Con la morte di Nasrallah scosso nel profondo il progetto imperiale iraniano

La maggior parte dei regimi mediorientali ha ormai accettato l’esistenza di Israele. I reciproci errori di comunicazione tra Occidente e Mondo arabo. L’alleanza islamismo-sinistra

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Dopo l’11 settembre 2001, quando i terroristi di Al Qaeda distrussero le Torri Gemelle provocando migliaia di morti, non tutte le reazioni furono di solidarietà per le vittime: nei Paesi arabi, ci furono folle esultanti che festeggiarono alla notizia, ad esempio tra i palestinesi di Gerusalemme Est.

Ad oltre un ventennio di distanza dall’attentato alle Twin Towers, coloro che quel giorno esultarono hanno attraversato l’Oceano Atlantico e fatto proselitismo tra le giovani generazioni di americani. Dopo il 7 ottobre 2023, quando Israele ha subito il più grande massacro di ebrei dai tempi della Shoah, le strade e le università americane si sono riempite di folle che inneggiano al terrorismo di Hamas.

Per capire come sono cambiati nel corso dei decenni i rapporti tra gli Stati Uniti e il mondo arabo e islamico, abbiamo parlato con il diplomatico americano Alberto Miguel Fernandez: nato a Cuba e cresciuto in Florida, dove giunse con la famiglia come rifugiato quando aveva solo un anno di vita, dal 1983 al 2015 ha vissuto e ricoperto vari incarichi diplomatici in diversi Paesi musulmani (Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Siria, Giordania, Afghanistan, Sudan) e dell’America Latina (Repubblica Dominicana, Nicaragua, Guatemala). Già ambasciatore americano in Guinea Equatoriale dal 2010 al 2012, oggi è vicepresidente del MEMRI (Middle East Media Research Institute). Dal 2017 al 2020 è stato anche presidente della MBN (Middle East Broadcasting Networks), una rete di emittenti radiotelevisive in lingua araba gestita dal governo americano.

NATHAN GREPPI: Lei ha iniziato a sviluppare un certo interesse per il Medio Oriente molto prima che il tema diventasse rilevante quanto lo è oggi. Come è nato il suo interesse per questa area del globo?

ALBERTO MIGUEL FERNANDEZ: Ero molto giovane, un adolescente. Mi ero innamorato dell’immagine romantica dell’Oriente che, da lettore vorace, trovai sia nella narrativa che nella saggistica. Basti pensare a opere come Il Talismano di Walter Scott. O ad autori come Rider Haggard, Harold Lamb, Emilio Salgari e Robert E. Howard. Racconti di avventure orientali, crociati e cavalieri. Ma anche di esploratori realmente esistiti, quali Burton, Doughty, Thesiger, Gordon, Lawrence e Romolo Gessi. A 18 anni mi sono arruolato nell’esercito degli Stati Uniti per poter imparare l’arabo, e dopo il servizio militare ho continuato a studiare questa lingua all’Università dell’Arizona. In seguito, sono diventato un diplomatico.

L’approccio Usa in Medio Oriente

NG: Dagli anni ’80 ai 2000, lei ha svolto diversi incarichi per conto del Dipartimento di Stato americano in molti paesi islamici: Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Giordania, Sudan, Siria, Afghanistan. Quali sono stati i principali cambiamenti avvenuto in quel periodo nell’approccio della diplomazia statunitense verso il mondo arabo e musulmano?

AMF: Dopo gli attentati terroristici del 2001, c’è stato un intenso sforzo da parte della diplomazia americana per cercare di capire meglio la regione, al fine di “conquistarli” e portarli dalla nostra parte. Come spesso accade con gli americani, in questo sono stati investiti tempo, denaro e duro lavoro. Ma in generale, soprattutto ai ranghi più alti, eravamo troppo semplicistici e troppo arroganti per comprendere bene la realtà.

Gli americani possono essere impazienti, con una scarsa attenzione. Ci siamo affidati più alla tecnologia che al rapportarci con le persone faccia a faccia. Troppo pochi diplomatici parlavano arabo, ed erano anche disposti a uscire dai confini delle ambasciate fortificate dove eravamo protetti. Noi, come istituzione, abbiamo contemporaneamente demonizzato e idealizzato sia l’Islam che i musulmani, li abbiamo accusati e giustificati. Spesso eravamo troppo superficiali nella nostra comprensione. E c’erano sempre le grandi “macro” decisioni, come andare in Iraq o ad Abu Ghraib, che avrebbero messo in ombra qualsiasi cosa venisse fatta a livello “micro”.

Come gli arabi vedono gli Usa

NG: Qual è stato, invece, il principale cambiamento nel modo in cui il mondo arabo vede gli Usa?

La regione vedeva l’America e l’Occidente come aveva sempre fatto: sia con amore che con odio, a volte contemporaneamente. Quindi l’Occidente è stato troppo invadente imponendosi ad est, e allo stesso tempo non era abbastanza invadente, in quanto stringeva patti faustiani con i regimi locali.

Il cuore del problema è l’immagine non riconciliata che il mondo arabo e musulmano ha di sé stesso, delle glorie passate e dei sogni di dominio imperiale che permangono ancora oggi. Vedono l’Occidente come arrogante e ignorante, e c’è del vero in questo. Non riconoscono di essere loro stessi arroganti e ignoranti, e anche questo è un problema.

C’erano regimi, i “nostri alleati”, che da un lato lavoravano a stretto contatto dietro le quinte con le nostre forze armate e i nostri servizi segreti; ma dall’altro lato, gli stessi regimi vendevano ogni giorno al loro popolo veleno sull’Occidente attraverso i media da loro controllati.

Il mondo arabo e Israele

NG: In base alla sua esperienza, come è cambiato il modo in cui il mondo arabo vede Israele?

AMF: Oggi c’è molta più accettazione di Israele che mai nel mondo arabo e musulmano; è più riconosciuto il fatto che si tratta di uno Stato come tutti gli altri, che merita il suo posto al sole. Non c’è dubbio che questo sia il cambiamento principale, e nemmeno la guerra a Gaza è stata in grado di cancellarlo completamente. Grazie alla televisione panaraba, gli arabi sanno molto di più su Israele e le sue dinamiche interne, sia buone che cattive, di quanto non sapessero prima.

D’altra parte, gli Stati e i movimenti che vogliono distruggere Israele esistono ancora e sono attivi, ma oggi sono quasi tutti appartenenti al campo islamista. La maggior parte dei regimi si sono più o meno riconciliati con l’esistenza di Israele. Con la gente è più complicato, perché molti di loro odiano i propri regimi, e quindi l’odio verso Israele è un modo per esprimere in maniera indiretta l’odio verso i propri governanti.

Islamismo nei campus Usa

NG: Quasi vent’anni dopo l’11 settembre, vediamo nei campus statunitensi un forte sostegno ad Hamas e all’islamismo radicale. Come siamo arrivati a questa situazione?

AMF: Siamo entrati in questa situazione a causa del fenomeno tipicamente occidentale, che si è visto anche in Europa, dell’unione tra l’islamismo radicale e la sinistra. Non è una grande sorpresa, se si ricorda l’importante ruolo che l’Unione Sovietica e i suoi satelliti hanno svolto nella creazione dei movimenti rivoluzionari palestinesi negli anni ‘60, e nella demonizzazione di Israele dipinto come uno Stato di apartheid.

I campus americani sono per lo più controllati dalla sinistra, e la battaglia interna è spesso tra l’estrema sinistra e i liberal di sinistra al potere. Nei campus degli Stati Uniti, ci sono poche persone a destra in vere posizioni di potere. E anche se in Medio Oriente l’Islam politico e la sinistra sono solitamente nemici, in Occidente sono spesso alleati in una certa misura, perché hanno gli stessi nemici: gli ebrei, Israele, il cristianesimo, lo Stato-nazione occidentale. Questo è il motivo per cui chiedono di “globalizzare l’Intifada” e di far cadere l’America dopo aver distrutto Israele. Sono altrettanto propensi a bruciare la bandiera americana quanto quella israeliana.

Comunicare con il pubblico mediorientale

NG: Come presidente della MBN, lei ha sviluppato una competenza specifica nel campo della comunicazione; quali sono state le carenze che le diverse amministrazioni americane hanno avuto nel comunicare con il pubblico mediorientale?

Troppo spesso questi sforzi di comunicazione erano nelle mani di dilettanti, ben intenzionati o meno, che sapevano poco della regione o, peggio ancora, che affidavano il lavoro a dipendenti arabi che avevano la loro agenda. Gli americani spesso non sapevano cosa stesse succedendo e cosa venisse detto. Quello che si sarebbe dovuto fare è, ironicamente, lo stesso che hanno fatto i nostri avversari, i russi, quando hanno creato l’edizione araba di RT (Russia Today): hanno utilizzato dei veterani, estremamente informati sulla lingua e sulla regione, presi dai loro servizi diplomatici e di intelligence.

Alla MBN ho cercato di trasmettere agli arabi un’immagine positiva, umanistica e tollerante di sé stessi realizzata da sé stessi, con le loro stesse voci, piuttosto che dire: “Dovreste essere come un americano”. Sembrava funzionare bene per un po’, ma dopo che me ne sono andato sembra che non ci sia più nessuno al comando. Certamente nessuno che abbia una visione.

NG: In che modo l’Occidente dovrebbe sviluppare la propria strategia di comunicazione verso il mondo arabo e musulmano?

AMF: L’Occidente dovrebbe cominciare prima di tutto cercando di capire se stesso. Che cos’è l’Occidente oggi? È l’America? O la Nato? È la democrazia liberale, l’individualismo estremo, la libertà di fare qualsiasi cosa e il capitalismo? È la cristianità? O è qualcos’altro? Se gli arabi e i musulmani hanno i loro complessi interni, è altrettanto vero che li abbiamo anche noi.

Quindi, per cominciare occorre cercare di capire chi siamo e che cosa vogliamo comunicare. Il nostro obiettivo è quello di farli diventare come noi, di renderli “moderati”? Perché molto spesso i nostri messaggi sono assai confusi, perché noi stessi siamo confusi.

Penso che il messaggio debba arrivare da parte di uno Stato che possiede un’identità chiara, che sia orgoglioso delle sue tradizioni e dei suoi valori, che sia impenitente, e che sia più comprensibile per gli arabi e forse anche per noi.

L’eliminazione di Nasrallah

NG: Dopo la recente eliminazione del leader di Hezbollah, Hasssan Nasrallah, come pensa che potrebbe evolversi la situazione tra il Libano e Israele?

L’operazione israeliana in Libano delle ultime settimane, culminata nell’eliminazione di Nasrallah e del suo entourage, è un trionfo del lavoro di intelligence che sarà studiato nei libri di storia per molti anni. Nasrallah ha incarnato più di chiunque altro il progetto imperiale del regime iraniano nel mondo arabo, che ora è stato scosso nel profondo. La domanda è se Israele, o chiunque altro, possa trarre vantaggio dalla decapitazione di Hezbollah traducendola in reali vantaggi politici e strategici.

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