In qualità di ex consigliere di numerosi presidenti del Consiglio, esperto di dinamiche transatlantiche, e dal 2003 al 2005 ambasciatore d’Italia a Washington, abbiamo chiesto all’ambasciatore Sergio Vento qualche indicazione su cosa aspettarci dalla nuova amministrazione Trump in politica estera.
La chiave del successo di Trump
FRANCESCO SUBIACO: Ambasciatore, come commenta il risultato delle elezioni presidenziali statunitensi?
SERGIO VENTO: La vittoria di Donald Trump può essere letta ancor prima che un successo dei Repubblicani, soprattutto come una debacle dei Democratici. Un fallimento favorito tanto dal ritiro in corsa di Biden – dopo l’andamento imbarazzante del primo dibattito – quanto da una precipitosa e improvvisata designazione verticistica di Kamala Harris con una convention democratica chiamata a ratificarla ignorando le potenziali candidature di altri esponenti del partito, quali ad esempio i governatori della California e dell’Illinois.
La stessa Harris che era stata una figura quasi irrilevante (se non invisibile) nel quadriennio Biden, ha portato avanti poi una campagna elettorale basata su tematiche prettamente culturali e valoriali (dal contrasto al razzismo, ai temi woke) trascurando l’obiettivo di conquistare i voti delle categorie meno privilegiate.
Trump ha, infatti, approfittato del deficit politico dei Democrat in tre settori chiave: inflazione, immigrazione e l’impatto qualitativo della globalizzazione sul mercato del lavoro americano. Portando avanti una proposta politica concreta che ha persuaso la fragilizzata middle class americana (specie la lower middle class) a confermarlo presidente, pur con i suoi eccessi e limiti.
Le sfide del mondo a-polare
FS: Quali saranno i principali nodi della futura amministrazione Trump?
SV: La vera sfida del trumpismo sarà quella di rendere compatibili le sue promesse elettorali con la realtà concreta statunitense. Un aspetto che reca non poche insidie… Ad esempio, il taglio delle imposte sui redditi più elevati rischia di portare ad un maggiore debito pubblico. Le riduzioni del welfare – tramite tagli spigolosi – potrebbero tradursi nel rischio di un deficit di servizi sociali e pregiudicare il legame con le classi meno abbienti.
Egualmente, i dazi sulle importazioni dalla Cina (ma anche dall’Europa) per rilanciare il settore manifatturiero interno rischiano di essere controproducenti favorendo un forte aumento dell’inflazione e minando il potere d’acquisto. Sarà quindi necessario sviluppare un attento fine tuning tra promesse, equilibri interni e policies adottate. Un aspetto necessario anche sul piano internazionale.
Cina, Ucraina e Medio Oriente
FS: Come si comporterà il rinnovato Potus in politica estera?
SV: Credo che Trump proseguirà un approccio realista, bilaterale e pragmatico cercando di far convergere l’interesse americano e le promesse elettorali. Con la Cina l’obiettivo della nuova amministrazione sarà molto concreto nella ricerca di un significativo riequilibrio della bilancia commerciale, ridimensionando l’enfasi sulle sfide tecnologiche e soprattutto propiziando lo status quo per il futuro di Taiwan.
Ancora più evidente sarà la ricerca di un congelamento del confronto russo-ucraino lungo le attuali linee del fronte che evitando un riconoscimento de iure, operi una stabilizzazione de facto a medio-lungo termine. Tuttavia resta ancora da definire come verrà garantita la sicurezza dell’Ucraina e quale sarà lo status internazionale del Paese nel rapporto con la Nato e l’Unione Europea.
Trump cercherà poi, verosimilmente, di indirizzare le evoluzioni mediorientali, tramite un approccio “transactional” e “negoziale”, con l’obiettivo di conciliare la difesa degli interessi israeliani a lungo termine e il rilancio degli Accordi di Abramo con l’obiettivo di coinvolgere in questo disegno anche l’Arabia Saudita.
Un obiettivo ambizioso, soprattutto alla luce delle conclusioni cui è pervenuto -martedì 12 novembre proprio nella capitale saudita – il vertice congiunto Lega Araba-Organizzazione per la Cooperazione Islamica, con una esplicita condanna delle operazioni israeliane a Gaza, e la rivendicazione di uno Stato palestinese con Gerusalemme Est quale capitale…
Si tratta di condizioni che inevitabilmente porteranno ad una ridefinizione delle ambizioni di Netanyahu sotto la pressione di una nuova amministrazione americana più coesa e meno esitante di quella uscente.