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Chiuso il Partygate, Johnson tira un sospiro di sollievo: la questione morale in Uk

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A porre la parola fine al Partygate è stato lo stesso ufficio stampa di Downing Street. Con uno stringato comunicato, dopo che la Metropolitan Police aveva annunciato nuove sanzioni per i trasgressori delle norme anti-Covid, i collaboratori di Boris Johnson hanno affermato che il premier britannico non aveva ricevuto altre sanzioni. E con lui nemmeno la moglie Carrie e, cosa ben più importante, il Cabinet Secretary, vero e proprio deus ex machina della pubblica amministrazione britannica, Simon Case. Fine delle trasmissioni.

Dopo sei mesi di continue breaking news, scuse ripetute profusamente dal primo ministro in Parlamento e in ogni intervista, Johnson se la cava con 50 sterline di multa per un evento – la sua festa di compleanno – che era stato persino annunciato in un articolo del Times del giorno prima, senza che alcuna inchiesta fosse stata istruita immediatamente dopo la pubblicazione dell’articolo. Certo, un dato è evidente: Downing Street e Whitehall – la sede dei più importanti ministeri del governo UK a Londra – sono stati i più grandi trasgressori delle norme anti-Covid da loro stabilite durante la pandemia. Il che lascia aperte due questioni: la politica e la PA inglese sono composte per lo più da gente poco ligia al rispetto delle norme? Oppure le norme erano talmente inapplicabili e cervellotiche per chi si ritrovava a lavorare anche 15-18 ore al giorno per gestire la più grave pandemia da un secolo a oggi?

Ora il premier può concentrarsi su carovita e Protocollo nordirlandese

In attesa della pubblicazione da parte del governo del report commissionato alla dirigente della PA Sue Gray – redatto finora in forma semplificata proprio perché c’era un’inchiesta della polizia in corso – Johnson tira un sospiro di sollievo. Il Partygate, sollevato dall’opposizione ma soprattutto dai media e dai parlamentari Tories insoddisfatti della sua leadership, sembra ormai non essere più l’argomento principale usato contro il primo ministro per eliminarlo dalla lotta politica. Ora il governo Tory si dovrà preoccupare degli effetti dell’inflazione e del carovita nelle tasche degli inglesi se vorrà essere rieletto, e dare maggiore funzionalità al Protocollo nordirlandese, materia del contendere con Belfast, Dublino, Bruxelles e Washington.

Ora la questione morale si ritorce contro Starmer

Alla fine, la questione morale in salsa inglese si è risolta in modo sorprendente. In attesa che il premier venga giudicato da una commissione parlamentare sul suo presunto tentativo di trarre in inganno il Parlamento – “misleading Parliament” – la patata bollente è passata nelle mani di Sir Keir Starmer, il leader del Partito Laburista che, dopo avere invitato Johnson a dimettersi quando la polizia ha aperto un’indagine nei suoi confronti, si è trovato a sua volta coinvolto in un caso di presunta violazione delle norme anti-Covid ed è finito sotto l’occhio vigile della polizia di Durham che sta indagando su di lui.

Starmer aveva parlato più volte di questione morale, dignità e senso del decoro nelle istituzioni, promettendo di dimettersi nel caso riceverà una sanzione per la vicenda. La sensazione è comunque che il Labour abbia cercato di togliere di mezzo un rivale ancora pericoloso – checché ne dicano molti commentatori – per le prossime elezioni, e che la questione morale sia stata sollevata in mancanza di un programma credibile da parte dei Laburisti per presentarsi all’elettorato come possibile nuova forza di governo.

Una riflessione la merita anche il panorama mediatico, che si è aggrappato al Partygate da dicembre a oggi nel tentativo di perseguire un’agenda politica più che di informare. Solo una settimana prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Johnson si trovava in Polonia per un incontro bilaterale con il suo omologo polacco Morawiecki: un punto della situazione pochi giorni prima dell’invasione russa. Ebbene, in un contesto dall’altissimo profilo sia per il livello dell’interlocuzione, sia per la delicatezza della materia trattata, una giornalista di una nota emittente nazionale ha chiesto a Johnson se avesse “mangiato una torta per il suo compleanno durante il lockdown”. Le domande vertevano solo sui party – veri e presunti tali – e anche negli studi tv si sprecavano le grafiche con gli eventi finiti sotto inchiesta da parte della polizia. Forse, un maggiore equilibrio nel raccontare la vicenda non avrebbe fatto male nemmeno alla categoria giornalistica.