministrazione Biden minaccia Riyad di “conseguenze”, accusandola di essersi schierata con la Russia, non ha ancora abbandonato l’idea di chiudere un nuovo accordo sul programma nucleare con il regime criminale e brutale di Teheran, proprio nel momento in cui i droni di fabbricazione iraniana vengono usati dai russi per colpire le città ucraine.
Iran che, tra l’altro, ieri ha confermato il rapido aumento delle sue capacità di arricchimento di uranio con nuove centrifughe avanzate, come emerso da un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea).
“Arabia Saudita ed Emirati non sono Stati vassalli degli Usa“, Jason D. Greenblatt, inviato della Casa Bianca in Medio Oriente nell’amministrazione Trump. “Immaginare una politica estera senza l’alleanza saudita è irrealistico e dannoso per gli interessi degli Stati Uniti e dei nostri alleati in Medio Oriente”.