Chiunque abbia l’età per ricordare la Convention Nazionale Democratica di Chicago dell’agosto 1968 e chiunque l’abbia studiata sui libri di storia, in questi giorni avrà sicuramente una serie di déjà vu. Il presidente democratico in carica, Lyndon Johnson, si ritirò dalla corsa delle presidenziali e passò il testimone al suo vice, Hubert Humphrey. Il mese scorso è successa una cosa molto simile, con il passaggio del testimone da Joe Biden alla sua vice Kamala Harris.
Il mese scorso è fallito (miracolosamente) un attentato a Donald Trump. E il 1968 fu l’anno di due grandi attentati: quello a Martin Luther King (4 aprile) e poi soprattutto al candidato democratico alla presidenza Robert Kennedy (6 giugno). Entrambe le convention democratiche furono assediate da contestazioni di pacifisti, allora per il Vietnam oggi per Gaza che, in entrambi i casi, scavalcavano i Dem da sinistra.
Due “pacifismi” molto diversi
Ma non è affatto la stessa cosa. Il pacifismo di oggi è molto differente da quello di allora. La vera differenza è nello scopo della contestazione. Nel 1968 la sinistra radicale protestava quando i ragazzi di leva americani morivano al fronte in Vietnam. Nel 2024 a morire sono i ragazzi di leva israeliani. Nel 1968 si combatteva una guerra in cui gli Usa erano in prima linea. E lo scopo della protesta era, prima di tutto, quello di riportare i ragazzi a casa.
Ma adesso da che cosa ci si deve ritirare? A combattere è Israele. Gli Usa possono, al massimo, scegliere se inviare armi a Gerusalemme o smettere. E la politica di Biden è stata molto discontinua, prima garantendo un sostegno incondizionato, poi esercitando una forte pressione sul governo Netanyahu affinché fermasse l’offensiva a Gaza. Il governo israeliano ha dimostrato di accettare i termini americani solo fino a un certo punto, ma quando è giunto il momento di riprendere l’offensiva contro i terroristi di Hamas, l’ha ripresa. Perché non è una guerra americana, appunto.
Perché la sinistra radicale del Partito Democratico (che acquista ancora più peso politico con la nomina di Kamala Harris) vive con così tanto trasporto una guerra non americana? La risposta è complessa, ma si riassume in una sola parola: ideologia.
La battaglia pacifista del 1968 aveva un fondamento di realtà e una base di interessi concreti: nella guerra in Vietnam si moriva, sempre più cittadini comuni volevano porvi termine. Ma anche allora era difficile distinguere fra coloro che erano solo pacifisti da quelli che erano anche comunisti e, pur senza esserlo dichiaratamente, parteggiavano oggettivamente per una vittoria dei comunisti vietnamiti. La solidarietà di una diva del cinema come Jane Fonda al regime di Hanoi è lì a dimostrarlo ed è solo il caso più celebre.
La battaglia pacifista del 2024 è invece solo ideologica perché nessun americano rischia la vita a Gaza. Anzi, a voler ben vedere, nelle mani di Hamas ci sono ancora ostaggi israeliani con cittadinanza americana, per cui sarebbe nell’interesse degli Usa aiutare Israele a battere i terroristi e liberarli. Invece i manifestanti sono dichiaratamente schierati contro Israele e implicitamente sono dalla parte dei terroristi di Hamas. E alcuni lo sono anche esplicitamente: ricordiamoci che già all’indomani del pogrom del 7 ottobre, i Black Lives Matter facevano circolare sui social l’immagine celebrativa dei paracadutisti palestinesi, quelli, insomma, che avevano appena massacrato i loro coetanei inermi che ballavano nel Festival Nova, nel Sud di Israele.
Se nel 1968 era abbastanza comprensibile la solidarietà della sinistra radicale americana per un regime comunista (stessa matrice ideologica marxista), oggi è invece arduo capire che cosa passi per la testa di un militante di sinistra neo-marxista, anti-razzista, femminista, intersezionale che parteggia per un terrorista jihadista. Che cosa spinge un progressista, magari anche ateo, o comunque nemico dei “bigotti” cristiani, alla solidarietà con un fondamentalista religioso che nega ogni diritto civile, pensa solo alla ricompensa eterna nell’aldilà e aspira alla morte pur di uccidere ebrei infedeli?
Il ruolo della disinformazione
La disinformazione gioca un ruolo fondamentale, indubbiamente. Nel 1968, infatti, la massiccia disinformazione sovietica aveva fatto passare gli Usa dalla parte degli aggressori. Tuttora nei talk show si parla, con ostentata ignoranza, di “invasione americana del Vietnam” e non di quel che fu: la difesa americana del Sud Vietnam dall’aggressione del Nord comunista. E sempre per merito dei disinformatori sovietici, circolavano folli teorie sul “genocidio” in Vietnam che sarebbe stato condotto dagli americani ai danni della popolazione locale.
La storia dimostrò che le vittime civili furono molto inferiori rispetto alle cifre folli che circolavano allora e, in compenso, l’unico sterminio su larga scala ai danni dei civili venne condotto dai comunisti nord-vietnamiti, anche a guerra finita. Oggi circolano teorie altrettanto folli sul “genocidio” israeliano a Gaza, basate su statistiche diffuse dai terroristi di Hamas e accettate dai salotti buoni dell’informazione.
La base ideologica
Però la suggestione mediatica e le notizie esagerate sui massacri di civili a Gaza non bastano a spiegare l’espansione di un movimento così ben strutturato a sostengo dei palestinesi. E anche credendo alla tesi del “genocidio”, non si spiega una protesta così vasta e politicamente influente per un evento che non riguarda direttamente gli Usa.
Dietro a questo movimento c’è una base ideologica, anche se non è più il marxismo leninismo del 1968. Si tratta, più che altro, di una sinistra post-marxista e in genere post-moderna che non ha neppure più alcun interesse a sviluppare un suo modello politico da contrapporre a quello liberale. La sinistra attuale vuole distruggere il modello liberale. Perché nella sua visione allucinata del mondo, quello liberale è un sistema mostruoso, un male assoluto.
Non c’è alcun nesso fra la battaglia per l’aborto legale e la causa palestinese, ma a Union Park, lunedì, i manifestanti recitavano slogan come “giustizia riproduttiva è giustizia per i palestinesi”. Nella loro mente, è la stessa cosa combattere contro Israele e combattere contro un “regime patriarcale e colonizzatore”, in America così come nel Medio Oriente, fatto di maschi bianchi etero che vogliono mettere incinta le donne e renderle schiave per mezzo della prole (non c’è nulla da ridere: i militanti di sinistra ragionano così).
Quindi, se i pacifisti del 1968 volevano la pace e (implicitamente) la vittoria del comunismo, quelli del 2024 vogliono la distruzione del nostro sistema liberale, costi quel che costi, anche alleandosi con Hamas.