Le ragioni storiche del conflitto in Ucraina, il “divorzio in armi” tra Kiev e Mosca, l’ipotesi di una tregua invernale sui campi di battaglia e l’eventualità di una caduta del regime putiniano. Questi alcuni dei temi toccati da Ugo Poletti, direttore del The Odessa Journal, ed autore di “Nel cuore di Odessa” (Rizzoli), nella sua intervista con Atlantico Quotidiano.
Resistenza di popolo
TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Direttore Poletti, da testimone oculare del conflitto cosa può raccontarci della resistenza della popolazione civile, ancor prima che dell’esercito ucraino?
UGO POLETTI: Questo è il fenomeno più interessante e sorprendente da osservare, dato che quasi nessuno si aspettava una tale unità popolare volta a resistere strenuamente all’invasore, sin dallo scoppio del conflitto.
Pertanto, possiamo ritenere questa resistenza una lezione della storia: le guerre non sono soltanto contrapposizioni tra eserciti, ma anche una questione di patriottismo, orgoglio popolare e responsabilità civile nel conflitto.
Ad esempio, dal 24 febbraio in Ucraina si assiste al supporto dei comuni cittadini, con i proprietari dei maggiori ristoranti, qui a Odessa, che cucinano costantemente per i soldati, insieme ai civili che distribuiscono aiuti umanitari e beni essenziali in tutto il territorio.
Piccole testimonianze che denotano una società che ha reagito e vive questa sfida in maniera corale e compatta, al contrario di quella russa, a cui questa guerra è stata a lungo mediaticamente nascosta ed ancora oggi viene raccontata in meri termini propagandistici.
Un “divorzio in armi”
TADF: Quali sono le ragioni storiche di questo conflitto? Qual è la contrapposizione ideologica tra Russia ed Ucraina? Quella di Kiev si può definire una “guerra per procura” della Nato a Mosca, come alcuni anche in Italia affermano?
UP: La storia della “guerra per procura” va decisamente smentita, storicizzando il problema: in primis, è doveroso guardare al passato per rendersi conto di come quella di Kiev sia una guerra di indipendenza. Da molto tempo l’Ucraina ha deciso di separarsi a tutti gli effetti dalla Russia, diventando una nazione autonoma, con i primi sussulti avvenuti già durante il primo conflitto mondiale.
Ora, sta avvenendo un definitivo “divorzio in armi”, che risulta assai doloroso ma evidenzia la volontà di uno dei due popoli di non essere più in alcun modo soggetto all’altro. Tuttavia, è chiaro che all’interno di questa crisi geopolitica si inseriscano numerosi interessi internazionali, tra cui quello della Nato di contrastare l’imperialismo russo.
Questo fattore però non toglie nulla alla lotta di liberazione ucraina. Ad esempio, pensiamo all’unità d’Italia, avvenuta con il decisivo sostegno di Francia e Inghilterra. Senza il supporto di Parigi il piccolo esercito sabaudo non avrebbe sconfitto gli austriaci e senza l’assistenza di Londra Garibaldi non sarebbe mai arrivato neanche a Marsala, dato che la scorta della flotta inglese si rivelò per lui fondamentale per non essere affondato dai mercantili della flotta borbonica.
Pertanto, vogliamo considerare anche l’unità d’Italia una “guerra per procura”? Sarebbe ridicolo. Abbiamo unito il nostro Paese anche grazie al supporto esterno, stessa cosa che stanno facendo gli ucraini difendendo il Paese grazie alle nostre armi.
Russofoni non significa russofili
TADF: Nonostante Zelensky sia un presidente russofono, ed abbia ricevuto molti voti da questa etnia, si dibatte molto sulle presunte prevaricazioni ucraine nei riguardi delle “popolazioni russofone del Donbass”. Come si spiega questa narrazione? Da dove arriva?
UP: Il fatto che nel Donbass, e anche al di fuori di esso, in città come la stessa Odessa, si parli soprattutto russo e ci sia un’alta percentuale di russofoni, non significa affatto che essi siano disponibili ad accettare di vivere sotto il controllo di Mosca. Essere russofoni ha ben poco a che fare con l’essere russofili.
Zelensky lo dimostra: parla russo in famiglia, nei suoi film e con i suoi amici; ha preso molti voti dai russofoni, ma è anche il presidente che guida il popolo invaso. Anzi, aggiungo che lo stesso Zelensky – ritenuto talvolta dai media occidentali estremista e nazionalista – non è amato proprio dai “nazionalisti ucraini”, che gli preferivano l’ex presidente Petro Porosenko.
Tregua invernale?
TADF: Da alcune settimane, nel dibattito pubblico occidentale circola l’idea di una “tregua invernale”. Non rischia di essere un assist per Vladimir Putin, che potrebbe riposizionare e fortificare le truppe prima di lanciare una nuova offensiva militare?
UP: Non c’è dubbio, dato che chi sta perdendo la guerra non può che essere avvantaggiato da una tregua, mentre chi conduce le operazioni sul campo ha la necessità di velocizzare i ritmi e gli attacchi. Ora, chi offre l’idea di una tregua e di un negoziato immediato deve avere l’onestà intellettuale di ammettere che non lo fa affatto per il “bene degli ucraini”, ma per meri interessi individuali.
Se qualcuno desidera che Kiev accetti dei compromessi sulla propria terra non si interessa certamente del bene di quel popolo, piuttosto dell’economia della propria nazione. Quelle ascoltate nelle scorse settimane sono proposte dettate da egoismo – legittimo ovviamente – che deve però essere ammesso e non nascosto dietro veli di ipocrisia.
La pace giusta per l’Ucraina non passa per le “tregue invernali”, piuttosto dalla certezza di non essere nuovamente attaccata nei prossimi anni e dalla riconquista dei territori barbaramente occupati da Mosca.
Perché serve la sconfitta russa
TADF: Sin dall’inizio del conflitto numerosi analisti e leader occidentali (pensiamo ad Emmanuel Macron, con il suo noto “non bisogna umiliare Putin”) parlano della necessità di arrivare ad “un pareggio” sul campo di battaglia, evitando la sconfitta di uno dei due contendenti. Lei è d’accordo?
UP: Credo che il ragionamento “non bisogna umiliare Putin”, che ha attecchito notevolmente nelle opinioni pubbliche occidentali, sia il maggior successo della propaganda russa. Se uno Stato aggredisce un Paese sovrano, massacrando i civili, annettendo territori, invocando la de-nazificazione delle sue istituzioni, per quale ragione dovrebbe poter “salvare la faccia”?
Non penso che un simile ragionamento facesse presa nell’opinione pubblica durante il secondo conflitto mondiale, quando si è invasa la Germania per sconfiggere Hitler. Immaginiamo qualcuno che all’epoca si sarebbe intestardito sul “non possiamo umiliare Hitler”?
Ritengo che finire la guerra senza aver umiliato lo zar sarebbe un grosso pericolo, perché legittimerebbe le modalità di una potenza aggressiva, imperialista e a trazione militare come la Russia. Piuttosto, penso che una sonora sconfitta sul campo di battaglia potrebbe aprire ad una riflessione interna, come avvenuto alla Germania dopo la fine del nazismo.
L’eventualità della caduta di Putin
TADF: Ritiene che Vladimir Putin sia ben saldo al potere o che possa aprirsi nel prossimo futuro una resa dei conti interna al Cremlino? Nel caso, come gestire sul piano diplomatico, militare e politico il collasso del regime putiniano?
UP: La Russia si sta rendendo conto della propria umiliazione sul campo di battaglia, il senso di vergogna e rabbia è ormai palpabile anche nell’opinione pubblica russa, nelle sue trasmissioni televisive, che pure rappresenterebbero punte avanzate della propaganda.
Ebbene, tale imbarazzo è così forte che potrebbe aprire una resa dei conti interna, con Vladimir Putin costretto a pagare il costo del fallimento di una guerra da lui voluta ed iniziata. Nel caso, bisognerebbe gestire il crollo violento del regime di Putin e della Federazione Russa stessa.
Una sua divisione in regioni darebbe il via ad una serie di micro-guerre civili, agitate da bande territoriali e differenti etnie, presenti sul territorio e fino ad oggi tranquille perché governate da un leader come Putin, ritenuto forte e minaccioso.
Comprendo che un simile scenario possa spaventare in Occidente ed è chiaro che tale eventualità andrà gestita e contrastata politicamente, dato che rappresenta un pericolo per la nostra stabilità e sicurezza.