Con Trump e Milei in carica, conservatori al bivio in Europa

Unire le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e burocratizzata del mondo

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Valeva davvero la pena lottare con le unghie e con i denti per dare uno strapuntino a Raffaele Fitto nella futura Commissione europea quando il prezzo da pagare era l’entrata della eco-fondamentalista Teresa Ribera? Davvero il Partito Popolare Europeo è più in sintonia con l’ingegneria sociale e ambientale del Partito Socialista che con il rigetto del centralismo decisionale che contraddistingue i gruppi politici alla sua destra? Sono domande, queste, che il PPE dovrà porsi con urgenza e il ruolo che ricoprirà nel futuro prossimo dipenderà in maniera determinante dalle sue risposte.

O di qua o di là

Siamo nel bel mezzo di una ricomposizione politica epocale, non solo a livello europeo bensì mondiale. La battaglia culturale è iniziata e lo spazio per centrismi e opportunismi vari sarà sempre più ridotto. La scelta sarà drasticamente semplificata: o di qua o di là. Da un lato tecnocrazia ingegneristica, redistribuzionismo, eco-estremismo, wokismo, ideologia di genere, odio delle frontiere, globalismo, agende internazionali non votate né discusse da nessuno. Dall’altro, demos, libertà economica, sviluppismo, difesa del senso comune, rispetto dei corpi intermedi, patriottismo e globalizzazione senza governo mondiale.

Il vento Trump-Milei

Il presidente argentino Javier Milei sta mostrando la strada da seguire (soprattutto, ma non solo) in campo economico, cambiando la faccia dell’Argentina come mai prima nella storia del Paese. Inflazione domata, bilancio pubblico risanato, liberalizzazione massiccia dell’economia, risanamento della Banca Centrale e, da qualche mese, rimbalzo potente dell’economia.

In Argentina qualsiasi scenario che non contempli un ulteriore rafforzamento del presidente libertario è, ad oggi, pura fantascienza. La bancarotta politica, economica e morale del peronismo statalista è completa e di fronte al guerriero libertario si scorgono solo praterie elettorali.

Negli Stati Uniti, il ritorno di un Trump più combattivo che mai farà da pivot a un movimento globale di rigetto delle consegne progressiste. La rete di resistenza alle allucinazioni dirigiste del globalismo troverà nel presidente americano il suo ganglio vitale. Sarà una battaglia senza esclusione di colpi, in cui si parrà la nobilitate dei diversi attori politici.

Donald Trump, che definirei “il grande catalizzatore”, ha unito sotto la sua bandiera non solo i suoi sostenitori, ma anche credenti stanchi di essere ridicolizzati e libertari che rifiutano l’idea stessa di stato. Questi gruppi, alimentati dalla percezione di una crescente invadenza statale, rivendicano il sacro diritto dell’individuo di decidere della propria vita senza interferenze esterne.

Conservatori al bivio in Europa

In Italia l’equipaggiamento culturale sembra, ad oggi, non all’altezza. Quando Milei, a Rio De Janeiro, si dissocia dall’Agenda 2030, ci si aspetterebbe un appoggio della conservatrice Giorgia Meloni. Invece, nulla: dei 20 Paesi presenti solo uno ha avuto il coraggio di battere i pugni sul tavolo contro un consenso socialdemocratico sconosciuto o addirittura avversato dagli elettorati delle rispettive nazioni. Speriamo che chi non ha mostrato audacia in questa occasione, questo coraggio lo trovi una volta che Trump sarà ritornato a sedersi nella stanza ovale.

Siamo chiari e sinceri. In Europa, una Nuova Destra ha solo due opzioni: unire le anime delle diverse destre o inginocchiarsi a quel consenso socialdemocratico che ha prodotto l’economia più iper-regolata, asfittica e burocratizzata del mondo. Tertium non datur. Senza paura di essere tacciata di populismo o accusata di ogni nequizia politicamente incorretta.

Il giochino lo conosciamo già a memoria. Da una parte le parole talismano: sostenibilità, identità di genere, diversità, inclusività, etc. Dall’altra il vaso di pandora degli epiteti malefici: omofobia, razzismo, patriarcato, negazionismo e via farneticando.

Il mondo che viene non è adatto ai Don Abbondio, giacché, come nel caso argentino, i Don Abbondio (che li si chiama “radicalismo”) sono destinati all’oblio elettorale. Ci sono dei tornanti della storia in cui si deve decidere da che parte stare, e i terzisti è meglio perderli (magari lasciandoli agli avversari) che trovarli. È un po’ come quando si doveva prendere posizione tra mondo libero e comunismo: non è possibile alcuna via di mezzo.

Il vero nemico

Il liberalismo economico deve abbracciare un discorso culturale di destra conservatrice, tradizionalista e patriottica in senso non statalista, e dunque comunitaria. Bisogna essere anti-globalisti, sempre tenendo bene a mente che il nemico da battere non è il libero commercio internazionale, quanto piuttosto quel progetto di ordine globale uniformante e post-nazionale propalato da organizzazioni internazionali pubbliche e non governative (stranamente, anch’esse finanziate con denaro pubblico).

Quando lo Stato e, ancora peggio, una qualsivoglia organizzazione internazionale decidono su questioni cruciali che definiscono la nostra esistenza, le parole permesse e quelle proibite e finanche i pensieri da cancellare, la rabbia per le decisioni imposte diventa incontenibile. Non ci sarà pace finché lo Stato e la sua sublimazione globalista non arretreranno, restituendo agli individui la libertà di scelta.

Prepariamoci a una stagione incandescente, con folle già in fermento da tempo. La rivolta potrebbe essere solo l’inizio di un cambiamento inevitabile, segnando il risveglio da decenni di narcotizzazione statalista. Atlante sta per rialzarsi.

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