Nel tardo autunno del 2013, gli ucraini iniziarono a manifestare contro il governo di Yanukovych nelle strade delle grandi città del Paese, da Odessa a Lviv, e perfino a Donetsk, ma il cuore della protesta si stabilì a Maidan Nezalezhnosti, ossia Piazza dell’Indipendenza, nella capitale ucraina. La contestazione sarebbe poi sfociata, nel febbraio dell’anno successivo, nella “Rivoluzione di Maidan” o “Rivoluzione della dignità”.
Venticinque anni dopo il 1989, quello che Papa Giovanni Paolo II chiamò annus mirabilis, gli ucraini riuscirono a rovesciare un’autocrazia spaventosamente corrotta. Viktor Yanukovych e la sua cricca, arrivati al potere grazie a elezioni non pienamente trasparenti, governavano in modo pressoché arbitrario, facendo ricorso anche alla repressione violenta del dissenso e della disobbedienza civile.
Il diktat di Putin
La Piazza dell’Indipendenza, nel cuore di Kiyv, divenne un vero e proprio esperimento di autogoverno civico, simbolo di una ricerca spontanea e antitotalitaria della libertà. A questo proposito, il Maidan, o Euromaidan, ricorda la rivolta antibolscevica di Kronstadt nel marzo 1921 o la lotta delle milizie antistaliniste a Barcellona durante la guerra civile spagnola. Maidan non è più solo una posizione geografica ma, come la Catalogna di George Orwell, uno stato d’animo.
Le rivoluzioni hanno più di una causa e una pluralità di conseguenze, ma la rivoluzione ucraina nacque soprattutto dalla disperazione, dalla rabbia e dall’indignazione. Si trattò di una risposta massiccia all’accettazione, da parte di Yanukovych, del diktat di Vladimir Putin che impose l’interruzione dell’Accordo di associazione tra Ucraina e Unione europea, e all’implicito abbandono della sovranità nazionale del Paese.
Chi era Yanukovych
Burocrate di formazione sovietica e politico iper-corrotto, l’allora presidente non nutriva altro che disprezzo per i cittadini in quanto veri detentori della sovranità. Come il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu, fondatore del comunismo dinastico, Yanukovych ignorava la realtà e viveva in un suo universo delirante.
Gli ucraini lo chiamavano “Yanushescu”. Pressato dal suo padrone al Cremlino, ordinò il massacro di manifestanti inermi in nome di un presunto “interesse nazionale”. Ma, di fatto, tentò di difendere solo i suoi interessi egoistici e la sua sopravvivenza al potere. Le reazioni aggressive della banda dell’autocrate alle persistenti sfide dal basso accelerarono la sollevazione rivoluzionaria.
Non sono stati i partiti politici di opposizione a garantire la fine di questa dittatura dalla facciata democratica. Come gli europei dell’Est nel 1989, come i russi nel 1991, gli ucraini scoprirono la possibilità di un modo non machiavellico di praticare la politica. Il nome di questa possibilità è “società civile”. Fu quest’ultima a sbarazzarsi di Yanukovych e, successivamente, a sventare gli accordi auspicati dall’Unione europea per “stabilizzare” la situazione.
La reazione di Putin
La propaganda di Putin avviò, fin dalla prime battute, una campagna globale per infangare il Maidan, definendolo come territorio dell’estremismo, dello sciovinismo e del resuscitato fascismo. Gli sgherri di Yanukovych fecero eco a queste calunnie.
Non venne risparmiato alcun espediente retorico per ritrarre i combattenti per la libertà di Maidan come eredi degli ultranazionalisti della Seconda Guerra Mondiale. Il Cremlino adottò il medesimo stratagemma utilizzato da Slobodan Milošević per delegittimare la lotta per l’indipendenza croata e bosniaca.
Il movimento
La realtà è che il Maidan fu qualcosa di diverso: un movimento proteiforme, polimorfico, ideologicamente flessibile e contrario a qualsiasi forma di fanatismo. È innegabile la presenza al suo interno di gruppi di estrema destra, ma qualsiasi movimento “dal basso” è destinato a magnetizzare individui di varie convinzioni politiche. L’anima della rivolta, però, fu autenticamente democratica. Dei manifestanti, il “nuovo filosofo” André Glucksmann avrebbe scritto:
Quegli uomini e donne disarmati sono stati i degni eredi di Václav Havel e di Lech Wałęsa, dei pastori della Germania dell’Est e degli intellettuali ungheresi e rumeni. Essi rappresentavano l’incarnazione dell’Europa, questa grande avventura del nostro tempo.
Il vero messaggio di ciò che abbiamo imparato a chiamare “Maidan” non era l’intolleranza, ma la tolleranza; non la Russia, bensì l’Europa. Maidan fu un progetto trans-ideologico e post-utopico. Eredità del 1989. Il suo valore principale stava nella volontà di vivere nella verità, attraverso il rifiuto dell’imperialismo venuto dall’Est.
I manifestanti ripresero il progetto interrotto della “Rivoluzione arancione” del 2004, una rivolta che Václav Havel definì come la prima rivoluzione post-comunista all’interno dell’ex blocco sovietico.
La sollevazione popolare incontrò il favore degli intellettuali ucraini, tra cui Constantin Sigov, studioso del pensiero di Lévinas, i leader della comunità ebraica ucraina, Leonid Finberg e Iossif Zizels, il regista Sergei Loznitsa e il musicista Valentin Silvestrov, uno dei più rilevanti compositori contemporanei di musica classica.
L’integrazione nell’Ue
L’appello per l’integrazione europea dell’Ucraina, sostenuto tanto dai comuni cittadini quanto dagli intellettuali, era direttamente correlato all’immaginazione politica del 1989. Quando dicevano “Europa”, intendevano lo stato di diritto, la trasparenza dei governi, le garanzie costituzionali e il rispetto dei diritti civili, dimostrando la vitalità che l’idea di Europa possiede fuori dai suoi confini istituzionali.
L’attuale Ue ha molti problemi e difetti, è indubitabile, ma gli ucraini la vedevano, non a torto, come un’opportunità per sfuggire alla fatalità geopolitica che, per secoli, li ha condannati al dominio russo.
Le riforme post-Maidan
La guerra di Putin contro l’Ucraina è stata intrapresa per eliminare tutti i risultati ottenuti dalla rivoluzione di Maidan e riportare il Paese sotto il controllo del Cremlino. L’Ucraina, per il tiranno russo, è cruciale non solo per i suoi rapporti con il Patto Atlantico, ma anche perché ambisce a essere qualcosa di diverso dalla Russia, ossia una democrazia moderna. Se Kyiv venisse integrata pienamente nell’ordine liberale, il contagio democratico potrebbe arrivare fino a Mosca.
La leadership post-Maidan, infatti, ha ottenuto notevoli risultati. Sotto la guida di Petro Poroshenko, l’Ucraina ha riformato il sistema bancario, la sanità e, cosa più importante, il settore del gas, nel tentativo di renderlo meno opaco. Cambiamenti che hanno avuto luogo sullo sfondo dell’occupazione della Crimea e del conflitto nel Donbass.
Le riforme, spesso giudicate dagli stessi ucraini troppo moderate, rivelano, però, la volontà di liberalizzare il Paese, di adeguarlo agli standard economici e politici dell’Occidente. La rivoluzione di Maidan ha instradato l’Ucraina verso l’Europa. La resistenza che gli ucraini oppongono all’invasione russa è una continuazione dello spirito che animò quell’iniziale e inaspettata ribellione.
Per queste ragioni, l’Occidente ha il dovere di non abbandonare, nuovamente, le nazioni dell’Europa centro-orientale alla schiavitù russa. Ne va della sua sopravvivenza e identità.