Esteri

Dall’Ucraina a Israele: il doppio testacoda, sia a sinistra che a destra

I sinistri pro-Kiev oggi contro Israele, viceversa i destri filorussi dalla parte di Israele. Non hanno capito che sono due teatri della stessa guerra contro l’Occidente

Netanyahu Zelensky

La guerra in Israele ha provocato una nuova inspiegabile metamorfosi nel mondo delle opinioni politiche.

Inversione sul lato sinistro

Influencer, giornalisti, politici, docenti e (quel che è ancor più grave) anche esperti di relazioni internazionali, sul lato sinistro della politica italiana, stanno traghettando l’opinione pubblica progressista verso una nuova svolta a “U” nelle loro interpretazioni del mondo e della storia.

Quelli che, fino al 6 ottobre, erano assolutamente schierati dalla parte dell’Ucraina, della Nato e dell’Occidente in generale, oggi sono diventati improvvisamente filo-palestinesi. Sarebbe troppo definirli filo-Hamas? Non troppo, considerando che già dal 7 ottobre stesso, a cadaveri di kibbutzim ancora caldi, infarcivano i loro commenti con una serie di distinguo.

Aver preso per oro colato la versione di Hamas sulla distruzione dell’ospedale di Gaza (lo scandalo mediatico di cui ha parlato Federico Punzi su queste colonne) è solo uno dei sintomi di questo brusco cambiamento di rotta. Dopo aver giustamente confutato i propagandisti della dittatura russa e perorato la causa dell’informazione indipendente nei Paesi liberi, oggi accettano per valida la versione della dittatura islamica di Hamas e sono scettici nei confronti della risposta data dall’informazione indipendente nella democrazia israeliana.

Analisti di relazioni internazionali che, fino alla settimana scorsa, nei talk show parlavano come Churchill, oggi sono tornati ai loro soliti argomenti contro una democrazia occidentale aggredita da una dittatura, quale è Israele. Era prevedibile, assolutamente. Basti vedere cosa dicevano e scrivevano nelle precedenti guerre mediorientali.

Ma se quelle potevano per lo meno dare adito a dubbi e lasciare spazio ai teorici della complessità, i terroristi di Hamas che entrano in territorio israeliano e assassinano a freddo donne, vecchi e bambini non dovrebbero dare adito a dubbi. Dovrebbero, semmai, aprire gli occhi anche ai ciechi su quella che è la natura della guerra di sopravvivenza che Israele sta combattendo dal giorno della sua indipendenza.

Inversione sul lato destro

Comunque: tranquilli, esiste anche il fenomeno opposto. Giornalisti, opinionisti e non pochi docenti ed esperti che mettevano in dubbio tutto sulla “versione ufficiale” della guerra in Ucraina, oggi sono dalla parte dei fact checker contro la disinformazione palestinese, difendono Israele nel nome di quegli stessi valori occidentali che fino al 6 ottobre dichiaravano essere morti e sepolti.

Giustamente oggi non pensano che Hamas dichiari il numero corretto delle vittime civili a Gaza e altrettanto giustamente si indignano se qualcuno nega, contro l’evidenza dei video (di Hamas) che i bambini di Kfar Aza siano stati trucidati. Ma fino a ieri erano i primi a negare che a Bucha i russi avessero compiuto un massacro di civili (anche sfidando il ridicolo, con le tesi che “quei cadaveri sono attori perché a ben vedere si muovono”) e in compenso si bevevano senza dubbi la bufala del “genocidio del Donbass” e dei “14mila morti fra i russofoni” che sono invece la somma di tutti i caduti di otto anni di guerra nel Donbass da entrambe le parti, militari e civili.

Terza guerra mondiale frammentata

Eppure questo schieramento non ha alcun senso. Chi era dalla parte dell’Ucraina e oggi è contro Israele, così come, viceversa, chi stava dalla parte del regime di Putin e oggi è dalla parte dello Stato ebraico, non ha capito per cosa si sta combattendo nel mondo. “Ucraina e Israele sono due teatri della stessa guerra”, lo ha dichiarato il 18 ottobre Dmytro Kuleba, ministro degli esteri ucraino. Come tutti gli uomini che sono sotto attacco, probabilmente ha guadagnato più lucidità di tanti nostri connazionali che non hanno mai visto una guerra in vita loro.

Quella in corso è una terza guerra mondiale frammentata. Non c’è un’unica operazione, ma i blocchi contrapposti sono ormai chiari. Dalla parte di Hamas troviamo l’Iran. Che è quello stesso Iran che fornisce droni e altre armi alla Russia e appoggia senza riserve la sua invasione dell’Ucraina. Fra Hamas e la Russia c’è un rapporto più ambiguo, ma una cosa è certa: un leader politico di spicco del partito islamista palestinese, quale è Ismail Haniyeh, è stato più volte ricevuto a Mosca. Riceveresti, in veste ufficiale, il leader di un’organizzazione terrorista?

La Cina, politicamente, ha chiaramente espresso la sua posizione in questo conflitto: la colpa, secondo Pechino, è tutta israeliana. La Cina non ha mai condannato l’invasione russa dell’Ucraina, quella “Operazione militare speciale” che Putin ha lanciato due settimane dopo aver incontrato il suo omologo Xi Jinping a Pechino.

Blocco anti-occidentale

La prima considerazione che si può fare, con buona pace dei “teorici della complessità” è che vi sia ormai un unico blocco anti-occidentale, di cui fanno parte Russia, Cina, Iran e anche, nel suo piccolo, la Corea del Nord (come dimostra l’incontro fra Kim Jong-un e Putin) e a cui si stanno aggregando, di volta in volta, le nuove dittature militari africane e i governi populisti dell’America latina. La seconda è che, pur in assenza di un coordinamento strategico o di un comando unificato, le operazioni offensive dei membri di questo blocco sono reciprocamente vantaggiose.

Avallando l’attacco a Israele, l’Iran ne trae direttamente giovamento, perché impedisce l’accordo fra lo Stato ebraico e il suo secondo nemico, l’Arabia Saudita. La Russia ne trae giovamento, se non altro perché si alza il prezzo del petrolio, si rafforza, a scapito di Israele, la posizione del regime di Assad, che ospita basi russe e in ogni caso si distraggono gli Usa dal fronte ucraino. La Cina ne trae comunque giovamento, perché il conflitto mediorientale distrae gli Usa dal fronte del Pacifico e li indebolisce.

Una prova ulteriore è vedere come queste dittature e questi governi anti-occidentali si appoggino gli uni con gli altri all’Onu, in ogni votazione che riguardi i loro interessi vitali. E come, al tempo stesso, si sostengano nel mantenimento dell’ordine interno, contro il pericolo di nuove rivoluzioni democratiche: la Russia che manda “esperti” in Bielorussia per reprimere la protesta delle opposizioni, l’Iran che importa tecnologie di sorveglianza dalla Cina, ecc…

La polarizzazione su quattro leader

Perché questa contrapposizione di blocchi è invisibile nella nostra opinione pubblica, compresa quella più informata? Per la globalizzazione della politica interna. Nel dibattito politico occidentale, infatti, tutto è diventato politica interna. E la politica interna, nell’era mediatica, è solo una scelta di leader. Purtroppo si è consolidata l’idea che Trump, Putin, Netanyahu e a suo tempo anche Berlusconi, fossero i Quattro dell’Avemaria della politica conservatrice e ormai li si intende come “blocco”.

E questa allucinazione geopolitica è condivisa in egual misura dalla destra e dalla sinistra, per la prima è un sogno per la seconda un incubo. I diretti interessati hanno fatto di tutto per alimentare questa visione del mondo, perché Netanyahu ha mantenuto e mantiene tuttora buoni rapporti con Putin e Berlusconi, finché è vissuto, ha cercato di giustificare anche l’ingiustificabile del leader russo, suo amico personale. Trump, dal canto suo, non aiuta, definendo “geniale” il dittatore russo, oltre a mantenere un rapporto di alleanza speciale con Netanyahu.

Ma i quattro leader non sono neppure paragonabili, perché sono esponenti di sistemi politici incomparabili. Netanyahu si è sempre messo ai voti, Trump ha anche perso le ultime elezioni (anche se non lo ammetterà mai) e comunque non è al governo, Berlusconi su 29 anni di carriera è stato al governo 8 anni. Putin è invece, a tutti gli effetti, un presidente che è diventato dittatore a vita.

Non sono affini neppure ideologicamente: Netanyahu è esponente di un liberalismo conservatore, Trump è un nazionalista americano, Berlusconi era il padre del nostro tentativo (fallito) di rivoluzione liberale, mentre Putin è un ex ufficiale del Kgb e il suo sogno è la rifondazione dell’Urss. E sotto il suo regime sono state di nuovo innalzate statue a Stalin e persino a Dzerzhinskij, fondatore della polizia politica sovietica.

Interessi inconciliabili

I quattro leader hanno rappresentato o rappresentano blocchi contrapposti. Possono nutrire stima l’uno dell’altro, ma rappresentano interessi inconciliabili. Gli Usa non potranno mai diventare alleati della Russia, nemmeno se Trump dovesse vincere le elezioni del 2024, a meno di non voler rinunciare del tutto alla propria presenza in Europa e in Asia orientale. Israele può pragmaticamente dialogare con la Russia, per tenere a bada Hezbollah in Siria e in Libano, ma non può rinunciare all’alleanza con gli Usa, da cui dipende buona parte della sua difesa. Lo stesso discorso si può fare anche dall’altra parte: la Russia non potrebbe mai diventare alleata degli Usa, a meno di non rinunciare del tutto alle sue ambizioni di egemonia in Europa.

Saper distinguere fra politica estera e politica interna dovrebbe essere alla base di ogni ragionamento. E anche di ogni valutazione morale. Ma se anche i maggiori esperti di “geopolitica” non lo fanno, chi siamo noi per giudicare?