Ha avuto giustamente una certa attenzione mediatica la grazia concessa in extremis dal presidente Usa Joe Biden al figlio Hunter. Nonostante avesse più volte assicurato agli americani che non si sarebbe abbassato a tanto, ora che non può più avere un impatto negativo sul voto, Biden ha rotto gli indugi, come molti avevano previsto.
Si è giustificato sostenendo che il figlio è stato perseguito per colpire lui. “Nel tentativo di fare a pezzi Hunter, hanno cercato di fare a pezzi me, e non c’è motivo di credere che si fermerà qui”. Ovviamente, come vedremo e come già sanno i lettori abituali di Atlantico Quotidiano, le cose stanno un po’ diversamente.
Altro che perseguito per motivi politici. Per cinque anni, già prima del 2020, Hunter Biden è stato invece protetto per motivi politici, ovvero per salvaguardare il padre. Dipartimento di Giustizia e agenzie di intelligence come FBI e CIA hanno fatto di tutto per tutelarlo. Alla fine, ma proprio alla fine, non hanno potuto fare a meno di incriminare Hunter, ma in modo da non scoperchiare il marcio in cui era coinvolto anche il presidente.
La censura della storia del laptop
Ricordiamo che durante gli ultimi giorni di campagna per le presidenziali 2020, funzionari o ex alti funzionari di FBI e CIA hanno bollato il ritrovamento del laptop di Hunter e le prove di reati contenute al suo interno come una operazione di disinformazione russa, riuscendo a indurre social media e media tradizionali a censurare la storia esplosiva portata alla luce dal New York Post, nonostante il laptop di Hunter fosse già in possesso dell’FBI. Brutta, ma per molti non inattesa pagina.
I reati di Hunter
Ora la grazia estingue i reati per i quali Hunter era finito sotto processo. I primi per cui è stato dichiarato colpevole, possesso illegale di arma da fuoco e false dichiarazioni all’FBI, risalgono all’ottobre 2018, quando per almeno una decina di giorni fu in possesso di una pistola Colt Cobra 38Spl e dichiarò all’FBI di non avere dipendenze, mentre in quello stesso periodo era dipendente da crack, cocaina e alcol.
Il secondo processo riguardava una evasione fiscale di almeno 1,4 milioni di dollari di tasse federali, risalente a un periodo che va dal 2016 al 2019. Il 5 settembre scorso Hunter aveva presentato una dichiarazione di ammissione di colpevolezza per tutti i reati a lui contestati.
Una grazia decennale
Ma ciò che non dovrebbe sfuggire del provvedimento di grazia “piena e incondizionata” concessa da Joe Biden al figlio Hunter è che non copre solo questi due processi e i relativi reati per cui è già stato dichiarato colpevole, per cui potrebbe anche avere un senso, anche se si tratta di reati molto gravi per la legge e la sensibilità statunitense – un cocainomane di colore trovato in possesso di un’arma non la passerebbe certo liscia, tanto per intenderci.
La grazia copre tutti i reati che Hunter “ha commesso o potrebbe aver commesso o a cui potrebbe aver preso parte nel periodo dal primo gennaio 2014 al dicembre 2024“. La data di inizio non è certo casuale, perché si tratta dell’anno in cui Hunter entrò nel board della società energetica ucraina Burisma a 50 mila dollari al mese, pur non avendo alcuna esperienza nel settore ma solo un padre vicepresidente con delega proprio per l’Ucraina.
Il posto in Burisma
Il posto di Hunter nel cda della corrotta compagnia energetica era così palesemente legato all’influenza politica di suo padre che non appena Biden lasciò l’incarico, nel 2017, Burisma tagliò della metà il compenso.
Burisma era una creazione del presidente filo-russo di Viktor Yanukovich, rovesciato da Euromaidan e fuggito in Russia nel febbraio 2014. Hunter Biden fu nominato nel consiglio solo due mesi dopo, nell’aprile 2014, ma la guida della società era ancora quella espressa dal vecchio regime filo-russo. Come si spiega?
Ricorderete che l’allora vicepresidente Joe Biden si vantò pubblicamente di aver costretto Kiev a licenziare il procuratore generale che stava indagando su Burisma e i suoi vertici minacciando il nascente regime ucraino di congelare un miliardo di dollari di aiuti Usa.
Una grazia di famiglia
No, lo scandalo della grazia concessa a Hunter Biden non sta nel favore al figlio da sovrano rinascimentale, un colpo di spugna sui reati di cui è già stato ritenuto colpevole e su tutte le foto raccapriccianti contenute in quel laptop. In questo caso, sebbene di una certa gravità, il possesso di armi, le droghe, le escort, l’evasione fiscale, sono il classico specchietto per le allodole.
Lo scandalo vero è che la grazia al figlio Hunter nasconde una grazia all’intera famiglia Biden, Joe incluso, impedendo una indagine penale federale sui suoi affari esteri, in Cina e Ucraina, sui milioni di dollari incassati vendendo il “brand” Biden. La più redditizia attività di traffico di influenza della famiglia Biden si è verificata proprio negli ultimi anni di mandato di Joe come vicepresidente, in particolare dal 2014 al 2016.
Un periodo dal quale il Dipartimento di Giustizia di Biden ha intenzionalmente distolto lo sguardo, concentrandosi appunto sul possesso di armi e sull’evasione fiscale, con incriminazioni cucite su misura per coprire il ruolo del presidente, e dopo anni di auto-sabotaggio dell’indagine. Un’opera di “demolizione controllata“.
Manco a dirlo, nessuna inchiesta su Hunter e i suoi soci per non essersi registrati come agenti stranieri come imporrebbe il FARA (Foreign Agents Registration Act) – fulcro delle accuse, invece, contro Paul Manafort (per un periodo del 2016 presidente della Campagna Trump), sebbene nulla avessero a che fare con la bufala della collusione con la Russia.
Non solo Ucraina. Sono iniziati nello stesso periodo 2014-2016 altri due redditizi schemi, stavolta legati al Partito Comunista Cinese: con l’impresa di investimento Bohai Harvest RST e con la società energetica CEFC, attraverso i quali i Biden hanno incassato diversi milioni di dollari. Tutto ricostruito dalla Commissione di Vigilanza del Congresso, che ha documentato 27 milioni di dollari di pagamenti da persone ed entità straniere dal 2014 al 2019 commercializzando il “brand” Biden.
Bugiardo in capo
Ricorderete che Biden aveva ripetutamente negato davanti agli americani di aver mai avuto a che fare con i soci in affari del figlio Hunter e di esserne persino a conoscenza? Mentiva, che ne fosse o meno consapevole. Esistono foto di incontri e registrazioni di colloqui. In particolare, ricordiamo una cena al Café Milano a Washington in cui l’allora vicepresidente sedeva accanto ad alcuni partner d’affari stranieri di Hunter, tra i quali Eleana Baturina, la vedova miliardaria di Yuri Luzhkov, ex sindaco di Mosca e amico di Putin.
Roba piuttosto pesante di cui probabilmente non sapevate nulla se non avete letto Atlantico o poche altre testate in Italia. Anche se probabilmente decorsi i termini di prescrizione, ce n’è abbastanza per un’indagine penale che sarebbe rovinosa sia politicamente che per la casse della famiglia, quindi comprensibile che Biden abbia voluto mettere al riparo se stesso e i suoi cari.
Come brillantemente osservato da Jonathan Turley, la grazia al figlio consolida l’eredità di Joe Biden come “bugiardo in capo”, è il culmine di anni di menzogne al pubblico sugli affari del figlio e della sua famiglia.