L’invasione russa dell’Ucraina ha rivelato, ancora una volta, il marciume morale degli intellettuali “contro la guerra”. Tra questi spicca, ovviamente, Noam Chomsky, il guru della sinistra, specialmente di quella trotzkista e antioccidentale, insomma di coloro i quali sognano ancora la società perfetta e redenta da ogni contraddizione, ovvero il mondo di perfetta uguaglianza liberato dall’ingiustizia capitalista, di cui sono pieni i campus americani e pure quelli europei.
Sempre colpa degli Usa
Leggere Chomsky sulla politica internazionale è un’esperienza desolante. Il famoso professore del MIT è uno che ha chiamato l’Olp “eroico” e difeso i negazionisti dell’Olocausto – il negazionismo, ricordiamolo, nasce negli ambienti della sinistra radicale.
Da cinquant’anni scrive sempre le stesse cose, ossia che gli Stati Uniti d’America solo una waste land, il Male, una potenza barbara e colonialista nemica delle forze del Bene che, di decennio in decennio, il vecchio linguista ha visto incarnarsi in Ho Chi Minh, Castro, Mao, Pol Pot, Allende, Chávez. Nei primi anni Duemila si era preso una cotta per Osama Bin Laden, che considerava meno pericoloso di John Ashcroft.
Nella mente di Chomsky – e, per estensione, nelle menti di tutti quelli cresciuti a latte e movimenti “antimperialisti” – esiste un’unica potenza aggressiva: gli Stati Uniti. Ne consegue che se l’Ucraina è in fiamme, la colpa non può che essere di Washington, mica delle mire espansionistiche della Russia in Europa. È questa la tesi di fondo del recente libro-intervista del linguista sulla guerra in corso (“Perché l’Ucraina”, Ponte alle Grazie, 2022).
Uno schema manicheo
La mentalità di Chomsky merita di essere analizzata, non solo per smascherarne le deformazioni ideologiche e le sillogi capziose, ma soprattutto per evidenziare la logica rigida e binaria dei cosiddetti “progressisti”. Per quanto concerne Chomsky bisogna partire dal fatto che siamo in presenza di uno scienziato sociale, specializzato in linguistica, convinto che la complessità del linguaggio emerga da un insieme limitato di fattori, innati in ogni essere umano, e per di più analizzabili razionalmente.
Chomsky osserva la realtà politica allo stesso modo. Ritiene possibile spiegare gli avvenimenti mondiali sulla base di un numero ristretto di elementi che, in questo caso, sono essenzialmente due: il desiderio di ricchezza e potere, incarnato dal sistema capitalista e dagli Stati Uniti, e l’istinto di libertà, che induce gli uomini a opporsi all’oppressione.
Il mondo è così un immenso campo di battaglia dove si affrontano forze elementari. La valanga di fatti e nozioni impiegati da Chomsky servono a nascondere questa semplicistica visione della storia.
Tale schema manicheo permette all’anziano linguista di schierarsi con organizzazioni liberticide e teocratiche, che non avrebbero remore a ucciderlo per le sue idee, perché incapace di concepire l’esistenza di movimenti di massa apocalittici e irrazionali, dediti all’odio e alle teorie cospirative. Nel momento in cui si oppongono all’Occidente capitalista, Putin, gli islamisti di Hamas ed Hezbollah, l’Iran khomeinista o il Venezuela di Maduro, divengono forze della libertà.
Il fatto che Putin sia animato da un’ideologia eurasista, tesa a riconquistare i precedenti territori delle Repubbliche sovietiche e del territorio dell’ex Impero russo, per unirle in una “Grande Russia”, o che i fondamentalisti islamici abbiano come obiettivo il califfato mondiale e la sharia globale, per Chomsky è semplicemente inconcepibile. Per lui non esistono ambizioni di questo tipo, esistono solo i due fattori della sua teoria politica razionalista.
Il mito della promessa tradita
Ecco, allora, che per spiegare l’invasione russa dell’Ucraina deve chiamare in causa argomenti falsi e screditati, ma apparentemente razionali, a cominciare da quello riguardante l'”allargamento a est della Nato”. In particolare, nel suo libro, tira fuori dal cilindro uno dei cavalli di battaglia dei filorussi, ossia la menzogna sesquipedale delle promesse non mantenute fatte a Gorbachev da James Baker.
Chomsky non sa (o finge di non sapere) che gli accordi verbali tra il segretario di Stato americano e il presidente dell’Urss furono presi in vista della riunificazione della Germania. La Nato s’impegnava, almeno temporaneamente, a non schierare truppe straniere in prossimità della carcassa della DDR.
Ma nulla si disse su quelli che, allora, erano membri a pieno titolo del Patto di Varsavia. Tutto viene scompaginato il 25 dicembre 1991 quando, finalmente, l’URSS esala l’ultimo respiro e viene riconosciuta l’indipendenza delle repubbliche ex sovietiche, libere ora di aderire a nuove alleanze.
La smentita di Gorbachev
La favola della “promessa tradita” è stata smentita dallo stesso Gorbachev, che in un’intervista del 2014, quando dopo l’annessione delle Crimea si riaccesero le tensioni tra Occidente e Russia, sul punto disse:
Il tema dell’espansione della Nato non è stato affatto discusso, e non è stato sollevato in quegli anni. Nessun Paese dell’Europa orientale ha sollevato la questione, nemmeno dopo che il Patto di Varsavia ha cessato di esistere nel 1991. Nemmeno i leader occidentali l’hanno sollevato. Abbiamo discusso di un’altra questione: assicurarsi che le strutture militari della Nato non sarebbero avanzate e che le forze armate aggiuntive dell’alleanza non sarebbero state dispiegate sul territorio dell’allora Germania dell’Est dopo la riunificazione tedesca. La frase di Baker è stata detta in quel contesto.
Un intelletto naufragato
Alcuni mesi fa, un gruppo di accademici americani di origini ucraine scrisse una lettera, pubblicata sul sito dell’Università di Berkeley, dove si smantellavano pezzo per pezzo gli argomenti chomskyani. Pare che il grande vecchio non abbia mai risposto. Come tutti gli ideologi riconosce solo i suoi postulati e le deduzione che ne discendono.
Lo storico Walter Laqueur disse che i suoi scritti erano “una parodia di erudizione che mi ricorda i peggiori eccessi dell’hitlerismo e dello stalinismo”. Ecco Chomsky: un intelletto naufragato.