Esteri

Dietro la guerra Hamas-Israele lo scontro di civiltà che ci riguarda tutti

Pensare di evitarlo, come se non fosse già in atto, è illusorio: i rischi dell’immigrazione crescente e l’incompatibilità del Corano con la nostra Costituzione

manifestazione palestina Hamas

Se in presenza della ultima fase sanguinosa della ormai cronica guerra fra Israele e Hamas dovessimo effettuare una scelta fra le due teorie sull’evoluzione storica in atto, quelle che hanno tenuto campo solo qualche anno fa, l’ottimistica “La fine della storia” di Francis Fukuyama e la pessimistica “Lo scontro delle civiltà” di Samuel P. Huntington, sarebbe quest’ultima ad offrirci una chiave ermeneutica. Israele, pur con la peculiarità della forte identificazione fra territorio e popolo ebraico, fa parte della c.d. civiltà occidentale, mentre, a sua volta Hamas rappresenta la variante religiosa e politica della c.d. civiltà islamica.

Occidente e Islam

La differenza sostanziale è costituita dalla secolarizzazione che ha conosciuto prima l’Europa occidentale e poi l’America del Nord, per cui la religione, nelle sue molteplici varianti del cristianesimo, è divenuta una professione privata, certo non priva di influenza mediata, ma di per sé non rilevante a livello di apparato costituzionale e di decalogo dei diritti fondamentali.

Tale secolarizzazione non ha avuto luogo nei Paesi assoggettati all’islam, dove il Corano rimane a tutt’oggi un testo sacro, se pur espresso a misura di un popolo nomade tribale, come d’altronde la stessa Bibbia; un testo al di sopra di qualsiasi altro, non divino ma umano, che non ne rispetti il contenuto profondamente pervasivo di ogni aspetto pubblico e privato.

Pensare di evitare questo conflitto è illusorio, come se non fosse già in atto, radicato profondamente nella vita di popoli interi, senza che sia possibile alcuna integrazione, ma solo una convivenza perennemente in bilico, che trova per quanto ci riguarda il suo punto di maggiore sofferenza proprio laddove tale conflitto si manifesta in presenza di una contiguità territoriale, cioè nella presenza di uno Stato non musulmano nel cuore stesso dell’islam.

Due popoli due stati

Il peccato originale che viene fatto valere è la costituzione armata di tale Stato, con l’espropriazione di un territorio di antico insediamento arabo, attuato con la connivenza di una Europa ben disposta a scaricare altrove il costo dell’Olocausto, cioè sugli incolpevoli palestinesi, condannati ad un perenne esilio nei loro discendenti addensati negli affollati campi profughi ai confini o nei congestionati insediamenti urbani della Striscia di Gaza.

La formula taumaturgica di “due popoli due stati”, che viene continuamente rilanciata da decenni, si è rivelata indebolita alla sua stessa base, cioè dell’esistenza di due territori distinguibili, a cominciare dalla stessa capitale, Gerusalemme, comunque tale da celare la ragione profonda della sua inattualità.

Si può dubitare della disponibilità di Israele, che si vedrebbe così chiuso in una cintura vista e vissuta con profonda diffidenza in ragione di una esperienza pluridecennale di guerre difensive, ma non si può celare che Hamas ha come principio ispiratore quello della distruzione dello Stato di Israele. Può suscitare i distinguo dei Paesi arabi moderati, ma per il popolo arabo, con intensità diffusa, anche se più forte per il mondo sciita rispetto a quello sunnita, il messaggio di Hamas risveglia il sentimento radicale dell’islamismo.

Spirito di rivalsa

Non certo quello del Califfato, che coltiva l’Isis, rivelatosi impraticabile per le stesse divisioni religiose e statuali esistenti, ma di spirito di rivalsa verso gli infedeli. Perché se è vero che il Corano predica la tolleranza verso le genti dei libri, Bibbia e Vangeli, questa va declinata in termini non di cittadinanza ma di sudditanza. Il cristianesimo, pur nella sua presenza limitata, è non di rado oggetto di raid verso le sue chiese e le su comunità, ma l’ebraismo è identificato con Israele, uno Stato che nel corso dei decenni ha mostrato di tenere a bada, fino ad umiliarlo, tutto il mondo arabo che lo assedia.

La rappresentazione propagandistica che se ne dà è di una opulenta Israele, sostenuta dalla finanza ebraica internazionale e coperta dalla protezione degli Stati uniti, che schiaccia economicamente e militarmente la miserrima popolazione palestinese, confinandola in quella Striscia di Gaza descritta come una prigione a cielo aperto. Ed è questa presentazione ad essere fatta propria dalla sinistra più radicale, condannandola come sionismo, quasi che proprio la rivendica di un proprio stato non fosse stato al centro di quel movimento.

Il rischio sostituzione etnica

L’autore de “Lo scontro delle civiltà” è convinto della loro inconciliabilità, tanto da invitare quella c.d. occidentale a difendere i propri valori, che sono e rimangono quelli di portata universale. Il che ci rinvia a quella che dovrebbe costituire la maggiore preoccupazione, cioè la crescente immigrazione non solo dall’Africa ma anche dall’Asia islamiste, che porta con sé ben radicata la fede e la pratica religiosa respirata fin dalla nascita.

Non occorre ricorrere ad alcuna pedanteria filologica per verificare l’assoluta incompatibilità del Corano con la nostra Costituzione, là dove inclina chiaramente per uno stato teocratico e per una visione tribale dei diritti civili, con a perno la sottomissione della donna.

Si può fare dell’ironia sulla espressione “sostituzione etnica”, che non ha di pe sé nessuna connotazione razzista, essendo la parola etnia riferita non al genoma ma alla cultura, ma questa sostituzione ha avuto corso più volte nella storia, tanto da aver portato a tutta una legislazione nazionale ed internazionale a protezione delle “minoranze etniche”. Oggi non lo siamo, ma già nel nuovo secolo? Noi saremo già morti, gli autoctoni saranno minoritari, chi salverà da una religione iconoclasta come la musulmana la pittura, scultura, architettura cristiana, patrimonio non dell’Italia, ma dell’umanità?