Esteri

Da Pratica di Mare al terribile 2011: la politica estera di Berlusconi

Atlantista e amico di Putin, europeista ma per un ruolo più decisivo dell’Italia, l’intrinseca fragilità della “geopolitica personale”. Intervista ad Alessandro Ricci

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Come tutta l’avventura umana e politica di Silvio Berlusconi, anche la sua visione di politica estera si presta a diverse letture e non è priva di complessità e contraddizioni. Ne abbiamo parlato con Alessandro Ricci, ricercatore di geografia politica all’Università di Bergamo e tra i coordinatori del centro studi Geopolitica.info.

Atlantismo ed europeismo

FEDERICO PUNZI: Atlantismo ed europeismo sono stati le stelle polari indiscusse della politica estera dei governi Berlusconi. Nel 1995, il I Governo Berlusconi indicò due europeisti Doc come Mario Monti ed Emma Bonino come commissari europei e ricordiamo la posizione al fianco degli Usa negli avvenimenti durante la legislatura 2001-2006: l’11 Settembre, le guerre in Afghanistan e Iraq…

ALESSANDRO RICCI: Certamente, la politica estera di Berlusconi si può sintetizzare in questa duplice polarità di atlantismo ed europeismo: in entrambi i casi, cercando sempre di porsi come interlocutore diretto, mettendo in ombra i cerimoniali e le formalità – che normalmente in diplomazia hanno un ruolo prioritario e coincidono spesso con la sostanza –, per dare rilevanza pressoché assoluta al “fattore umano” e di amicizia personale.

Si è poi posto, nei confronti delle istituzioni europee, e almeno fino ad una certa fase che possiamo far coincidere con il 2011, contrapponendosi all’Ue a trazione franco-tedesca e cercando di ritagliare un ruolo più decisivo per l’Italia.

Il G8 a L’Aquila

FP: Fu un grande successo il G8 tenutosi a L’Aquila nel 2009, poi diciamo che le cose si sono un po’ complicate…

AR: La decisione di tenere il G8 a L’Aquila invece che alla Maddalena fu un’intuizione importante, che ebbe una grandissima eco per il nostro Paese e il suo governo, in un momento piuttosto critico.

Rappresentava d’altronde molto bene il carattere del personaggio, e anche la sua capacità di saper cogliere il momento opportuno, trasformando una situazione di crisi in opportunità e visibilità internazionale e, al contempo, di entrare in diretta sintonia con i suoi interlocutori, tema sul quale Berlusconi ha fondato la sua politica estera.

Ma quel G8 rappresenta forse la fase culminante delle sue intuizioni in politica estera. È forse quello il momento incipiente di una fase di “declino” internazionale, che deflagrerà nel 2011.

Il terribile 2011

FP: Ecco, il 2011 rappresenta uno spartiacque. Possiamo azzardare una lettura di quegli eventi, anche se forse mancano ancora alcune tessere per ricostruire tutto il puzzle?

AR: Mettere insieme la cronologia degli eventi di quell’anno fa abbastanza impressione, ma credo renda bene l’idea della sua parabola “geopolitica” e, per certi versi, anche del ruolo del nostro Paese.

Il 17 marzo del 2011 Francia e Regno Unito decidono di muovere guerra contro la Libia, con il cappello istituzionale della risoluzione Onu 1973. A questa decisione, che minava direttamente gli interessi italiani – visti gli accordi stipulati nell’agosto del 2008 –, così come la credibilità di Berlusconi, amico stretto di Gheddafi, il governo rispose con un atteggiamento inizialmente reticente, non partecipando attivamente alle operazioni, ma mettendo a disposizione sette basi militari.

Poi, un mese dopo, anche dietro eventuali pressioni di Washington e del Quirinaledi cui molto si è discusso –, l’intervento diretto deciso il 25 aprile.

FP: Da lì, gli eventi sono precipitati…

AR: Dopo l’estate, la legittimazione sullo scacchiere internazionale, tutta basata su rapporti interpersonali e simpatie reciproche, precipita: a settembre escono le indiscrezioni sulla presunta battuta rivolta ad Angela Merkel, risalente a tre anni prima.

Il mese dopo, a novembre 2011, durante la conferenza stampa congiunta al G20 di Cannes, i sorrisi complici e denigratori di Nicolas Sarkozy e della cancelliera tedesca sull’affidabilità di Berlusconi. E infine, qualche giorno dopo, sulla scia dello spettro dello spread e di una imponente pressione mediatica (si ricorderà su tutti il “Fate presto!” del Sole24ore), le dimissioni del governo a favore di Mario Monti, esattamente due giorni dopo quella prima pagina.

Una serie impressionante di eventi, più o meno legati tra loro, che ci restituisce un’immagine vivida del personaggio e dell’impostazione data alla sua politica estera, con i suoi pro e i suoi contro. E anche del ruolo del Paese.

Il “fattore umano”

FP: Torniamo al “fattore umano”, che è stato un tratto distintivo della politica estera di Berlusconi. La sua impronta personalistica alla politica estera è stata molto criticata dai suoi avversari e apprezzata, invece, dai suoi estimatori. Come possiamo valutarla in modo obiettivo? Indubbiamente i rapporti molto stretti con George W. Bush e con Vladimir Putin hanno garantito all’Italia una certa centralità, ma si può affermare che il fattore umano sia diventato un limite per Berlusconi, quando i protagonisti e il contesto sono cambiati?

AR: Impostare l’agenda di politica estera del proprio governo sulla simpatia personale, sull’affabilità e la capacità di entrare in relazione con l’interlocutore, può essere un grande vantaggio quando i rapporti sono stretti e di fiducia reciproca; al contrario, può avere effetti devastanti quando la simpatia non c’è o viene meno.

Nel primo caso rientrano i casi che menzionava, di Bush e Putin, che hanno dato un’impronta indelebile alla “geopolitica personale” di Berlusconi. Ma il rovescio della medaglia è proprio lo scenario del 2011: né con la Merkel né con Sarkozy Berlusconi ha mai avuto particolare simpatia, per usare un eufemismo.

Gli effetti li abbiamo visti. Queste vicende, al di là del giudizio sul personaggio politico, ci ricordano una cosa. Siamo spesso inclini a pensare – complice anche una certa impostazione di materialismo storico – alle relazioni internazionali e alle questioni geopolitiche come meramente dettate da grandi interessi strutturali, politici ed economici. In realtà, il fattore umano – anche quello “troppo umano” – ha un posto di enorme rilievo, che troppo di sovente trascuriamo.

Pratica di Mare

FP: Uno dei successi di politica estera maggiormente rivendicati da Berlusconi è stato il vertice Nato-Russia di Pratica di Mare. Trova esagerato definirlo la vera fine della Guerra Fredda?

AR: Quell’accordo fu certamente il momento più importante della politica estera di Berlusconi fondata sul “fattore umano”. Si era pervenuti, con la sua mediazione, a una decisiva distensione delle relazioni tra i due grandi ex competitors della Guerra Fredda.

Parlarne come del momento conclusivo del confronto bipolare è di sicuro uno slogan efficace, ma rappresenta più realisticamente la capacità di sintesi e anche di marketing del Cavaliere. Certamente, però, in quel momento, sulla scorta del comune nemico del terrorismo e di un’amicizia che lui stesso aveva costruito, si suggellava una legittimazione internazionale dell’Italia come interlocutore stabile tra grandi potenze.

Al tempo stesso, però, si mostrava anche l’intrinseca fragilità di una politica basata proprio sulle relazioni personali: cambiato l’interlocutore alla Casa Bianca (con Obama il rapporto era buono, ma non così stretto) e nell’evoluzione drammatica degli eventi (con l’allargamento a Est della Nato e una politica del Cremlino sempre più assertiva), è venuta meno anche quella centralità diplomatica del nostro Paese che si era acquisita proprio in quella fase.

L’amicizia con Putin

FP: Ritiene che Berlusconi sia rimasto prigioniero del cosiddetto “spirito di Pratica di Mare”, e in particolare della sua amicizia con Putin, non elaborando il lutto della fine di quella fase nei rapporti tra Occidente e Russia?

Credo, piuttosto, che avesse sincera fiducia nella possibilità di essere il fautore di un ricongiungimento tra le parti, anche se consapevole di un suo ruolo, e di uno scacchiere generale, assai diversi rispetto a dieci anni prima.

La sua impostazione diplomatica – poteva piacere o meno –, pur rappresentando un impianto fragile, in quanto umano, aveva comunque una sua efficacia. Con il declinare della sua legittimazione a livello internazionale, proprio dopo gli eventi del 2011, sono via via precipitate anche le relazioni tra Federazione Russa e mondo occidentale, con gli eventi del 2014, a Kiev e poi in Crimea, e le relative sanzioni contro Mosca.

Non che a reggere la fragile tessitura internazionale fosse Berlusconi, chiaramente. Ma venendo meno il ruolo che svolgeva, in quanto amico diretto di Putin, è via via venuto meno anche quel minimo di aspetto umano che poteva garantire una continuità di rapporto tra la sponda Nato e quella russa. Il saluto di Putin alla notizia di ieri sta a indicare anche il saluto all’ultimo suo vero interlocutore e amico all’interno dei governi occidentali.

La strategia destabilizzante di Obama

FP: Al di là dei rapporti personali più tiepidi, ritiene che su Berlusconi abbia pesato anche il fatto che l’amministrazione Obama ha sacrificato gli interessi italiani in Europa e nel Mediterraneo, favorendo l’asse franco-tedesco e persino la Turchia di Erdogan?

AR: Non credo ci fosse la precisa volontà di favorire l’asse franco-tedesco. Piuttosto, credo che questa sia stata la naturale conseguenza dell’impostazione strategica dell’amministrazione Obama stabilita con la National Security Strategy del 2010, volta a garantire gli interessi statunitensi nel Grande Medio Oriente, secondo la postura strategica del Leading from behind, guidando dalle retrovie le proteste che ancora oggi definiamo sotto il cappello di Primavera araba.

Si intendeva così – almeno nella prospettiva più idealistica – scardinare l’ordine precostituito, che vedeva più o meno indirettamente l’Italia come uno dei garanti, per favorire una transizione democratica nei Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che avrebbe posto gli Usa in una condizione di garanti della stabilità regionale – e dunque globale. Il risultato fu la definitiva destabilizzazione di un già precario ordine di cui, peraltro, subiamo ancora le pesantissime conseguenze.