Anche se può sembrare strano, non tutto il modo politico taiwanese è favorevole alla proclamazione d’indipendenza dalla Cina comunista. Le posizioni sono invece variegate, come dimostra anche la candidatura alle prossime presidenziali di Terry Gou, spesso chiamato il “Trump di Taipei”.
Chi vuole il dialogo
La netta vittoria nelle ultime elezioni politiche della formazione dell’attuale presidente Tsai Ing-wen (“Partito progressista democratico”), schierata su posizioni indipendentiste, aveva indotto gli osservatori internazionali a ritenere che tali posizioni fossero maggioritarie nel Paese.
In realtà, le cose non stanno proprio così. Nelle successive elezioni amministrative, infatti, il PPD di Tsai Ing-wen è stato sconfitto dal Kuomintang (KMT), il partito che fu del generalissimo Chiang Kai-shek, e che combatte nella guerra civile contro i comunisti di Mao Zedong, venendone alla fine sconfitto e costretto a rifugiarsi a Taiwan (la ex Formosa).
Il fatto è che il Kuomintang vuole evitare la dichiarazione d’indipendenza e, nonostante il fiero anti-comunismo del passato, è ora favorevole al dialogo con Pechino, da cui ha ricevuto l’assicurazione che l’isola manterrà una certa autonomia nell’ambito dello schema “un Paese, due sistemi”.
Dopo quanto è avvenuto a Hong Kong, dove ogni assicurazione di quel tipo è stata calpestata, risulta difficile capire come i maggiorenti del KMT possano ancora fidarsi. Ma il successo nelle elezioni amministrative lascia capire che parte della popolazione concorda.
La pace di Terry Gou
Il suddetto Terry Gou, che in passato ha inutilmente cercato di candidarsi con il KMT, ora vuole correre per conto suo. Tipico tycoon orientale, il 73enne Gou è il fondatore di Foxconn, da lui fondata nel 1974, e diventata col tempo la più grande fornitrice al mondo di componenti elettrici ed elettronici per i produttori di apparecchiature originali.
Foxconn ha tra l’altro molte fabbriche nella Repubblica Popolare e anche negli Stati Uniti. Dall’alto del suo patrimonio di 7,4 miliardi di dollari, il tycoon ritiene di avere buone opportunità di uscire vincitore nelle presidenziali del 2024. Promette la pace con Pechino conservando l’autonomia dell’isola e sostiene che, con lui al potere, la pace nello Stretto di Formosa durerà per sempre.
L’interferenza di Pechino
In questa sede interessano, più dei dettagli della politica taiwanese, le conseguenze internazionali che potrebbero derivare dalla frammentazione del quadro politico nell’isola. È noto, per esempio, che la Cina ha sempre interferito negli affari interni di Taiwan, e tale interferenza si è accentuata con l’avvento al potere di Xi Jinping, che brigò molto – ma senza successo – per impedire l’elezione di Tsai Ing-wen (la quale non potrà ricandidarsi per un terzo mandato).
È ovvio, comunque, che le divisioni a Taiwan favoriscono i disegni del Partito comunista cinese, pur in un quadro economico che per Pechino è molto peggiorato negli ultimi anni. Tuttavia, la presenza sull’isola di una “quinta colonna” potrebbe grandemente favorire i progetti egemonici di Xi e del suo gruppo dirigente.