Come funziona l’Ue: potere debole, non limitato e accentrato

Al contrario degli Usa, dove il potere è forte, ma limitato e suddiviso. Altro che “elezioni europee”, si sono tenute 27 elezioni statali concomitanti

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Dopo una campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo incentrata in tutti i Paesi essenzialmente sui problemi nazionali, alla quale sono seguite prese di posizione successive al voto altrettanto riferite soprattutto alle conseguenze della consultazione nei singoli stati (valga per tutti lo scioglimento dell’Assemblea nazionale in Francia), una campagna elettorale dove nessun partito ha proposto un “leader” unitario di livello europeo, capace di fondere tra loro le posizioni nazionali e alla quale è seguito un dibattito accentrato principalmente sul ruolo che i singoli stati svolgeranno a livello di governo dell’Unione europea, la cosa principale che viene da chiedersi è questa: le elezioni degli scorsi giorni sono state, o meglio, hanno avuto il significato e il valore di elezioni europee (di quella gran parte di Europa che aderisce all’Unione) unitarie oppure sono state di fatto, cioè hanno avuto il significato e il valore di 27 diverse elezioni statali concomitanti, il cui risultato è solamente la sommatoria dei risultati nazionali?

Ovviamente la questione si trasforma subito in un’altra, che della prima è al tempo stesso la premessa e la conseguenza: cos’è diventata l’Unione europea a più di trent’anni dal Trattato di Maastricht? È simile ad uno stato federale (gli Stati Uniti d’Europa) sia pure incompleto e ancora in via di realizzazione, oppure è piuttosto simile ad una organizzazione internazionale come l’Onu, l’Unione Africana ecc., solo con poteri più penetranti, più intensi rispetto a queste nei confronti degli stati membri e dei loro cittadini?

Potere forte negli Usa, debole nell’Ue

Proviamo a fare un confronto tra l’Unione europea e lo stato federale per eccellenza, quello che oltretutto a giudizio di chi scrive incarna più di ogni altro i valori liberali e democratici occidentali, gli Stati Uniti d’America, un confronto che ci porterà a paragonare tra loro due mondi profondamente diversi. Infatti, mentre il potere federale americano è un potere forte, limitato e suddiviso, quello dell’Unione europea è un potere debole, non limitato e accentrato. Vediamo di chiarire in breve questi concetti, con l’avvertenza che essi intendono esprimere delle linee di tendenza sociali e politiche e non delle verità assolute di tipo matematico.

Il potere pubblico dello stato federale in America è innanzi tutto un potere “forte”: lo stato federale dispone di un esercito, di un apparato fiscale, di un apparato di polizia, di un bilancio che spesso eroga fondi ai singoli stati in difficoltà, ha una propria serie di giudici, ha una propria serie di leggi anche penali, e a monte ha una propria politica interna ed estera autonoma, e quest’ultima esclude ogni competenza degli stati in materia. Lo stato federale americano è di conseguenza in tutto e per tutto indipendente nel suo funzionamento dagli stati membri. Le autorità federali portano a compimento i loro atti in prima persona e solo eccezionalmente si avvalgono di quelle statali (ad esempio in campo fiscale) e quando lo fanno, queste ultime hanno un ruolo solo esecutivo.

L’Unione europea dispone invece di un potere “debole” verso gli stati: a parte qualche piccola struttura, con funzioni, mi si perdoni la durezza del concetto, decisamente marginali essa lascia agli stati le competenze in politica estera, in materia di polizia, di giustizia penale; non dispone di una fiscalità capace di operare a livello di tutta l’Unione e le erogazioni di fondi ai singoli stati (tipo quelle previste dal Pnrr) assomigliano più a contributi internazionali contrattati con i Paesi economicamente “forti” che a trasferimenti di risorse effettuati da un’autorità comune, superiore agli stati.

Inoltre, tutte le prescrizioni autoritative dell’Unione (direttive e regolamenti, decisioni, sentenze ecc.) devono necessariamente essere attuate dalle autorità statali, come se l’Unione non potesse camminare sulle proprie gambe, ma avesse sempre la necessità di appoggiarsi al bastone dei funzionari statali.

Le conseguenze possono essere anche molto negative per il rispetto dei principi liberali e democratici: la tendenza degli stati più potenti economicamente e politicamente a rallentare se non, in casi estremi, ad impedire l’attuazione delle norme dell’Unione dannose per i loro interessi può essere decisamente forte.

Si pensi ad esempio ai famosi “parametri” contenuti nel trattato di Maastricht (ora art. 140 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea) per l’ingresso e la permanenza nell’unione monetaria (mi riferisco in particolare al limite del 3 per cento del rapporto deficit – Pil) i quali furono sbandierati come se fossero il decalogo dettato da Dio, nei confronti degli stati “maiali”, i PIGS (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), mentre gli stessi parametri furono bellamente ignorati quando a sforarli furono Francia e Germania.

Per non parlare del regolamento europeo del 2021 (norma di applicazione diretta ai singoli cittadini) che durante la pandemia dal Covid-19 vietava l’uso discriminatorio del Green Pass verso i non vaccinati, rimasto lettera morta nel nostro Paese.

Il potere federale americano, come da tradizione anglosassone, è in secondo luogo un potere limitato, limitato dal rispetto dei diritti individuali, che sono definiti dall’attività giudiziaria (anche se talora tramite ripensamenti e contrasti tra sentenze successive) e sono organizzati intorno ad alcuni principi fondamentali che consentono di stabilire una serie di pochi ma inderogabili situazioni e comportamenti dei cittadini con i quali le decisioni politiche, anche se finalizzate al bene pubblico, non possono interferire.

Si pensi al diritto alla libertà di espressione tutelato in maniera assoluta, a quello all’autodifesa, alla libertà di scegliere il proprio modo di vita, che ha impedito l’imposizione di restrizioni simili al già citato Green Pass; alla tutela della proprietà privata verso gli espropri ecc.

Tanti diritti, potere illimitato

Il potere dell’Unione europea è invece di fatto tendenzialmente illimitato (in questo erede della tradizione continentale degli stati assoluti dei secoli scorsi, che la democratizzazione ha modificato ma non ha del tutto scalzato), perché, oltre alle strutture non responsabili della loro azione in nome della loro competenza “tecnica” come la Bce e gran parte degli uffici della Commissione, anche gli organi democraticamente responsabili come il Parlamento o il Consiglio, di fronte a una serie molto ampia di diritti previsti dalle norme (contenute nella Carta di Nizza del 2000, richiamata dall’attuale art. 6 del Trattato sull’Unione europea) incontrano di fatto pochi limiti a tutela della posizione dei privati, perché tutti i diritti sono “bilanciabili” con gli interessi pubblici fatti valere per promuove altri diritti parimenti formalmente tutelati (così la libertà di espressione cede davanti alla tutela del sentimento personale delle minoranze, la libertà di iniziativa economica cede danti alla tutela ambientale esasperata, le scelte personali cedono davanti alla tutela delle regole che “educano” al benessere sanitario ecc.).

Pertanto, mentre negli Usa, pochi ma definiti diritti limitano il potere pubblico, nell’Ue tanti diritti si annullano tra loro e di fatto il potere tende ad essere quasi assoluto, o al più soggetto ad un controllo giudiziario che assomiglia maggiormente ad una revisione politica che non ad una vera e propria tutela giuridica.

E qui siamo alla terza differenza: mentre il potere pubblico americano è diviso (o meglio separato, secondo i principi enunciati da Montesquieu), nell’Unione europea il potere è accentrato (o facilmente accentrabile) in capo ad un’unica struttura o a più strutture simili. Questo è vero non solo riguardo ai tre classici poteri dello stato, che negli Usa sono separati come in nessuna altra parte del mondo (il legislativo emana le norme, l’esecutivo decide in base ad esse di realizzare le finalità di pubblico interesse e il giudiziario tutela i diritti individuali), mentre nell’Ue non si riesce spesso a distinguere tra sentenze della Corte di giustizia con valore normativo, decisioni individuali della Commissione estendibili anche ad altri casi, direttive del Parlamento e del Consiglio con funzione giudiziale finalizzate a decidere delle controversie ed altri simili atti “ibridi” tra i diversi poteri.

Sussidiarietà Ue solo sulla carta

La divisione dei poteri però (e per quanto riguarda il nostro discorso, questo è l’aspetto più importante) negli Stati Uniti riguarda anche e soprattutto il rapporto tra stato federale e stati membri, le cui competenze (a parte alcuni settori di incertezza, tutto sommato fisiologici, quali quello dei “poteri federali impliciti” non espressamente previsti dalla costituzione americana) sono nettamente separati, mentre nell’Unione europea, il tanto decantato (a torto a giudizio di chi scrive) “principio di sussidiarietà” (art. 5 del Trattato sull’Unione europea) che prevede che spettano agli stati i poteri per cui non è necessario l’intervento dell’Unione, di fatto consente tutto e il suo contrario, dalla più ampia autonomia degli stati al più rigoroso intervento dell’Unione, come ad esempio è avvenuto nelle recenti direttive “green” sulle case e sulle auto, tanto invasive dei diritti dei privati quanto lesive dell’autonomia degli stati.

Negli Usa norme simili sono di competenza in parte allo stato federale e in parte agli stati federati e si limitano in genere a disciplinare le attività delle amministrazioni pubbliche.

Deficit di libertà e democrazia

Tenendo conto di quanto detto sin qui, possiamo provare a definire l’Unione europea non come uno stato federale che richiede un potere forte, ma come una organizzazione sovranazionale che dipende pur sempre dalle decisioni dei singoli stati membri nella attuazione delle sue politiche, e che in quanto basata su un potere non limitato e accentrato (o accentrabile) possiamo definire anche come una struttura che ha un profondo “deficit” sia di liberalismo che di democrazia.

Oggi di fatto l’Unione può essere considerata come una struttura sovranazionale intermedia tra uno stato federale e un’organizzazione internazionale simile ad un cartello, cioè ad una organizzazione nella quale i membri più forti finiscono per imporre, “impadronendosi” degli organi decisionali dell’Unione, le regole comuni e per dominare i più deboli, e finiscono per dare eccessivo spazio al potere dei tecnocrati, che troppo spesso, come accade anche nelle organizzazioni internazionali, di fatto traducono in decisioni non criticabili le scelte degli stati e dei soggetti economici multinazionali dominanti nella realtà europea (specialmente in relazione ai mercati finanziari operanti nella stessa).

Due soluzioni

Le vie per ovviare a questa situazione sono ovviamente due: la soluzione “europeista”, cioè la creazione di un potere federale vero e proprio, “forte” e autonomo (prima di tutto con una fiscalità legata ai cittadini e non agli stati), e la soluzione “sovranista”, cioè il ritorno di molti poteri ai singoli stati, il che libererebbe i Paesi “deboli” dal potere di quelli “forti” di imporre le proprie scelte attraverso gli organi dell’Unione.

Chi scrive preferisce la seconda soluzione (anche se rispetta chi crede nella prima), ma soprattutto ritiene che una Unione come è quella attuale, “né carne né pesce” che finisce solo per penalizzare gli stati singoli (e con la crisi anche gli stati forti, come la Germania e la Francia) che subiscono le conseguenze degli eccessivi vincoli sovranazionali che non hanno alle spalle un potere forte e responsabile delle proprie scelte, una Unione che soprattutto finisce per penalizzare i cittadini e le autonomie locali, debba essere profondamente modificata.

È su questi temi che, magari con una pacatezza e una profondità che sembrano non appartenere più alla nostra epoca, dovrebbe essere analizzata e dibattuta l’alternativa “più o meno Europa” e dovrebbero essere prese le decisioni necessarie per migliorare l’attuale situazione della struttura e del funzionamento dell’Unione europea per il cui Parlamento abbiamo votato.

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