L’importanza della compattezza dell’Occidente nella guerra in Ucraina, i termini di un negoziato di pace tra Kiev e Mosca e l’appuntamento referendario di domenica 12 giugno sulla giustizia. Ne abbiamo parlato con Stefania Craxi, senatrice di Forza Italia e presidente della Commissione Affari esteri di Palazzo Madama.
Le divisioni Usa-Ue
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Presidente Craxi, la compattezza del fronte occidentale in merito al conflitto tra Russia ed Ucraina è molto importante. In primis, le chiedo come valuta le posizioni assunte da Macron, Draghi e Scholz? Pensa siano troppo schiacciate sulla visione statunitense, andando a discapito degli interessi europei?
STEFANIA CRAXI: Da tempo ritengo che l’Occidente debba ritrovare le ragioni della propria unità. In questi anni per responsabilità diffuse è andata creandosi una distanza politica tra le due sponde dell’Atlantico, fattore che non ha prodotto del bene né per gli Stati Uniti, né per l’Unione europea. Pertanto, sono convinta che se Vladimir Putin non avesse percepito tale divisione al nostro interno non avrebbe osato compiere azioni simili a quelle dei mesi scorsi.
Le ragioni del rapporto atlantico travalicano equilibri geopolitici, ragioni economiche, di difesa, commerciali, finanziarie, oltre che di culture e valori. Diritti, libertà, democrazia, radici cristiane che promuovono l’attenzione per l’essere umano sono i fondamenti di quel mondo che chiamiamo Occidente.
Tuttavia, anch’esso ha negli anni subito un decadimento: soffermandoci esclusivamente sullo scontro tra le civiltà abbiamo ignorato lo scontro interno ad esse, che ci riguarda nel profondo ed ha prodotto una polarizzazione estrema delle nostre società. Ad esempio, gli Stati Uniti sono oggi una nazione profondamente divisa al proprio interno.
Tuttavia, non comprendo come la debolezza americana possa essere per alcuni un fattore positivo. Sono fermamente convinta che la stessa Europa, nella necessità di rafforzarsi, abbia al tempo stesso bisogno di poter contare su un’America forte. Rappresentiamo le due “gambe del mondo libero”, complementari anche nelle diversità, e chi pensa che l’Europa debba rappresentare un attore terzo rispetto al resto dell’Occidente ambisce a compiere un errore di portata storica.
La pace degli ucraini
TADF: Ritiene che i governi europei debbano essere promotori di un’iniziativa nei confronti del presidente ucraino Zelensky volta, se necessario, ad indurlo all’accettazione di rinunce territoriali con il fine di favorire presto una pace? Se sì, come?
SC: In primis è necessario ribadire che la pace sarà quella che vorrà il popolo ucraino, nel pieno rispetto del diritto internazionale e del principio di autodeterminazione dei popoli. Anche in ragione di ciò, credo che né Europa, né Stati Uniti, né Nato possano pensare di dettare i termini di un accordo.
Ciò non significa che dobbiamo restare inermi innanzi a quanto accade, anzi. Ritengo che il mondo occidentale debba essere protagonista di pace: occorre provare a raggiungere quanto prima una soluzione diplomatica per questo conflitto, anche se al momento non vedo un “endgame” che possa favorire la nascita di un immediato tavolo negoziale. Tuttavia, mi auguro si riesca a scongiurare la prospettiva di una “guerra di logoramento”, di “un conflitto di lunga durata”.
Il silenzio sui referendum
TADF: Domenica 12 giugno è in programma la consultazione referendaria in tema di giustizia. A cosa è dovuto il quasi totale silenzio dell’agorà politica e mediatica su questo appuntamento elettorale?
SC: Penso sia dovuto a due ordini di motivi: il primo è relativo alla situazione pandemica ed alla guerra in Ucraina che hanno sfavorito la visibilità della tornata elettorale. Il secondo è determinato dal fronte di oppositori referendari sul tema della giustizia, un fronte che spazia dall’Anm al Pd di Enrico Letta, intenzionato a giocare sulla soglia minima di validità per far fallire l’iniziativa referendaria.
Inoltre, negli anni recenti vi è stato un evidente abuso nell’utilizzo delle consultazioni referendarie che ha comportato sfiducia verso tale istituto, senza contare che in passato i risultati elettorali sono stati spesso disattesi.
Un plebiscito per il Sì
TADF: È probabile che la votazione di domenica sui quesiti referendari si concluda senza il necessario raggiungimento del quorum elettorale. In tal caso, potremmo assistere ad un paradossale rafforzamento della parte di magistratura politicizzata dominante dai tempi di Tangentopoli?
SC: Credo che i quesiti referendari sanciranno un importante risultato politico, con un risultato plebiscitario a favore dei “Sì”, a testimonianza che, come dimostrano tutte le indagini in materia, gli italiani avvertono l’esigenza di una vera riforma della giustizia, una riforma assolutamente necessaria.
La vittoria del “Sì” avrà un risultato che non potrà essere ignorato, al di là della percentuale di votanti. Pertanto, un possibile mancato raggiungimento del quorum non credo gioverebbe a nessuno: non rafforzerebbe la magistratura politicizzata ma, piuttosto, indebolirebbe ulteriormente il Paese nel suo complesso ed il nostro sistema democratico.