Primarie Gop

Buona la prima: Trump trionfa in Iowa doppiando gli avversari

Ecco i verdetti dall’Iowa: cosa cambia nelle primarie GOP dopo il cappotto di Trump. Il soccorso rosso tiene a galla Nikki Haley

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Dopo mesi di speculazioni e un fronte artico che ha congelato buona parte del continente americano, il circo della politica a stelle e strisce può togliere le tende dalla tundra dell’Iowa e dirigersi verso il New Hampshire. C’è anche stato il tempo delle prime risposte di quello che, nonostante sia storicamente il primo stato a scegliere i delegati per la scelta del candidato alla presidenza degli Stati Uniti, non è quasi mai considerato uno stato bellweather, ovvero in grado di prevedere il risultato finale delle elezioni del prossimo 5 novembre.

Eppure, le risposte arrivate dall’Hawkeye State sono comunque interessanti, visto che si tratta dei primi numeri veri, non di sondaggi o proiezioni che si sono spesso rivelati inaffidabili. Ecco quindi qualche reazione a caldo dopo che i caucuses dell’Iowa hanno assegnato i primi 40 delegati per la convention del GOP che si terrà dal 15 al 18 luglio a Milwaukee.

Trump domina, DeSantis batte Haley

Con il 93,2 per cento dei distretti che hanno riportato le scelte dei caucuses, il quadro è quello di una vittoria schiacciante di Donald Trump, che ha schiantato la concorrenza, superando anche quei sondaggi che sembravano un attimo ottimistici. L’ex presidente ha raccolto oltre il 51 per cento degli elettori, cosa che dovrebbe tradursi in 19 dei 40 delegati alla convention repubblicana: visto l’endorsement di Vivek Ramaswamy, il bottino di Trump arriva a 21, un risultato schiacciante che sembra aver convinto molti osservatori a dichiarare che la stragrande maggioranza del GOP è tutta dalla sua parte.

La gara vera, quella per il secondo posto, che era rimasta indecisa fino alla fine, sembra andata in maniera abbastanza decisa a favore di Ron DeSantis, con il governatore della Florida che ha raccolto il 21,3 per cento degli elettori dell’Iowa. Nonostante le distanze dalla rivale Nikki Haley sembrano abbastanza importanti, con l’ex governatore della Carolina del Sud ferma al 19,1 per cento, questa vittoria diventa molto meno impressionante quando si traduce in termini di delegati. Vincere 8 a 7, quando stati come la Florida mettono in palio ben 125 delegati sembra davvero poca cosa.

Deludente, invece, il risultato dell’outsider Vivek Ramaswamy, che ha faticato molto a tradurre la trazione guadagnata online in voti nell’America profonda: il suo 7,7 per cento, comunque, gli garantisce un paio di delegati da portare in dote a Trump. Il resto dei candidati, ormai ha deciso di farsi da parte: da ora in avanti sarà gara a tre. La vittoria riportata in Iowa è la più ampia nella storia delle primarie del GOP: se in New Hampshire la storia potrebbe essere diversa, in molti altri stati il trionfo di Trump potrebbe assumere dimensioni imbarazzanti.

Caporetto DeSantis: “Non mi ritiro”

Nonostante si provi a fare buon viso a cattivo gioco, l’atmosfera nel quartier generale di Ron DeSantis è all’insegna della depressione più nera. Anche se i numeri non sono ancora quelli definitivi, non arrivare nemmeno alla metà dei voti raccolti da Trump è una batosta dalla quale difficilmente ci si può riprendere.

Se è vero che questa è solo la prima di una lunga serie di elezioni locali per raccogliere i delegati per la convention di Milwaukee, non è questo il risultato che serviva a DeSantis. Il governatore della Florida era andato all-in in Iowa, con l’obiettivo nemmeno troppo nascosto di schiantare la concorrenza ed uscire come l’unico in grado di fermare la corsa verso la nomination di Trump. Dire che il piano della campagna di DeSantis non ha funzionato è l’understatement del secolo.

Ci sarà tempo per esaminare con attenzione i flussi elettorali ed analizzare perché il messaggio di DeSantis non abbia avuto presa sulla pancia del Grand Old Party e chi abbia tolto voti a chi. L’unico verdetto che conta è che, da qui in avanti, il cammino del governatore della Florida è diventato qualcosa tipo Everest. Se i numeri non dovessero migliorare in maniera significativa in New Hampshire, il governatore della Florida potrebbe gettare la spugna già prima di approdare nella Carolina del Sud, dove Nikki Haley gioca in casa.

Interpellato dalla MSNBC prima dell’apertura dei caucuses, DeSantis aveva ostentato sicurezza: “Siamo impegnati fino alla fine, conta solo accumulare delegati. Faremo bene, sono eccitato dall’idea di vedere quanti voti riceveremo, visto che si tratta di dati veri, non sondaggi”. Le cose potrebbero cambiare molto in fretta: con molti finanziatori che si stanno spostando verso la Haley, la campagna potrebbe avere i giorni contati.

Il soccorso rosso tiene a galla Nikki Haley

Nonostante il supporto neanche troppo nascosto dell’establishment repubblicano e di molti media conservatori, a partire dalla Fox News, il risultato della Haley in Iowa è leggermente al di sotto di quanto previsto dai sondaggisti. Con la corsa al secondo posto che va abbastanza nettamente a DeSantis ed una serie di mezze gaffes che hanno fatto il giro dei social negli ultimi giorni, la sua campagna non sembra godere di ottima salute.

A suo favore la Haley ha una serie di supporter di alto livello e, soprattutto, una montagna di soldi. Anche se non sono ancora disponibili analisi approfondite dei risultati, l’impressione è che abbia fatto meglio nelle zone urbane e, soprattutto, nelle città universitarie, isole liberal in un mare di rosso. Il risultato, però, sembra essere stato “inquinato” in maniera piuttosto significativa da un buon numero di elettori democratici che hanno partecipato ai caucuses del GOP per sostenere la candidata “centrista”.

https://twitter.com/nataliegwinters/status/1746980717287096766

A confermare il sospetto che parecchi degli elettori della Haley siano in realtà “infiltrati” democratici sono anche i risultati dell’exit poll dell’Associated Press: se la ex governatrice della Carolina del Sud se la batte con Trump tra gli elettori laureati (32 a 34 per cento), stravince tra gli oppositori all’espansione dell’estrazione di petrolio e gas (46 a 30 per cento), posizione peraltro molto impopolare tra gli elettori repubblicani.

A favorire la Haley sarebbe il regolamento in vigore nell’Iowa, dove si può cambiare allegiance all’ultimo momento. Questo comportamento è consentito anche in New Hampshire, dove a spingere i democratici a votare per Nikki è stato anche il governatore John Sununu. Dopo l’endorsement di quello che molti esponenti MAGA considerano un RINO (Republican in name only), sono arrivati altri appoggi importanti, specialmente economici. Difficile da provare, ma a sentire molti supporter di Trump, l’Uniparty starebbe calando la maschera, schierandosi in blocco a favore dell’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite. Basterà per gonfiare le vele della campagna fino al Super Tuesday? Saperlo…

Lo stakanovista Vivek non sfonda

Alle nostre latitudini non se n’è parlato molto, ma la campagna di Vivek Ramaswamy ha fatto parecchio parlare di sé specialmente sui social. Nonostante sia partito da zero, senza alcuna esperienza politica e sia considerato da molti troppo giovane, l’ex imprenditore farmaceutico si era gettato anima e corpo in questa nuova avventura. Visto che i media mainstream, a partire da Fox News, l’avevano snobbato, ha preferito coprire a tappeto i media alternativi, da podcast grandi e piccoli a youtuber molto seguiti dalle nuove generazioni.

Vivek non si è risparmiato quando si è trattato di incontrare gli elettori dal vivo, mostrando un’etica del lavoro invidiabile. Secondo quanto riportato dal Des Moines Register, il nativo dell’Ohio ha tenuto ben 323 incontri pubblici, spesso davanti a poche persone, visitando almeno due volte ognuna delle 99 contee dello stato, tornando talvolta tre o quattro volte.

La cosa che si notava subito è come l’età media dei partecipanti fosse decisamente più bassa rispetto ai rivali, con parecchi membri della cosiddetta “generazione Z”, attirati dai video brevi pubblicati su piattaforme come TikTok, dove il suo messaggio sopra le righe ha avuto facile presa. I risultati si sono visti nei caucuses, dove secondo il sondaggio della AP e del Center for Public Affairs Research, ben il 35 per cento degli elettori che si sono presentati per la prima volta ai caucuses lo aveva indicato come la prima scelta, seguito dalla Haley al 33 per cento.

L’exit poll dell’AP indica come nella fascia dai 18 ai 29 anni Vivek abbia fatto benissimo, finendo secondo dietro a Trump e battendo di 2 punti la Haley. Le cose sono andate molto peggio tra gli over 65, normalmente meno attivi online, dove ha raccolto solo il 5 per cento. La delusione tra i suoi sostenitori è parecchia ma non tutto è da buttare: prendere quasi l’8 per cento senza un ground game importante e con buona parte degli elettori che tuttora non sa come pronunciare il suo nome non è un risultato affatto disprezzabile.

Per un candidato che non ha risparmiato affondi pesanti e posizioni estreme come la promessa di licenziare il 75 per cento dei dipendenti dell’amministrazione federale, raccogliendo le simpatie dell’universo libertario, è comunque un primo passo importante. Da qui a ripetere il trionfo di Javier Milei in Argentina ce ne corre ma Vivek ha un enorme vantaggio rispetto ai rivali: è molto giovane ed ha un patrimonio da centinaia di milioni, frutto del successo da imprenditore nel settore farmaceutico.

Se il suo scopo era quello di farsi conoscere dall’elettorato repubblicano, la campagna di Vivek è stata un successo che gli ha guadagnato parecchi sostenitori. Uscire dai giochi subito e dichiarare immediatamente l’endorsement a Trump, cui aveva forse tolto qualche sostenitore, sono una mossa che è stata apprezzata dal popolo MAGA. I complimenti nel suo discorso dopo la vittoria sono un segno che la strategia di non attaccare l’ex presidente ha funzionato. Magari troppo presto per vederlo come vicepresidente ma una cosa è certa: ne sentiremo parlare.

Potevano mancare le polemiche?

Come successo a suo tempo in Florida, durante il testa a testa tra Gore e Bush, tutti i media tradizionali non hanno aspettato che i caucuses dichiarassero il proprio voto per annunciare che Donald J. Trump avrebbe vinto nello stato del Midwest. La National Review, storica rivista conservatrice che certo non può essere tacciata di simpatie per l’ex presidente, non ha menato il can per l’aia, accusando la stampa mainstream di tirare acqua al mulino di Trump. Le cose, probabilmente, stanno in maniera diversa: visto l’enorme vantaggio nei confronti dei rivali mostrato dagli exit poll e dalle proiezioni, la vittoria di Trump era talmente schiacciante da non lasciare spazio ai dubbi.

Come fatto notare da diversi osservatori, le regole interne a molti media, primo tra i quali l’agenzia Associated Press, vietano ai propri reporter di “chiamare” una votazione quando le urne sono ancora aperte. Eppure, stasera, l’AP ha dichiarato Trump vincitore quando in parecchi caucuses non si era ancora iniziato a votare. L’effetto sul risultato finale è probabilmente minimo ma, comunque, uno strappo alla deontologia che non è proprio il massimo, visto che la fiducia nei media è ai minimi storici.

La reazione più indignata è arrivata dal team di DeSantis, tramite il portavoce Andrew Romeo che ha parlato senza mezzi termini di election interference: “I media sono tutti per Trump e questo è un assist clamoroso”. Questo sentimento era condiviso da parecchi commentatori online che si sono sorpresi di fronte a questa chiamata praticamente immediata che ha fatto arrivare ai partecipanti ai caucus un messaggino ancora prima che avessero espresso la loro preferenza. Questa particolarità è dovuta al fatto che i caucuses sono gestiti dai partiti, non dagli uffici elettorali dello stato: i distretti più piccoli decidono in fretta mentre quelli più grandi ci mettono più tempo. I risultati, quindi, arrivano alla spicciolata, il che spiega perché si sia arrivati così presto ad una decisione.

Le spese pazze dei SuperPAC

Il dato forse più importante di questo primo appuntamento con le primarie del GOP è passato inosservato da molti: per sgomitare con i rivali e farsi strada i candidati hanno speso una quantità di soldi davvero impressionante. Per vincere in Iowa serve il cosiddetto ground game, ovvero volontari e una struttura capillare sul territorio ma non sono stati trascurati i metodi più tradizionali, come la pubblicità in televisione o sui social media.

Nonostante il Republican National Committee abbia più volte suonato l’allarme sul fatto che i Democratici abbiano un war chest decisamente più ricco, molti Political Action Committees hanno speso cifre pazzesche nel piccolo stato del Midwest, oltre 200 milioni di dollari. Una follia, uno spreco assurdo che si sentirà parecchio negli ultimi, costosissimi mesi della campagna per le presidenziali.

Considerato il risultato di certi candidati che piacciono alla gente che piace, si è trattato di una “fiera delle vanità”, una lotta contro i mulini a vento che si è schiantata contro la corazzata del blocco America First, che non ha voluto mollare il Trump Train. Il più morigerato sembra essere stato Vivek Ramaswamy, che, pagando in gran parte di tasca propria, ha preferito risparmiare.

I 100 milioni e passa spesi dalla campagna di DeSantis sono stati del tutto inefficaci, visto che non è riuscito ad ottenere una vittoria convincente. Con buona parte del partito che sembra avere una gran voglia di schierarsi con Trump, continuare a spendere potrebbe essere un assist ai democratici, che si stanno preparando per le elezioni generali, raccogliendo ben 97 milioni nell’ultimo trimestre del 2024.

Insomma, la situazione all’interno del GOP sembra molto fluida: vedremo se l’establishment capirà che il voto di massa a Trump è anche un voto di sfiducia nei suoi confronti e cercherà di limitare i danni. Doubling down, a questo punto, potrebbe essere una mossa molto azzardata.

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