Esteri

Cile, il mito della sinistra Boric già alla seconda sberla elettorale

Prima la bocciatura della sua riforma costituzionale, ora una maggioranza di destra nella nuova Costituente. Una forte risposta basata sui principi conservatori

Il presidente del Cile Gabriel Boric

I progressisti di tutto il mondo non devono aver iniziato la settimana nel migliore dei modi, soprattutto alla luce dei risultati delle elezioni per il Consiglio costituzionale in Cile. La sinistra non aveva ancora finito di mitizzare il giovane presidente cileno Gabriel Boric che già si ritrova ad avere a che fare con un pugile suonato, provato da due sonore sconfitte nel giro di un anno sul fronte della riforma della Costituzione, caro a lui e alla sua parte politica.

La Costituzione di Pinochet

Le sinistre cilene da qualche anno a questa parte hanno lanciato una crociata contro la Costituzione del 1980 agitando, come in Italia avviene con il fascismo, lo spettro della dittatura del generale Augusto Pinochet, che ha la paternità della Legge fondamentale del Paese sudamericano.

L’attuale Carta costituzionale, nonostante sia stata promossa e approvata ai tempi della giunta militare, ha garantito negli anni successivi una pacifica transizione e una trentennale e stabile democrazia dell’alternanza, tanto da non essere stata mai modificata, se non in alcune parti, dai diversi inquilini de La Moneda.

Boric, sull’onda delle proteste del 2019, ha costruito la sua fortuna (e la sua sfortuna) politica presentandosi come colui che avrebbe messo nel cassetto la “Costituzione di Pinochet” attraverso una distopica declinazione della cancel culture in senso giuridico.

La bocciatura della riforma

Le sopracitate proteste di quattro anni fa hanno portato ad un dibattito riguardante il superamento della Costituzione del 1980, conclusosi nel 2021 con l’elezione di una Costituente, fortemente egemonizzata dai partiti della sinistra.

Le vittorie alle presidenziali e alle legislative devono aver provocato un eccesso di hybris nei progressisti del Cile, tanto da illuderli di poter disporre dell’intera nazione come se fosse cosa loro e imporre a 19 milioni di cileni una Costituzione marcatamente di parte e fortemente schierata su argomenti controversi e divisivi come temi etici, ambientalismo ed intervento dello stato nell’economia.

Lo schema costituzionale immaginato dalle sinistre, tuttavia, non ha ottenuto il sostegno dei cittadini cileni, che con il 62 per cento lo scorso settembre hanno respinto la riforma attraverso un referendum.

Maggioranza di destra alla Costituente

Gli elettori cileni, richiamati ad eleggere il Consiglio costituzionale, hanno dato mandato ad un’ampia maggioranza conservatrice di modificare la Ley Fundamental del Paese.

Adesso toccherà alla destra di Josè Antonio Kast, astro nascente della politica cilena e importante punto di riferimento per tutti gli anticomunisti sudamericani, dare una lezione di cultura politica e giuridica ad una sinistra sempre più radicale e ideologica, e mettersi al lavoro per dare vita ad una Costituzione condivisa e in grado di rappresentare tutto il popolo cileno senza distinzioni politiche e ideologiche.

La risposta conservatrice

Nell’attesa di commentare il testo che uscirà dalla neoeletta Costituente, ci sono alcune conclusioni politiche che si possono trarre dai recenti fatti cileni.

Esiste una forte risposta conservatrice ai mali del nostro tempo basata su storici precetti di questa area politica: la difesa delle libertà economiche e della proprietà privata, un forte richiamo al protagonismo nazionale e al principio di sussidiarietà in politica estera, e il mantenimento di quei valori tradizionali, storici e culturali contro le derive del politicamente corretto e della cancel culture.

Caratteristiche comuni per tutti i movimenti conservatori, da Israele al Cile passando per l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone, nel solco della migliore tradizione fusionista reaganiana. I successi di questo variegato movimento politico, culturale e sociale naturalmente non sono compresi dai media mainstream, subito pronti ad etichettare le nuove destre occidentali come fasciste, suprematiste e, in questo caso, “pinochetiste”.