Dietro le quinte della campagna Biden: perché i Dem tremano

Situazione così grave che è intervenuto Obama in persona. Distanza tra la “bolla” del presidente e alcune élite. Chi il candidato (o la candidata) migliore per battere Trump?

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A meno di dieci mesi dalle presidenziali Usa, l’incertezza regna sovrana. Nel campo repubblicano, stando ai sondaggi, Donald Trump sembra avere la nomination in tasca. Il suo cammino, però, è reso incerto dai numerosi processi in cui è coinvolto, e dai tentativi, in corso in alcuni Stati, di escluderlo dalle elezioni, in quanto ineleggibile perché “responsabile di insurrezione” per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Tutti gli occhi sono già puntati sulla Corte Suprema, dinanzi alla quale la questione sarà discussa all’udienza del giorno 8 febbraio.

Inquietudine Dem

Se Atene piange, Sparta non ride. Sul fronte opposto, infatti, per molti pezzi grossi del Partito Democratico, Biden e il suo team stanno valutando con troppo ottimismo le possibilità di vincere in una “partita di ritorno” contro Trump, che – nonostante tutto – viene ritenuta probabile.

L’inquietudine nasce, innanzitutto, dai sondaggi, che sono, per Biden, molto preoccupanti. A dicembre, in alcune rilevazioni il suo tasso di approvazione è sceso sotto la soglia psicologica del 40 per cento, con tendenza in discesa. La situazione è così grave che Obama in persona è intervenuto per consigliare a Biden un approccio “più dinamico”.

I consigli di Obama

Lo sappiamo perché qualcuno ha pensato bene di spifferare al Washington Post di un pranzo privato che i due hanno avuto poco prima di Natale. In quell’occasione, Obama avrebbe suggerito a Biden di spostare la macchina elettorale “al di fuori” e “oltre” la cerchia dei suoi consiglieri della Casa Bianca – sull’esempio di ciò che Obama stesso fece, con successo, nel 2012.

Lo staff della campagna di Biden sostiene di aver già fatto tesoro dei suggerimenti e di avere tutto sotto controllo. Secondo molti strateghi democratici, però, si tratta di un ottimismo eccessivo. David Axelrod, architetto politico di Obama, sostiene che Biden contro Trump può vincere, ma deve rendersi conto di dover affrontare una sfida “preoccupante”.

Il sostegno a Israele

La debolezza di Biden nasce dal fatto di non essere riuscito a consolidare la coalizione che gli ha consentito di battere Trump nel 2020, e di essere, ora, pericolosamente vicino a perderne pezzi essenziali. A sinistra, infatti, cresce la disapprovazione, se non vera e propria rabbia per il sostegno che il presidente ha inevitabilmente garantito ad Israele nella guerra contro Hamas. Se Biden perde i voti degli arabi americani e dei giovani, non ha speranze di ottenere un secondo mandato.

Gli “articoli di fede”

Il “catechismo” che la campagna Biden continua a ripetere ai critici del proprio partito si basa su quattro “articoli di fede”: primo, a novembre la guerra Israele-Hamas sarà già un ricordo lontano; secondo, l’economia sarà in crescita, e ciò non potrà non premiare il presidente uscente (all’insegna del noto adagio della politica americana – e non solo – “it’s the economy, stupid”); terzo, l’aborto sarà ancora al centro del dibattito elettorale, e ciò favorirà i Dem, perché donne e elettori indipendenti – dopo la sentenza Dobbs che ha eliminato la tutela costituzionale federale dell’interruzione volontaria della gravidanza, rovesciando la sentenza Roe v. Wade – non vorranno dare a Trump la possibilità di nominare alla Corte Suprema altri giudici conservatori; quarto – ultimo ma non meno importante – per battere Trump si confida di raccogliere e spendere un miliardo di dollari.

Il discorso grintoso di Biden a Valley Forge – di fatto un attacco ad alzo zero contro Trump (menzionato ben 44 volte in mezz’ora) – pronunciato alla vigilia del terzo anniversario dell’”insurrezione” del 6 gennaio 2021, ha rincuorato alcuni ambienti del Partito Democratico. Altri, però, non nascondono il proprio nervosismo.

Partito diviso

Una teleconferenza di mercoledì scorso tra la campagna Biden e “surrogati” e opinionisti Dem non sarebbe andata molto bene, anzi avrebbe rivelato una preoccupante lontananza tra la “bolla” del presidente e alcune élite del partito. Lo sappiamo perché alcuni partecipanti si sono affrettati a far trapelare la loro delusione ad Axios – sito solitamente ben informato su ciò che si sussurra nei corridoi di Washington.

Il ripetersi di retroscena e “fughe di notizie” rivela che il Partito Democratico è profondamente diviso sulla ricandidatura di Biden. Obama continua ad appoggiarlo e consigliarlo. Cosa che non deve sorprendere, perché, con Biden alla Casa Bianca, Obama vede la possibilità di continuare ad esercitare il ruolo non tanto di “padre nobile” del partito (di quasi vent’anni più giovane…), ma di vero e proprio “presidente ombra”.

Ma cosa farà la sinistra dei Dem? E cosa faranno i Clinton (che nel partito contano, e molto)? L’unica cosa su cui sembrano tutti d’accordo, nel Partito Democratico, è che l’avversario da battere sarà Trump, nonostante i suoi molteplici e variegati problemi giudiziari. Il contrasto è su chi possa e debba essere il migliore candidato, o la migliore candidata da contrapporgli. Nel frattempo, ogni giorno che il conflitto Israele-Hamas prosegue sugli attuali livelli di intensità, è un colpo ad uno dei quattro pilastri della campagna di Biden, e le sue possibilità di rielezione si riducono.

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