Controffensiva in stallo: territori in cambio di Nato?

Il confronto con la realtà, la prossima stagione elettorale Usa-Ue, il sostegno cinese a Mosca fanno traballare gli alleati: il rischio di una “forma di pace”

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In questi giorni l’attenzione dei media, in Italia, rimane sui contenuti di un libro scritto da un generale in servizio del nostro Esercito. Non esprimo un giudizio sulle esternazioni dell’alto funzionario italiano ma vorrei “girare” l’attenzione su quelle, in forma di suggerimento, di un altro alto funzionario, della Nato, a riguardo di quanto avviene sul terreno in Ucraina dopo l’aggressione russa.

L’estrema sintesi del suggerimento: “L’Ucraina potrebbe cedere i territori (o parte di essi) occupati dai russi in cambio della pace”.

Il funzionario in questione è noto ed è giudicato in ambito Nato come un professionista consumato. Il suggerimento è arrivato nell’ambito di una tavola rotonda di due ore come uno dei tanti scenari che potrebbero emergere data la natura, la portata e i livelli del sostegno all’Ucraina e, data la reazione che ha generato, qualcuno suppone che si tratti probabilmente di quanto alcuni governi stanno effettivamente pensando in questo senso.

Confronto con la realtà

Ci sono alcune realtà che l’Ucraina e i suoi partner occidentali devono ora affrontare. Prima fra tutte l’evidenza che nonostante gli sforzi eroici delle forze ucraine, la controffensiva di Kiev è in fase di stallo perché non ha mai avuto la capacità militare necessaria per tagliare (riconquistando terreno sufficiente) il collegamento terrestre russo nell’Ucraina orientale e meridionale che collega la Russia stessa alla Crimea.

Non si tratta di un evento irrilevante perché appare evidente che, nella prossima riunione dei ministri della difesa della Nato, in ottobre, gli alleati confermeranno che, a fronte del fallimento operativo della controffensiva hanno già dato il 90 per cento di quello che prevedevano e promettevano di fornire quale supporto a Kiev.

La stagione elettorale Ue-Usa

Quando le condizioni atmosferiche dell’area contesa attraverseranno, in autunno, la stagione del fango, la guerra probabilmente vivrà di nuovo una situazione di stallo e la questione diventerà rapidamente quella di decidere cosa i Paesi dell’Alleanza potranno fare per l’Ucraina in primavera e nella nuova stagione elettorale, che non sarà solamente americana ma anche europea.

Un anno, il 2024, che coinciderà con le celebrazioni del 75° anniversario della Nato a Washington. Non sarà facile per i governi in carica distinguere le questioni interne da quanto avviene in Ucraina nel post aggressione.

Attori esterni

Lo stallo riguarda più di due eserciti esausti bloccati nel fango e nel gelo, come nel recente passato, su linee difensive simili alle trincee della Prima Guerra mondiale. Tutti sanno, o almeno sospettano, che alcuni importanti attori “esterni” si stiano muovendo. Ad esempio, la Cina Popolare è determinata a far sì che la Russia non perda la contesa in atto e sta fornendo direttamente a Mosca materiale bellico vitale, e indirettamente utilizzando la Nord Corea come canale alternativo.

In queste ore a Kiev si parla della riconquista della Crimea e tuttavia, l’Occidente, nonostante tutto il suo sostegno verbale e reale all’Ucraina, a parere ucraino, sembrerebbe non star facendo abbastanza da garantire che Kiev abbia qualche possibilità di rivendicare i suoi confini pre-2022, per non parlare di quelli pre-2014.

La notizia che danesi e olandesi invieranno un certo numero di F-16 in Ucraina, con l’approvazione americana, è da accogliere con favore, ma non cambierà le regole del gioco perché ci vuole tempo e i numeri annunciati, per gli esperti, non sembrano sufficienti a favorire un futuro dominio dello spazio aereo da parte ucraina.

Gli alleati traballano

Inoltre, ci sono Paesi all’interno dell’Alleanza i quali suggeriscono che la guerra abbia dimostrato come la Russia sia una tigre di carta e che ci sia poca urgenza di raggiungere gli obiettivi stabiliti nel Concetto strategico della Nato del 2022, ad esempio il 2 per cento del Pil nazionale destinato alla difesa quale forma di reale deterrenza.

Questo potrebbe forse dare alla Russia il tempo e lo spazio di cui ha bisogno per far tesoro di quanto avvenuto sul terreno fino ad ora e ricostruire le proprie forze armate, qualunque siano i costi perché, al momento, sembrerebbero non azzerate o ridotte dalle sanzioni le capacità economiche di Mosca. Questo è esattamente ciò che intendeva l’ex presidente russo Medvedev quando a maggio scorso ha fatto intendere che a suo parere la guerra potrebbe durare decenni.

Sono comunque in corso diverse iniziative di pace, in particolare quella proposta dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman e la palesemente ipocrita proposta di mediazione del nuovo sultano turco Erdogan.

Ciò che portano all’attenzione gli esperti è che tutte le iniziative di pace sembrano rientrare nel solco storico secondo il quale l’aggressore viene parzialmente ricompensato per la sua aggressione in cambio di una pace duratura. Questo forse perché i sostenitori dell’Ucraina non hanno intenzione di farsi avanti ulteriormente. Il che significa che quando dicono che spetta all’Ucraina decidere quando la guerra finirà, in realtà non è così, ma sono loro che iniziano a “traballare” in tale azione di supporto.

Una “forma di pace”

Ad un certo punto, si potrebbe quindi davvero non solo ipotizzare, ci sarà necessariamente un cessate-il-fuoco, che si trasformerà in una forma di “pace” attraverso la quale la Russia riuscirà a mantenere parte del territorio ucraino che ha conquistato con l’aggressione, in cambio dell’offerta che a ciò che resta dell’Ucraina sia confermata l’adesione alla Nato“Così e se vi pare” … o no?

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