Cerchiamo di fare il punto. Nella reazione ai dazi di Trump i partner commerciali degli Stati Uniti si stanno dividendo in due categorie: la maggior parte dei Paesi non ha annunciato alcuna ritorsione e ha chiamato Washington per trattare. Tra questi (sarebbero in tutto una settantina), Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Taiwan, Israele, che come era stato lasciato intendere dall’amministrazione e ieri è stato confermato dal segretario al tesoro Scott Bessent, avranno la priorità nei negoziati.
La via cinese
Chi invece ha scelto o sceglierà la via della rappresaglia, come la Cina, si beccherà una escalation. Scatteranno oggi i contro-contro-dazi Usa sui prodotti cinesi fino al 104 per cento. E tra parentesi, la portavoce del Dipartimento di Stato Tammy Bruce ha definito “inquietante” la presenza in Ucraina di due combattenti cinesi catturati ieri dalle forze di Kiev, osservando che “Pechino fornisce a Mosca l’82 per cento della sue capacità offensive”.
Come si vede, con l’esclusione della Cina nessun altro Paese asiatico importante ha reagito con i contro-dazi o altre rappresaglie. Una linea di demarcazione che guarda caso coincide con quella che separa gli alleati degli Usa dai suoi rivali sistemici, con l’Ue a guida tedesca che purtroppo oscilla pericolosamente verso questi ultimi.
L’Unione europea sembra intenzionata a seguire la via cinese della ritorsione. Come abbiamo osservato ai tempi della dipendenza dal gas russo, e come vediamo oggi nella riluttanza a tagliare i ponti con la Cina, la Germania ha costruito per sé, e imposto all’Ue, un modello economico insostenibile dal punto di vista geopolitico perché più coerente con il blocco eurasiatico che con quello occidentale.
Le liste dei contro-dazi
Bruxelles ha concordato con i governi degli Stati membri ben tre liste di contro-dazi dal 10 al 25 per cento. Una prima, limitata, a partire dal 15 aprile, in teoria in risposta ai dazi Usa di marzo su acciaio e alluminio; una seconda, più corposa, dal 15 maggio; e una terza da dicembre. Per non parlare dell’ipotesi evocata di colpire anche le Big Tech.
Nelle intenzioni dei proponenti la prima lista sarebbe una mano tesa, qualcosa di non troppo vendicativo per lasciare aperte le porte del negoziato. Per trattare con Donald Trump “da una posizione di forza”, viene spiegato da chi evidentemente non si rende conto che la leva maggiore, il bazooka, ce l’ha proprio Trump e sembra intenzionato ad usarlo.
Gli avvertimenti non sono mancati. La Casa Bianca ha fatto capire in tutti i modi che non ci sarà alcuna trattativa con chi adotterà misure di ritorsione, limitate o meno poco importa. Se qualcuno in Europa pensa che una rappresaglia contenuta, sebbene in risposta ai dazi di marzo su acciaio e alluminio, non scatenerà la reazione di Trump, si sbaglia di grosso. Il trattamento potrebbe somigliare a quello riservato a Pechino.
I Paesi che stanno ottenendo l’attenzione dell’amministrazione Trump hanno manifestato l’intenzione di riequilibrare il deficit commerciale con gli Usa, alcuni hanno già annunciato di voler portare a zero i dazi, anche se come sappiamo non basta perché c’è il tema delle barriere non tariffarie.
In Europa Giorgia Meloni sembra l’unica a ragionare su quali barriere alle merci Usa rimuovere, molte delle quali tra l’altro stanno letteralmente soffocando le nostre industrie, ma l’idea di non rispondere sembra minoritaria e il governo di Roma dovrebbe essere consapevole che aver rimosso il bourbon dalla prima lista di prodotti Usa da colpire non salverà i prodotti italiani dalla reazione di Trump.
Insufficiente la proposta VDL
La proposta avanzata dalla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen di dazi zero sulle auto e sui prodotti industriali, oltre ad essere evidentemente sbilanciata sugli interessi tedeschi, non è abbastanza, per due motivi: è limitata ad una categoria di beni ed è limitata alle aliquote dei dazi, mentre soprattutto per quanto riguarda l’Ue il problema di fondo sta nelle barriere non tariffarie, nella manipolazione monetaria e nella compressione dei consumi interni.
L’amministrazione Usa in queste settimane si è sforzata di farlo capire in tutti i modi ma a quanto pare in Europa siamo sordi, a mala pena se ne sente parlare. Per giorni il dibattito si è concentrato sulla formuletta usata per calcolare i nuovi dazi Usa per ciascun Paese o, appunto, sulle aliquote.
Quando l’altro ieri è stato chiesto a Trump se la proposta VDL fosse sufficiente, il presidente ha risposto “no, non lo è”. E per farsi capire ha usato una iperbole: “Sono le barriere non tariffarie. Ti lanciano la palla da bowling sul tetto della macchina da 20 piedi di altezza e se c’è una piccola ammaccatura dicono di no, mi dispiace, la tua macchina non è idonea”.
Pratiche commerciali scorrette
L’ufficio del rappresentante Usa per il commercio ha pubblicato una lista delle dieci maggiori pratiche commerciali scorrette imposte agli esportatori americani. Tra di esse, due sono europee e ne avevamo già parlato nei nostri precedenti articoli. Non perché siamo particolarmente svegli, si trovano in documenti pubblici.
Il regolamento Ue sulla filiera a deforestazione zero (EUDR) mira a vietare le importazioni di sette prodotti, tra cui bovini, cacao, gomma e legno, a meno che gli esportatori non soddisfino diversi e gravosi requisiti di conformità, tra cui la due diligence e i dati di geolocalizzazione. Si stima che l’EUDR avrà un impatto potenziale sulle esportazioni agricole e industriali statunitensi pari a 8,6 miliardi di dollari all’anno.
Il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (CBAM) dell’Ue impone costose misure di verifica e potrebbe ridurre il vantaggio degli esportatori statunitensi nel mercato dell’Ue rispetto ai concorrenti con emissioni elevate, in particolare la Cina. Queste normative Ue minano la concorrenza leale, penalizzando le aziende statunitensi e offrendo vantaggi ai concorrenti con sede nell’Ue. Si stima che il CBAM avrà un impatto di 4,7 miliardi di dollari sulle esportazioni annuali degli Stati Uniti.
Nel frattempo, Von der Leyen è corsa a raccomandarsi al premier cinese Li Qiang affinché la sovraccapacità cinese non si riversi in Europa per effetto dei dazi trumpiani, così dimostrando il paradosso di una Ue che nell’attuale sistema commerciale squilibrato gioca sia la parte del carnefice (nei confronti degli Usa) sia quella vittima (della Cina).
La partita geopolitica
Siamo decisamente il blocco commerciale con le carte più deboli in mano, altro che “trattare da una posizione di forza”. La realtà è che la mossa di Trump ci ha aperto un’occasione straordinaria per sganciarci anche noi dalla Cina coordinandoci con Washington.
In Europa c’è scarsa consapevolezza del fatto che la partita aperta con i dazi di Trump non è solo commerciale, il tentativo di reset dell’ordine commerciale globale avviato dall’amministrazione Usa è anche un grande riallineamento geopolitico. L’Europa rischia di mancarlo, con conseguenze drammatiche non solo economiche ma anche di sicurezza.