Esteri

Brasile, censurata l’unica tv pro-Bolsonaro. E Lula vuole spegnerla

Il Tribunale Superiore Elettorale accoglie i ricorsi del PT e amplia i suoi poteri di censura. La deriva maduriana di Lula che vuole “rieducare” i brasiliani alla “verità”

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Il Brasile come il Nicaragua e il Venezuela? Segnali ormai molto minacciosi in questi ultimi giorni di campagna elettorale. A rischio chiusura l’unica televisione schierata dalla parte di Bolsonaro, la Jovem Pan.

Bavaglio alla Jovem Pan

Dopo aver deliberato compulsivamente, con l’intenzione dichiarata di evitare la propagazione di fake news ma in realtà per limitare gravemente la libertà di espressione, il Tribunale Superiore Elettorale ha approvato una risoluzione che estende ulteriormente i suoi poteri di censura preventiva ai danni della tv e dei siti che criticano Lula, accogliendo le richieste del Partido dos Trabalhadores.

Per esempio, vietato definire Lula come ex detenuto, condannato, ladro, etc… mentre da anni tutta la sinistra (e Lula lo ha perfino ripetuto nel confronto tv) può definire Bolsonaro un “genocida”.

Ormai il PT ha adottato una strategia di “giuridicizzazione dello scontro elettorale”, appellandosi sempre più frequentemente al TSE, presieduto e controllato da giudici amici. Nei giorni scorsi un magistrato di questo organo aveva cancellato 168 spot di 30 secondi di Bolsonaro, concedendone altrettanti a Lula, misura che però sarà riesaminata dal Tribunale vista la sua gravità.

Persino il New York Times ieri parlava di un ruolo estremamente “aggressivo” del TSE brasiliano nella campagna elettorale. Una aggressività mai vista in questa misura in nessun altro Paese democratico.

Non contento, ora il partito di Lula ha “sollecitato” persino il vero e proprio spegnimento di Jovem Pan, maggior organo di informazione non omologato al pensiero unico di sinistra di tutti gli altri media e già oggi ampiamente censurata nei contenuti e nel linguaggio.

Un programma di regime

Evidentemente il partito di Lula, sempre più preoccupato dai sondaggi (quelli veri) passa a vie di fatto, mostrando il suo vero volto, che è lo stesso volto di una dittatura di sinistra che mette fine innanzitutto alla libertà di espressione e, subito dopo, alla libertà tout-court dei propri cittadini.

Ieri Lula ha dichiarato apertamente, in un’intervista, che questi continui ricorsi del PT al TSE sono necessari per ristabilire la “verità” messa in discussione dalle fake news e che, anche dopo il voto, sarà necessario far tutto ciò che è dovuto per “rieducare” il popolo brasiliano che si discosta dalle opinioni del PT e della sinistra.

Sintomatico di un programma di regime di cui non ha voluto rivelare in campagna elettorale alcun contenuto, su nessun tema, salvo questa precisazione su una “rieducazione” dei brasiliani alla verità della sinistra.

“No, non serve eliminarlo: è sufficiente rieducarlo”, ha detto Lula dell’imprenditore Luciano Hang, reo di attaccarlo sui social e di essersi schierato con Bolsonaro.

Quale sarebbe la differenza con il Venezuela di Maduro, la Cuba di Castro o il Nicaragua del macellaio Ortega, non per niente amici strettissimi di Lula e del PT?

Aria di golpe

Attenzione: non si tratterebbe di un tentativo di “golpe bianco”, poiché non avverrebbe nell’ambito di una interpretazione delle regole “forzata” ma comunque all’interno di un loro formale rispetto.

No. Si tratterebbe di un tentativo di golpe bello e buono, dal momento che avverrebbe: fuori dalle regole vigenti; contraddicendo autorevoli interpretazioni del ruolo del TSE espresse in passato da sentenze di giudici costituzionali che hanno fatto parte fino a poco tempo fa del Supremo Tribunale Federale (Marco Aurelio Mello); operando una quotidiana, compulsiva ingerenza in materia elettorale che non è mai stata peculiarità del TSE e che limita la fondamentale libertà di espressione, mettendo fine allo stato di diritto.

Di fronte a questa vergognosa convergenza dei poteri della giustizia e dei media – e in assenza di quello legislativo, coi nuovi presidenti di Camera e Senato che non hanno ancora riunito il Congresso – tutti scatenati come un sol uomo a favore di un candidato e contro l’altro, perché sorprendersi se a qualcuno venisse in mente di reagire all’assassinio della libertà e della democrazia con un vero e proprio colpo di stato militare, con l’intento di restituire libertà e democrazia rubate?

E perché sarebbe da considerare legittima la resistenza contro una dittatura esistente, e non un intervento militare per scongiurare che ad una dittatura si arrivi comunque attraverso la corruzione strutturale dei poteri costituzionali?

Non serve a molto invocare un giudice a Berlino, perché l’America Latina non è Berlino. Lo stesso mugnaio di Bertolt Brecht lo avrebbe capito e si sarebbe rivolto ad “altro” piuttosto che a una giustizia ormai travolta dalla violenza della corruzione.

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