Rishi Sunak, dunque. Terzo leader Tory nelle ultime 7 settimane e, di conseguenza, terzo premier britannico nel medesimo periodo. Il 42enne di Southampton – origini indo-africane – arriva a Downing Street quasi da predestinato, in un’elezione senza oppositori dopo la rinuncia di Boris Johnson e quella all’ultimo momento di Penny Mordaunt.
Anche se i maggiori gruppi all’interno dei Tory – lo European Research Group e i One Nation – non hanno espresso ufficialmente una posizione unitaria, la corsa di Sunak aveva subito un’accelerata poderosa nel week-end, con le investiture dei più prominenti parlamentari conservatori che fioccavano man mano che si avvicinava all’ora x.
Michael Gove, Iain Duncan Smith e Nadhim Zahavi hanno portato la quota dell’ex Cancelliere oltre le 200 unità, tanto da rendere inutile il ricorso agli iscritti del partito per dirimere la questione della leadership.
Ferite profonde nel partito
Questo, però, è un punto dolente non solo per Sunak ma per tutto il partito. La base da tempo manifesta insofferenza, ma con le loro recenti scelte i vertici Tory non hanno fatto nulla per ricomporre il rapporto. Il defenestramento di Boris Johnson, quello di Liz Truss (scelta dai members conservatori) e, ora, un’elezione senza che gli iscritti abbiano potuto esprimersi, sono tutti eventi che peseranno per generazioni nel popolo Tory.
Sunak ottiene la leadership al secondo tentativo e senza mai vincere alcuna contesa. E di per sé, anche questo è un record.
Il suo percorso politico e professionale tranquillizza i mercati, e pare essere quello più idoneo per ristabilire una politica di bilancio prudente e responsabile dopo il disastroso mini-budget di Truss e Kwarteng, ma bisognerà vedere cosa gli permetteranno di fare i Tories.
A favore di telecamera tutti i parlamentari si sono espressi in favore dell’unità del partito e per la lealtà nei confronti del neo leader, ma per avere una visione più chiara di quanto sono profonde le ferite interne al gruppo occorrerà aspettare le nomine di governo e sottogoverno del premier, atteso a un equilibrismo degno del Cencelli.
Due controindicazioni
Due sembrano le controindicazioni alla sua nomina. La prima è che Rishi Sunak risulta tra i multati del partygate, esattamente come Boris Johnson. Cinquanta sterline per avere partecipato allo stesso evento dell’ex premier. Finora tutto è stato tenuto fuori dall’occhio indagatore dei media, ma è probabile che un Labour che sente nuovamente il profumo del potere dopo 12 anni riporterà a galla la questione: può il Regno Unito avere un altro premier trasgressore della legge?
La seconda è la popolarità del neo premier. Il Labour veleggia con circa 30 punti di vantaggio nei sondaggi, e appare difficile che un milionario che vanta un patrimonio più pingue persino rispetto al Principe Carlo (stimato in 700 milioni di sterline), possa conquistare i collegi della Muraglia Rossa dove Johnson stracciò Corbyn nel 2017. Aggiungiamo il fatto che è pure astemio e avremo il quadro della situazione. Perché un operaio di Workington o di Barnsley nello Yorkshire dovrebbero votare per Sunak?
Il cambio in corsa
Le profonde divisioni nel Partito Conservatore su politica economica, implementazione della Brexit e ambiente sono destinate a durare, e risulta difficile negare che la richiesta delle opposizioni di andare al voto anticipato sia campata in aria.
Certo, non c’è nessuna legge o norma di rango costituzionale che impedisce al partito di governo di cambiare leader in corsa. Lo hanno fatto i Tories in passato con Churchill, Macmillan e Major (fino ai casi più recenti), e lo ha fatto il Labour con Wilson e con Blair.
Ma il government by Prime Minister in parliament, ultima evoluzione del sistema istituzionale UK, prevede che un partito indichi il suo leader all’elettorato e che questo riceva l’invito del Re a formare un governo dopo avere ottenuto la maggioranza alle elezioni.
“To lose one may be regarded as a misfortune, to lose two looks like carelessness.”, ha scritto Oscar Wilde nel suo celebre “L’importanza di essere onesti”. Cambiare il primo ministro una volta potrebbe essere imputabile alla sfortuna. Cambiarlo per due volte nella stessa legislatura comincia a sembrare negligenza.