Mentre si svolgeva il secondo giorno del 50° vertice dei G7, nella rilassata atmosfera del resort Borgo Egnazia, ed i “grandi” – e le loro legioni di sherpa al seguito – erano in attesa di assaggiare un classico di Massimo Bottura ispirato alla Liguria, come un pesto alla genovese, innaffiato da un Vermentino di Sardegna Doc da 16 € la bottiglia (beh, anche in epoca di spending review ci si poteva concedere qualcosa di meglio), ecco a disturbare l’appetito dell’allegra brigata, giungere la nuova – e forse la prima ad essere definita tale – “proposta di pace” di Putin, forse invidioso di non poter assaggiare le prelibatezze del cuoco modenese.
Alla parola “pace” ecco mobilitarsi gli animi di una ridda di differentemente pacifisti che, dalle testate di riferimento, applaudono alle buone intenzioni del Cremlino, mentre i leader del G7 concedevano un prestito eccezionale all’Ucraina: 50 miliardi saranno dagli Stati Uniti, 5 dal Canada e 2 dal Giappone, mentre la cifra dell’Unione europea verrà definita nel prossimo Consiglio europeo.
Le condizioni di Putin
In modo altrettanto deflagrante la proposta russa ha lo scopo, sia strategico, sia tattico, di delegittimare la conferenza a Lucerna di alto livello sulla pace in Ucraina che, con la presenza di 100 delegazioni, fra cui 57 capi di Stato e di governo provenienti da tutte le regioni del mondo ha come fine quello di “avviare un processo di pace, instaurare un clima di fiducia e delineare una prospettiva per gli ulteriori passi da compiere”, come riporta il portale del governo svizzero.
“Oggi facciamo una proposta reale di pace, stiamo parlando non del congelamento del conflitto ma della sua cessazione totale”, ha sostenuto il presidente Vladimir Putin, in merito alla proposta di negoziati, ma a che prezzo? Il Cremlino si dice pronto a un cessate il fuoco e all’avvio di negoziati “se le truppe ucraine si ritireranno completamente dalle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Cherson, e se Kiev si impegnerà a non aderire alla Nato”. Territori che le truppe di Mosca non hanno nemmeno conquistato completamento.
Putin chiede che l’Ucraina e il mondo riconoscano formalmente l’annessione delle regioni ucraine strappate nell’ultimo biennio (e da prima) con la forza. “I diritti, le libertà e gli interessi dei cittadini di lingua russa in Ucraina devono essere pienamente garantiti, le nuove realtà territoriali, lo status delle repubbliche di Crimea, Sebastopoli, Donetsk, Lugansk, Cherson e Zaporizhzhia come soggetti della Federazione Russa devono essere riconosciute”, argomenta Putin, aggiungendo che “queste disposizioni basilari dovranno essere registrate sotto forma di accordi internazionali fondamentali” e che “naturalmente ciò implica anche l’abolizione di tutte le sanzioni occidentali contro la Russia”.
Il Cremlino chiede, inoltre, che l’Ucraina attraverso un processo di “smilitarizzazione e denazificazione”, compresa la rinuncia a qualsiasi arma nucleare, che la conduca ad avere “uno status neutrale, non allineato”. “Noi esortiamo a voltare la tragica pagina della storia e ripristinare gradualmente le relazioni con l’Ucraina e l’Europa” ha aggiunto il capo del Cremlino. Se l’Occidente e l’Ucraina rifiuteranno, ha avvertito Putin, si assumeranno la “responsabilità della continuazione dello spargimento di sangue”.
La risposta di Zelensky
Tutto qui? Quale è la proposta? L’Ucraina deve arrendersi ed il mondo assistere alla sua “finlandizzazione”? La proposta è così estrema che il presidente Zelensky ha avuto buon gioco a ricordare un po’ di storia: “È la stessa cosa che faceva Hitler, quando diceva ‘datemi una parte di Cecoslovacchia e finisce qui’”. “Ma dopo – ha aggiunto – c’è stata la Polonia, poi l’occupazione di tutta l’Europa. Ecco perché non dobbiamo fidarci di questi messaggi, perché Putin fa lo stesso percorso. Oggi parla di quattro regioni, prima parlava di Crimea e Donbass”. Questa, ha rincarato il leader ucraino, è “la faccia nuova del nazismo”.
L’aggressore ama sempre la “pace”
Ammesso e non concesso che le intenzioni della Russia siano oneste, vengono fornite garanzie all’Ucraina su una sua successiva integrità (ancorché monca) territoriale? Nessuna. Sembra di trovarsi di fronte ad una versione 2.0 del Trattato di Küçük Kaynarca (1774) dove – a seguito della guerra russo turca 1768-1774 – la Sublime fu obbligata a concedere l’indipendenza al Khanato di Crimea, che – con un motu proprio estraneo al trattato – Caterina II occupò militarmente, annettendo quei territori all’impero russo.
La proposta russa non è altro che un misto di propaganda (invero goffa) e di programma politico. La pace deve sostituire la guerra, ma deve ottenere i medesimi risultati in termine di conquista e di Machtpolitik (Lothar Rühl, Machtpolitik und Friedensstrategie, 1974). Nihil sub sole novum!
Clausewitz, in un passo tanto lucido e decisivo quanto poco conosciuto, scrive, sotto il ricordo dell’epopea napoleonica, che “l’aggressore ama sempre la pace; egli sarebbe ben lieto di fare il suo ingresso nel nostro stato senza incontrare alcuna opposizione. Lo stesso imperatore dei francesi nel Memorial, affermò che era sua intenzione realizzare la pace perpetua per mezzo di quello che ora viene chiamato “lo Stato unico” e permettere così all’industria e al commercio di svilupparsi pienamente”.
Stanchezza della guerra
Non è casuale che la proposta russa, i cui contenuti non sono per nulla differenti da quello che Mosca afferma da 842 giorni, entri in campo dopo le elezioni europee. Putin ed i suoi, constatato l’esito elettorale – dove è innegabile che forze politiche rosso-brune, contrarie al sostegno occidentale all’Ucraina, hanno ottenuto una affermazione – hanno fatto scattare la loro offensiva diplomatica. Convinto di essere l’ombelico del mondo, però, il Cremlino non ha considerato che l’affermazione di queste forze politiche trascende, e di molto, il posizionamento sulla guerra in Ucraina ed affonda in dinamiche endogene ai singoli Paesi Ue. Comunque è vero che nonostante i copiosi aiuti, si stia ingenerando una certa, fisiologica, stanchezza della guerra.
Questa stanchezza, però, comincia a farsi spazio anche ad Est. Perché la Russia cerca la pace, a alle sole sue condizioni? Che le risorse materiali e morali si stiano esaurendo? Viene alla mente un riferimento storico: Il 12 dicembre 1916 il cancelliere germanico Theobald von Bethmann Hollweg diresse alle potenze neutrali e al Papa una nota, con la quale affermava l’invincibilità delle quattro potenze alleate (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e Bulgaria), che furono costrette a impugnare le armi per la difesa della loro esistenza, della loro libertà e del loro sviluppo nazionale, e dichiarava che esse non miravano a distruggere e annientare i loro avversari e proponevano invece di entrare quanto prima in negoziati di pace, ma senza indicarne le basi.
Se, malgrado questa offerta, la lotta fosse dovuta continuare, le quattro potenze alleate si dichiaravano risolute a condurla sino ad una fine vittoriosa, ma respingevano solennemente ogni responsabilità di fronte all’umanità e alla storia. Con la sua iniziativa, il cancelliere tedesco sperava di saldare lo schieramento interno, mobilitare il desiderio di pace dei popoli nel campo nemico per indebolire i loro governi, tranquillizzare i governi neutrali, in primo luogo gli Stati Uniti, mostrando la propria buona volontà, e avere un “alibi” per la prosecuzione della guerra con ogni mezzo nel caso, preventivato, di risposta negativa da parte delle potenze dell’Intesa. Sappiamo come sono finite le cose!
L’ultima bufala di Putin
La stanchezza è evidente. In un discorso alla Duma del marzo 2024 Putin ha affermato che la Russia è la quinta economia al mondo, in termini di Prodotto interno lordo, dietro solamente Cina, Stati Uniti, India, Giappone, superando quindi tutti i Paesi europei. Per arrivare a questa patente bufala il presidente russo sfrutta un briciolo di verità, un fatto reale, per manipolarlo e dargli un significato che non ha.
In questo caso si tratta della graduatoria dei Paesi del mondo per Pil Ppp, che sta per purchasing parity power, ovvero per parità di potere d’acquisto. Peccato che nessuna agenzia al mondo utilizzi quei parametri. D’altronde, un Paese che duplica in un anno le spese militari, portandolo al 6 per cento del Pil (o il 16 della spesa pubblica) non può avere una economia in crescita, anche se l’auspicato crollo dell’economia russa non ha avuto luogo.
Stallo definitivo
Il dato più evidente che si può rintracciare nella proposta russa è che si comincia ad affacciare l’ipotesi che lo stallo rischi di diventare definitivo (le varie” spallate” russe degli ultimi mesi hanno portato a conquiste territoriali di estensione non superiore a quelle del territorio del Lussemburgo) e che le forze armate russe non abbiano la possibilità di concludere vittoriosamente il conflitto. Tra un sofisticato spuntino ed un sorso delle migliori emergenze enologiche italiane i leader del G7 è bene che si ricordino questo e “tengano duro”.