Democratici pronti a scaricare Biden, ma chi al suo posto?

Dal Washington Post segnale inequivocabile e un sondaggio dal tempismo troppo perfetto. Il problema vero è come scaricare Kamala. Ticket Newsom-Obama?

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Ormai basta dare un’occhiata alla stampa mainstream per capire che qualcuno all’interno del Partito Democratico ha deciso che Joe Biden è un candidato troppo debole per consentirgli di riconquistare la Casa Bianca. Quando le articolesse dei giornaloni a stelle e strisce iniziano a cantare la stessa canzone, è evidente che hanno ricevuto una velina e stanno preparandosi all’ennesima character assassination.

Nel caso del presidente degli Stati Uniti non sarà nemmeno necessario fare chissà quali salti mortali: le inchieste sugli affari poco chiari condotti negli ultimi anni dalla famiglia Biden sono più che sufficienti per causarne praticamente la morte politica. Se non fosse stato difeso dalla congiura del silenzio di quello che alcuni opinionisti di destra chiamano Industrial Censorship Complex, ovvero l’alleanza scellerata tra media e Silicon Valley, Biden probabilmente nemmeno sarebbe arrivato a Pennsylvania Avenue.

Verrebbe quindi da domandarsi perché l’ex senatore del Delaware sia ancora alla Casa Bianca ma, almeno in questo caso, la risposta è semplice: perché il DNC non sa come scaricare la vicepresidente, forse ancora più impresentabile di Sleepy Joe.

Dal WaPo segnale inequivocabile

Se all’interno della Beltway le voci si rincorrono da almeno sei mesi, il pezzo pubblicato il 12 settembre sul Washington Post da David Ignatius, editorialista e romanziere considerato molto vicino alla CIA, ha il sapore di un coccodrillo e di un segnale inequivocabile al resto dei media (una volta) mainstream.

Quello che era stato presentato come il candidato giusto per ricomporre le fratture monumentali che hanno spaccato l’America in due, in grado di riportare il Paese alla normalità, è ormai troppo controversial per riconquistare la Casa Bianca. Invece di “governare dal centro”, le sue politiche hanno inseguito la sinistra massimalista, infilando una striscia di disastri davvero imbarazzante.

Il problema dei problemi? Biden è troppo vecchio: iniziare il secondo mandato ad 82 anni è una liability difficile da spazzare sotto il tappeto. Un recente sondaggio commissionato dalla Associated Press ha rilevato che per il 77 per cento del pubblico americano il presidente è troppo anziano per governare il Paese, opinione condivisa dal 69 per cento dei Democratici.

Alcune delle frasi dell’editoriale sono insolitamente oneste per un membro dell’elite mediatica schierata sempre e comunque dalla parte dell’Asinello.

Biden non è mai stato in grado di dire no. Avrebbe dovuto dire no alla Harris, impedire a Nancy Pelosi di visitare Taiwan e, soprattutto, impedire al figlio Hunter di entrare nel board di una compagnia energetica ucraina e rappresentare interessi cinesi. Sicuramente avrebbe dovuto dire no a Hunter quando gli ha chiesto di far pesare il suo ruolo con questi clienti, parlandoci al telefono.

Fino a poche settimane fa, frasi del genere sarebbero state sufficienti per essere arruolati d’ufficio nell’esercito dei conspiracy theorists e guadagnarsi un biglietto sola andata dalla società civile di Washington. Il fatto che siano scritte nero su bianco sul foglio più rispettato della Capitale, peraltro finanziato dal gigante Amazon, è prova provata che qualcuno ha dato il segnale: Biden va scaricato – in fretta. Lo stesso Ignatius è piuttosto esplicito nel suo pezzo:

Non c’è più tempo. Tra un mese sarà troppo tardi perché altri candidati democratici possano partecipare alle primarie e vedere se hanno la stoffa per diventare presidenti.

Biden, nonostante non ci siano rimpiazzi pronti, dovrebbe “fidarsi della democrazia e lasciare che nuovi leader si facciano avanti”. L’alternativa, orrore degli orrori, è una nuova vittoria di Orange Man, il mostro che tormenta le notti delle persone perbene, quell’orribile persona che non potrà mai scontare la pena di aver impedito a Santa Hillary di ascendere al soglio presidenziale.

Sondaggio dal tempismo sospetto

A conferma che non si trattava di una voce dal sen fuggita, ecco che sono arrivati, a stretto giro di posta, una serie di sondaggi che sembrano confermare quanto anticipato dal WaPo. Prima l’indagine commissionata alla Quinnipiac University, poi quelli arrivati per Fox News e, infine, quello realizzato per Washington Post ed ABC News, pesi massimi dell’informazione statunitense.

La traiettoria del ticket Biden-Harris è più che evidente: il pubblico americano ne avrebbe abbastanza della crisi permanente al confine messicano e dell’inflazione devastante che continua ad erodere il potere d’acquisto della classe media americana. Se i sondaggi di Fox News, NBC e Quinnipiac vedevano Trump e Biden più o meno alla pari, con il probabile candidato repubblicano avanti al massimo di un paio di punti, l’ultimo sondaggio sembra raccontare una storia ben diversa: Donald Trump sarebbe avanti di ben 10 punti, ben oltre il margine d’errore, un nettissimo 52 a 42 per cento.

Se lo stesso Washington Post sembra mettere le mani avanti, dicendo che le risposte “differiscono in maniera significativa dagli altri sondaggi”, il titolo è troppo bello per non essere usato subito dal resto dei media. Le sottigliezze della mefistofelica arte di “massaggiare” i sondaggi per farli lavorare meglio ad una certa narrazione sono infinitamente meno notiziabili di un bel titolo.

Nonostante i numeri sembrino piuttosto sospetti, si possono comunque trarre alcune indicazioni interessanti: se il vantaggio di Trump tra i votanti maschi è stabile a 30 punti (62-32), il supporto di Biden tra le elettrici è in calo, riducendosi a soli nove punti (52-43). La vera notizia sarebbe il cambio di rotta tra gli elettori giovani, che finora avevano votato in blocco per i candidati democratici: il 55-36 messo da Trump nella fascia da 18 a 39 anni fa alzare più di un sopracciglio.

Eppure, le notizie peggiori sono arrivate da un altro sondaggio, condotto dalla NBC: la fiducia nell’operato della presidenza Biden è ai minimi storici anche in constituencies che l’avevano finora appoggiato in massa, specialmente afroamericani e ispanici. Il 56 per cento di pareri negativi dagli elettori probabili non è così preoccupante come il crollo dell’approval rating tra gli elettori nella fascia 18-34 (solo il 46 per cento ha un’opinione favorevole) ma soprattutto nella sempre più numerosa comunità latina (solo 43 per cento) e tra gli elettori indipendenti (36 per cento a favore di Biden).

Aggiungi un plebiscito negativo sulla gestione dell’economia e della politica estera, 37 e 41 per cento rispettivamente, e il ritratto assomiglia a quello di una mission impossible. Per dirla all’americana, Biden is toast.

Il problema vero? Kamala

La domanda che si pone chiunque ha avuto la fortuna di occuparsi di qualche elezione a stelle e strisce sembra chiara: perché l’establishment democratico non ha ancora staccato la spina. Visti i ripetuti incidenti, le infinite gaffes e la preoccupazione per lo stato mentale del presidente, non ci vorrebbe niente a costringere Biden a farsi da parte, magari citando qualche problema di salute.

Il DNC e la Clinton Machine hanno fatto molto di peggio e in maniera meno elegante quando si è trattato di “convincere” lo scomodo Bernie Sanders a togliersi di mezzo. Il vero problema è come eliminare dalla corsa l’impresentabile Kamala Harris senza alienarsi l’ala massimalista del partito ed aprire il fianco ad infinite guerre intestine.

Per un blocco di votanti unito solo dall’odio per Donald Trump e dai deliri woke dell’identity politics, togliere di mezzo Biden e allo stesso tempo liberarsi di una vicepresidente donna e di colore sarebbe un crimine da fucilazione alla schiena immediata. Come si dice in America, chickens have come home to roost, ovvero il DNC paga la scelta azzardata di quattro anni fa. Ignorando completamente quanto la Harris fosse incapace di reggere lo scrutinio dei media, pronta ad uscite quantomeno bizzarre e, più semplicemente, priva di quella qualità indefinibile che oltreoceano si chiama likeability, sono andati avanti come niente fosse.

Serviva una running mate donna e di colore, la Harris era entrambe, good enough for me. Tre anni dopo, i disastri di Kamala sono ancora peggiori di quelli fatti registrare da Biden, cosa che si riflette inevitabilmente nei sondaggi: la Harris è ancora meno popolare del presidente, un approval rating che, secondo il sito specializzato FiveThirtyEight, è sotto il 40 per cento. Dopo che le preoccupazioni per l’età di Biden sono state “incoraggiate” o almeno non cancellate dai media, la sua uscita di scena sarebbe accolta con sollievo da gran parte dell’elettorato. Tutt’altra storia fare fuori una donna di colore come la Harris.

Ticket Newsom-Obama?

L’unico modo per toglierla di mezzo sarebbe il classico promuveatur ut amoveatur, ovvero promuovere per eliminare. Una volta costretta a partecipare alle primarie senza il supporto di media e DNC, Kamala si toglierebbe di torno da sola. La cosa, però, apre il fianco ad ulteriori problemi: chi potrebbe prenderne il posto?

Tornare ad un ticket di uomini bianchi, magari con Pete Buttigieg solo per tener buona la lobby gay nonostante i disastri combinati come segretario ai trasporti, sarebbe una non-soluzione. Servirebbe un’altra donna di colore per affiancare, magari, il governatore della California Gavin Newsom che, da qualche settimana, è sempre più coinvolto nelle attività dell’amministrazione Biden.

Ignatius nel suo editoriale aveva fatto il nome del sindaco di Los Angeles Karen Bass o della segretaria al commercio Gina Raimondo ma, francamente, sono pesi leggeri, incapaci di reggere l’urto con la corazzata Trump.

L’unica in grado di zittire le proteste e costringere tutti i democratici ad allinearsi alla volontà del partito sarebbe Michelle Obama ma anche questa non è una scelta priva di rischi. La ex first lady ha mantenuto un profilo basso negli ultimi anni e, soprattutto, si era rivelata una vera e propria iattura per il marito durante le sue due campagne elettorali. Michelle, nonostante un’immagine pubblica costruita ad arte dagli spin doctors, risulta troppo caustica, opinionated e un filino elitista. Le manca completamente il fascino o la capacità oratoria del marito, per non parlare delle sue capacità nei dibattiti, che a meno di una nuova emergenza creata ex novo, difficilmente riuscirebbe ad evitare.

Insomma, una situazione molto confusa che potrebbe trascinarsi a lungo. Il DNC avrebbe fretta di risolvere questo pasticcio ma senza soluzioni pronte adeguate, ogni mossa potrebbe rivelarsi un boomerang. Al momento tutto sembra indicare che, dietro le quinte, si stia lavorando per un ticket Newsom-Obama, ma siamo sicuri che Michelle accetterebbe ancora di stare dietro ad un uomo, peraltro bianco e più giovane? Ai posteri l’ardua sentenza.

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