Con l’arrivo di Trump e l’uscita di Scholz le stelle si allineano

L’offerta di Lindner e Merz (prossimo governo a Berlino) a Trump: il riarmo tedesco e una via possibile per il riarmo del resto d’Europa. Un ordine atlantico e non più franco-tedesco

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A Berlino, si sono dimessi i ministri FDP (Partito Liberal-Democratico), incluso il ministro delle finanze Christian Lindner. Sicché, al cancelliere Olaf Scholz, restando l’appoggio soltanto della propria SPD e dei Verdi, tocca proporre lui stesso un voto di fiducia al Bundestag, perderlo e dimettersi. L’unica residua incertezza è se le prossime elezioni federali saranno convocate per gennaio, o per marzo.

La caduta di Scholz è – di per sé – una non-notizia: travolto dalle elezioni europee di giugno, da allora egli è solo un cadavere politico che cammina. La notizia, semmai, sta tutta nelle motivazioni politiche addotte dai protagonisti stessi.

Una crisi sul pareggio di bilancio

Il terreno dello scontro è lo “Schuldenbremse”, o freno all’indebitamento. Un disgraziatissimo dettato della locale Legge Fondamentale, il quale impone ai governi di non fare deficit di bilancio superiori allo 0,35 per cento del Pil. Ciò che Scholz ha lungamente aggirato, facendo uso di fondi speciali. Fino a che ne è stato impedito, lo scorso anno, dalla Corte costituzionale di Karlsruhe. Vicenda alla quale avevamo dedicato un lungo articolo.

In breve, a Scholz restava una unica scappatoia, la dichiarazione di una sorta di “stato di emergenza finanziario”. Ciò che egli ha fatto in tutti gli anni scorsi (il vero deficit pubblico 2022 fu il 3,84, quello del 2023 il 4,9 per cento … e lo dice la loro Corte dei Conti). Ed è così che egli voleva fare pure questo prossimo anno fiscale.

Scholz contro il riarmo tedesco

Così il cancelliere: “la guerra di aggressione russa – che è già al suo terzo anno – e le sue conseguenze, costituiscono una tale emergenza” … lo stato di emergenza finanziario. Perciò, niente più freno all’indebitamento, ma deficit a gogò. Ad interessarlo, è una lettura interessata delle conseguenze della guerra: i soldi gli servirebbero per sovvenzionare consumi elettrici, dipendenti dell’industria automobilistica, certi investimenti che piacciono a lui. Tutte poste univocamente riferibili alla transazione gretìna.

E, solo in fine, “aumentare il nostro sostegno all’Ucraina” … ma con particolare riferimento al mantenimento dei profughi, da quel Paese fuggiti in Germania. Mentre – fra gli “assi principali” della sua desiderata politica di spesa – non rientra il riarmo tedesco, cui viene dedicata solo qualche parola vuota sulla necessità di “aumentare significativamente i nostri investimenti nella nostra difesa e nelle nostre forze armate” … quando, non si sa: apparentemente non nel suo prossimo progetto di bilancio.

Come si vede, per Scholz la guerra in Ucraina è solo una grande scusa per continuare a finanziare la propria transizione gretìna e – accessoriamente – l’integrazione migratoria. Ciò che Lindner oggi riconosce pacificamente: “Scholz ha solo usato l’Ucraina”.

Quanto all’Ucraina vera e propria, egli si oppone alla prospettiva di un’adesione alla Nato e, anzi, ha fatto filtrare una proposta molto ma molto putiniana. La seguente: un “gruppo di contatto” coi Brics amici o in commercio con Mosca (Cina, India e Brasile), che offra alla Russia la neutralizzazione dell’Ucraina non occupata … in cambio di una “soluzione di pace”, cioè del ritiro delle sanzioni. Per Putin, la vittoria totale e, per Scholz, il ritorno al bel tempo antico del gasdotto nordstream.

Lindner per il riarmo tedesco

Contro di lui, il ministro Lindner. Il quale, al contrario di Scholz, vuole il riarmo tedesco … ma rispettando il freno all’indebitamento, cioè senza fare deficit. Così il suo documento programmatico prevede un rialzo dei fondi per la difesa … finanziato da ampi tagli alle politiche sociali, migratorie e gretìne.

Dove si vede come la differenza con Scholz non sia solo relativa al modo di finanziare il riarmo, bensì sul riarmo stesso. Scholz mischia le carte quando, sul finanziamento della spesa sociale (“tale o l’uno o l’altro, è veleno”), egli insiste al punto da usarlo per aprire la crisi di governo. Invero, il dissenso è relativo pure alla destinazione di spesa: Lindner vuole il riarmo, Scholz no.

Lindner e il riarmo del resto dell’Eurozona

Tuttavia, la maniera nella quale Lindner vuol riarmare – senza fare deficit – egli non vuole imporla solo alla Germania, ma pure agli altri Stati dell’Eurozona. In merito, egli è assai preciso: “nell’Ue, nella Nato e anche a Berlino, noi dobbiamo – ora più urgentemente che mai – fare i nostri compiti a casa di politica economica e di politica di sicurezza”. Tradotto, riarmo e austerità hanno pari importanza, pari urgenza.

Di più, tale posizione pare condivisa dal prossimo cancelliere, Friedrich Merz della CDU, quando invoca un’Europa “rafforzata all’interno e unita all’esterno”. Laddove, per un tedesco, l’austerità fiscale è sempre sinonimo di rafforzamento all’interno.

Purtroppissimo, ciò rende forse possibile il riarmo tedesco … ma certamente impossibile quello della gran parte degli altri Stati dell’Eurozona (come sanno molto bene Draghi e Mattarella).

Lindner indifferente alla moneta unica

Come se ne esce? È lo stesso documento programmatico di Lindner, a spiegarlo: è dentro la moneta unica che i deficit di bilancio altrui comportano “conseguenze imprevedibili per la stabilità del sistema finanziario e la reattività della politica monetaria europea”, nonché “precisamente per impedire un simile sviluppo è nato il freno all’indebitamento”. Tradotto, se gli altri Stati membri vogliono riarmare, escano dalla moneta unica. Nonché, se ciò accade allora dopo – ma solo dopo – la Germania potrà pure mettersi a fare più deficit.

Dopodiché, il resto del documento programmatico è un inno alla maniera tradizionale tedesca di riconquistare competitività … senza mai una volta citare il tasso di cambio. È come se dicesse: “torniamo al Marco rivalutato. E che problema c’è?!”.

Eccola, l’offerta di Lindner e Merz (cioè, del prossimo governo tedesco) per Trump: il riarmo tedesco e una via possibile per il riarmo del resto d’Europa.

Trump e l’Ucraina

Ciò che non si vede perché Trump dovrebbe rifiutare. Atteso come egli abbia detto di non voler cominciare nuove guerre, non di non voler continuare quelle già iniziate, o di non voler combattere nuove guerre che gli vengano mosse.

Certo, sull’Ucraina egli ha promesso di cercare un armistizio, che noi vedremmo dalle parti del Dnieper. Ma, appunto, non una pace, la quale necessariamente richiederebbe il riconoscimento formale delle annessioni russe e la fine delle sanzioni.

Un armistizio coreano, diremmo: a seguito del quale l’Ucraina occidentale sarebbe tutt’altro che finlandizzata, bensì ricostruita e armata e difesa dai Paesi membri della Nato europei, ma pure dagli Usa. Certo, ad oggi Trump insisterebbe a non mandare soldati propri, ma si sa bene che gli eserciti europei non sono (e non saranno) costruiti per combattere senza accanto militari americani. Agli europei, toccherà comunque riversare in Ucraina fior di denari, armi e soldati sul piede di guerra: esattamente ciò che gli americani fecero in Corea del Sud.

Ecco perché il riarmo tedesco non basta, ecco perché serve pure il riarmo degli altri Stati europei. Ecco perché Trump non ha ragione di rifiutare l’offerta di Lindner e Merz.

Accessoriamente, la fine della moneta unica significherà la fine del potere semi-imperiale tedesco sul resto del Continente, il che renderà in futuro impossibile – ad un cancelliere peggiore del buon Merz – imporre un errore mastodontico come la dipendenza gasiera dalla Russia attraverso il gasdotto nordstream, a suo tempo imposta dalla tragica Kulona Inchiavabile ad una Ue stremata dalla crisi del 2011. Tutto fieno che, dalla cascina di Putin, passa alla cascina atlantica.

Leuropa contro Trump

A chi ancora dubiti che le cose stiano così, proporremo una breve rassegna dei messaggi di congratulazione inviati al buon Trump. Cominciamo con Scholz, il quale prima scrive di “collaborazione”, poi di “partnership e amicizia” … senza mai qualificare gli Usa come “alleato”.

Anzi, descrivendoli come un Paese “diviso” ed invocando, a contrario, l’unità degli europei: “l’Ue deve – soprattutto ora – restare unita e agire unanime”. A tal fine annunciando di essere d’accordo con Macrone il quale, lui pure, non qualifica gli Usa come “alleato”, bensì sottolinea le distanze da Trump: “lavorare insieme … con le vostre convinzioni e con le mie”.

Portandosi dietro pure il nostro Mattarella il quale, pur’egli, nel proprio messaggio non qualifica gli Usa come “alleato”. Bensì sottolinea ciò che a Trump spiace (“comune adesione a un ordine internazionale fondato sulle regole”) e subordina tutto alla “cornice delle relazioni tra gli Usa e l’Ue”.

Ciò che non dovrebbe stupire, siccome il quirinalista ufficiale Massimo Breda si era molto recentemente preoccupato di informare che, nel suo prossimo viaggio in Cina, lo stesso Mattarella “cercherà … di approfondire … la consistenza dell’idea annunciata da Putin al summit dei Brics di Kazan. Creare, cioè, un nuovo ordine mondiale alternativo all’ordine occidentale egemonizzato da Washington”. Nonché, soprattutto, solleciterà “un ruolo multilaterale di Pechino per favorire la soluzione dei conflitti in Ucraina e in Medio Oriente … un suggerimento concreto, non una suggestione”. Cioè, precisamente, la proposta fatta filtrare da Scholz e della quale abbiamo parlato.

Ed eccola, Leuropa contro Trump. La quale, fortunatamente, perlomeno nelle persone chiave di Scholz e Macrone è destinata ad una rapida uscita dalla scena politica.

L’Europa con Trump

Con Trump, il buon Merz, come abbiamo spiegato. Che si trascina dietro la compagna di partito Von der Leyen: “Ue e Usa sono più che semplici alleati”. E la ottima Giorgia Meloni, basti scorrere i suoi messaggi di congratulazioni: prima, “alleanza incrollabile”; poi, “solida alleanza” … alleanza, la parolina che Scholz, Macrone e Mattarella proprio non son riusciti a scrivere.

Meglio ancora, la “cornice delle relazioni tra gli Usa e l’Ue” di Mattarella si trasforma qui nel suo contrario: Giorgia e Donaldo, insieme hanno “espresso la volontà di lavorare in stretto coordinamentoanche nel quadro dei rapporti con l’Ue”. Cioè, nel quadro dei rapporti di Roma con Bruxelles, non solo di quelli di Washington con Bruxelles. Tradotto, Roma sentirà Washington per poi parlare con Bruxelles, non più il contrario.

Infine – ciliegina sulla torta – il messaggio di congratulazione ad Elon Musk. Cruciale, se compreso nel contesto della prima possibile mossa ostile dei franco-tedeschi contro Trump: quello annunciato dall’ex commissario Thierry Breton, che vuole affibbiare una maxi-multa ad X, se non anche sospenderlo in tutta la Ue.

Resterebbe il buon Viktor Orban, che Breton – maliziosamente – considera come il politico europeo più vicino a Trump. Ma che è, in realtà, fortemente handicappato dai propri troppo stretti rapporti con la Cina. E, invero, pure con Putin … atteso che l’armistizio in Ucraina che Trump potrebbe raggiungere non servirebbe affatto a riaprire in commerci con Mosca ma, anzi al contrario, a congelarli in una nuova Guerra Fredda.

Senza più dover attendere che – il prossimo luglio, consumato il termine costituzionale di un anno dalle ultime elezioni legislative – il governo Barnier si dimetta e Macrone accetti alfine di andarsene pure lui: consentendo alla Francia di eleggersi un nuovo presidente ed un nuovo Parlamento, finalmente entrambe coerenti con l’epoca nostra.

Conclusioni

Trump non vuole affatto disfarsi dell’impero americano in Europa. Al contrario, egli vuole completarne l’opera di ricostruzione: da lui principiata e continuata da Biden. Una ricostruzione, nella quale a comandare torni ad essere la Nato (come nei nostri primi bei decenni di prosperità) e non più la Ue (come nei nostri ultimi infami decenni di povertà).

La Nato (dove comandano gli americani) con affianco la cara vecchia Cee senza Leuro (dove ognuno si fa li cazzi sua) e non più la Ue (dove comandano i tedeschi). Con Trump e la fine di Scholz, le stelle si sono allineate. Ora, non sono consentiti errori.

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