Dalle mani di Putin a quelle di Xi: questione tedesca ancora aperta

Scholz vuole vendere un terminal del porto di Amburgo alla cinese Cosco a pochi giorni dal vertice con Xi. Ignorata la lezione Nord Stream

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Ad una precisa domanda, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, sul rischio di finire con la Cina nella stessa situazione in cui ci si è trovati con la Russia, in termini di dipendenza e divisioni interne, Mario Draghi ha risposto:

“Quasi tutti i leader che sono intervenuti nella discussione sulla Cina hanno detto che non dobbiamo ripetere gli errori che abbiamo commesso con la Russia, non dobbiamo ripetere il fatto di essere stati indifferenti, indulgenti, superficiali nei nostri rapporti con Mosca. Quelli che da parte nostra sono rapporti di affari, di concorrenza, dall’altra parte sono parte di una regia complessiva del sistema cinese, quindi vanno trattati come tali”.

Il porto di Amburgo ai cinesi

Eppure, se questo è l’orientamento condiviso dei leader Ue emerso ieri mattina a Bruxelles, il giorno prima da Berlino arrivava la notizia che il cancelliere tedesco Olaf Scholz è deciso a dare il via libera alla vendita del terminal Tollerort del porto di Amburgo alla società Cosco, colosso della logistica cinese, ovviamente di proprietà statale, che acquisirebbe il 35 per cento del capitale, nonostante il parere contrario dei sei ministeri competenti (Economia, Affari esteri, Interno, Finanze, Difesa e Trasporti) e della Commissione europea.

Solo pochi giorni prima, nel corso di una audizione parlamentare, l’intelligence tedesca aveva espresso preoccupazione per la penetrazione cinese nelle infrastrutture critiche del Paese.

E il fatto che Cosco sia già in 13 porti europei, tra cui i terminal di Rotterdam, Anversa e Pireo (Atene), per un 10 per cento della capacità portuale europea, non è una giustificazione ma una aggravante. Tra l’altro, la decisione interessa anche l’Italia, dato che la Hamburger Hafen und Logistik AG (HHLA), proprietaria del terminal, è presente anche nel porto di Trieste.

Scholz a Pechino

Se il governo tedesco non dovesse bloccare la vendita, il contratto – siglato nel novembre 2021 – produrrebbe i suoi effetti a fine ottobre. Guarda caso, pochi giorni prima della visita a Pechino del cancelliere tedesco Scholz, programmata per il 3 e 4 novembre prossimi. Non vorremmo che l’idea di Berlino sia quella di compensare la perdita, causa di forza maggiore, del rapporto con Mosca approfondendo il rapporto con Pechino.

Scholz sarà il primo leader del G7 a visitare la Repubblica Popolare dall’inizio della pandemia e il primo ad incontrare Xi Jinping dopo il XX congresso del Partito comunista cinese.

Un congresso che non solo avrà accordato a Xi un terzo mandato, di fatto un mandato a vita, ma come ha spiegato nei suoi articoli per Atlantico Quotidiano il prof. Michele Marsonet, avrà ratificato la sua stretta totalitaria ed ideologica e il più aggressivo approccio strategico e militare della Repubblica Popolare dalla sua nascita.

Lo schema Nord Stream

Fin troppo evidente che queste scelte da parte di Berlino rientrano nell’approccio che ieri Draghi aveva incluso tra gli errori da non ripetere: pensare in termini di solo business, mentre per Pechino (e Mosca) si tratta di una strategia complessiva per l’egemonia globale.

Poniamoci solo una domanda: sarebbe possibile una simile acquisizione a parti invertite? Riuscite ad immaginare una società della logistica europea che entra nella proprietà di un terminal del porto di Shanghai? Un’altra questione da valutare in un’ottica solo commerciale è che Cosco, grazie al sostegno statale cinese, può facilmente far fuori dal mercato i suoi concorrenti.

Insomma, si sta ripetendo pari pari lo schema dei gasdotti Nord Stream, opere di natura strategica, in grado di condizionare la politica energetica dell’intero Continente, che Berlino ha realizzato con ostinata determinazione e in via bilaterale.

Anche dei gasdotti Nord Stream la cancelliera tedesca Angela Merkel non faceva che ripetere, insieme a Putin, che si trattava di affari, un progetto privato che aveva una valenza esclusivamente economica e non geopolitica.

Argomenti a cui non è pensabile che la cancelliera credesse davvero, ma che sono stati contrapposti per oltre un decennio alle obiezioni sia di Washington che delle capitali dell’Europa orientale, Kiev su tutte.

La questione tedesca ancora aperta

Viene davvero da chiedersi, vedendo ora lo stesso film sul porto di Amburgo, o decisioni come la completa uscita dall’energia nucleare, confermata pochi giorni fa nonostante l’attuale crisi energetica, a che gioco stia giocando il cancelliere Scholz – e se a Washington l’amministrazione Democratica non si sia nuovamente addormentata.

La questione tedesca è tutt’altro che chiusa, nonostante i pericolosi legami economici con la Russia siano stati recisi dall’invasione dell’Ucraina e i gasdotti Nord Stream siano al momento interdetti.

A quanto pare a Berlino una buona parte dell’establishment politico e industriale non ha compreso, o finge di non comprendere, che siamo entrati in un’altra epoca. Quella globalizzazione, nella cui logica si inserivano accordi come quello sul porto di Amburgo, o l’accordo sugli investimenti Ue-Cina siglato da Angela Merkel con Xi Jinping poco prima della conclusione del suo cancellierato, appartiene al passato.

Una globalizzazione, nella quale era stata imprudentemente integrata la Cina, finita con la pandemia e con l’invasione russa dell’Ucraina, anche se i titoli di coda si erano già cominciati a vedere con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca.

Così come era insostenibile dal punto di vista geopolitico un modello economico, come quello tedesco, basato sulla dipendenza energetica dalla Russia, è insostenibile anche un’economia dipendente dalle materie prime e dalle catene di approvvigionamento cinesi.

Così come sono di conseguenza insostenibili, prima o poi dovranno convincersene anche a Washington sponda Democratica, le politiche climatiche, gli obiettivi di decarbonizzazione, il cui sbocco inevitabile è la sostituzione della dipendenza dal gas russo con una dipendenza altrettanto pericolosa dalle materie prime e dalle catene di approvvigionamento cinesi, o sotto il controllo di Pechino. Parliamo ovviamente di pannelli solari, batterie per auto elettriche, ma non solo.

Quell’epoca è finita. Resta possibile e anzi auspicabile una globalizzazione tra nazioni democratiche e vere economie di mercato, che includa Paesi che almeno non siano nostri rivali sistemici.

In ragione di ciò è necessario ripensare completamente i nostri sistemi economici. Riportare le catene del valore in Occidente, il reshoring o friend-shoring, significa rendere competitivi i costi e gli oneri di produzione in Occidente, e questo vuol dire cura dimagrante per gli Stati.

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