Vietato dire in campagna elettorale che Lula è un ladro. Lo ha stabilito il ministro Paulo Di Tarso, del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), presieduto dal magistrato Alexandre de Moraes, anche lui “ministro” (in Brasile i componenti della Corte costituzionale e di altri alti tribunali, come il Tribunale Supremo Elettorale, vengono definiti “ministri”, senza nulla a che fare con i ministri del governo, ndr), che ha censurato diverse pubblicazioni e sequestrato gli spot di propaganda elettorale in cui lo staff di Bolsonaro definisce Lula un “ladrao”.
Lula è stato condannato a 12 anni in processi regolarissimi che hanno portato a sentenze mai smentite nel merito. Il Supremo Tribunale Federale (STF) ha semplicemente, con inaudita sfacciataggine, annullato i processi “per vizio di forma”, sostenendo che Lula non dovesse essere processato a Curitiba ma altrove, senza nulla da eccepire rispetto ad accuse e condanne, quindi alle sue responsabilità, acclarate dopo due gradi di giudizio.
Paulo Di Tarso è un alto magistrato, laureatosi nella PUC di Porto Alegre, la Pontificia Università Cattolica che ospitò nei suoi magnifici campus, nei primi anni 2000, i World Social Forum del Movimento noglobal.
Alexandre de Moraes è il ministro del STF che si è dimostrato più accanito contro Bolsonaro e che più si è impegnato perché il Supremo Tribunale Federale assumesse ogni genere di decisione che potesse portare all’annullamento dei processi in cui Lula è stato condannato, fino alla strabiliante decisione della sua liberazione dal carcere, restituendogli persino il diritto di ricandidarsi alla presidenza.
Sondaggi manipolati
Vietato chiedere un’indagine della polizia federale sullo scandaloso comportamento degli istituti di sondaggio che, il giorno prima del voto, davano a Lula 18 punti di vantaggio (IPec, l’istituto della Globo) e 14 punti di vantaggio (Datafolha, istituto della Folha de Sao Paulo).
Domanda, più che legittima: dietro quei dati così clamorosamente sballati vi era, o meno, il dolo, l’intenzione di manipolare il voto degli elettori inducendoli a non andare a votare visto che il risultato era da considerare scontato?
È ovvio che le cose stanno proprio così. Basta tener conto che Globo e Folha sono i due media che più di ogni altro si sono schierati contro Bolsonaro e a favore di Lula. Ma il ministro Alexandre de Moraes, con il suo TSE, ha proibito alla polizia federale di aprire un’indagine. Semplicemente grottesco.
Magistratura in mano alla sinistra
Il potere giudiziario in Brasile è nelle mani di una banda di 11 alti magistrati che fanno parte del Supremo Tribunale Federale e che non giudicano sulla base della legge, ma delle convenienze e delle richieste della parte politica che li ha scelti, nominati e messi nel posto in cui oggi si trovano, solo per servire i suoi interessi.
I “ministri” del Supremo Tribunale di Brasilia dominano la scena giudiziaria ma anche, e soprattutto, quella politica, intervenendo ogni giorno su ogni questione e in ogni ambito della vita pubblica, accumulando poteri di cui neanche il presidente eletto dal popolo può disporre.
Più che un “contrappeso” al potere dell’Esecutivo, un peso, anzi un macigno, che impedisce il normale esercizio del potere presidenziale.
Ma attenzione: questo accade oggi, quando il presidente è Bolsonaro, inviso al potere giudiziario tanto quanto a quello mediatico. Potete star certi che non avverrà domani, qualora Lula tornasse al potere.
Con Lula presidente termineranno le invasioni di campo del STF e regnerà la massima armonia fra potere giudiziario e presidenza. Ma torneranno altre invasioni: le invasioni della proprietà privata, delle proprietà agricole, degli appartamenti nelle città, con la violenza e l’arroganza dei falsi movimenti sociali, gruppi di veri e propri criminali mercenari che si mettono al servizio del PT come fossero militanti politici, mentre sono solo il suo braccio armato.