Il XX congresso del Partito comunista cinese, concluso con l’incoronazione di Xi Jinping, ci fornisce l’immagine di una Repubblica Popolare statalista e sempre più distante dalle idee di Deng Xiaoping.
È uno Stato che sta tornando al comunismo duro e puro di Mao Zedong. Per ora mancano le “Guardie Rosse” e non si parla ancora di “rivoluzione culturale”. Tuttavia, visto l’andazzo, non si può escludere un ritorno a quel passato.
Meno dipendente dall’export
Mette conto notare che Xi e il suo gruppo di fedelissimi yes-men sembrano assai più attenti alla dimensione ideologica che a quella meramente economica, contrariamente a quanto è avvenuto negli ultimi decenni. Solo così si spiega la scarsa preoccupazione per il rallentamento del Pil e per le conseguenze sul futuro della globalizzazione “con gli occhi a mandorla”.
L’intento è quello di diminuire la dipendenza dall’export, spingendo al contempo verso la redistribuzione del reddito e l’aumento della capacità di spesa dei cittadini, soprattutto quelli che vivono nelle campagne e, in genere, nelle aree più povere del Paese. Obiettivo non certo facile da conseguire se l’economia nazionale – come sta in effetti accadendo – continua a perdere colpi, a causa della crisi di settori essenziali quali quello immobiliare e siderurgico.
Episodi di dissenso
Ci sono stati episodi di ribellione da parte della popolazione. Da segnalare, per esempio, i tentativi di fuga dei cittadini dagli ossessivi lockdown totali che sigillano nelle città, grandi e piccole, milioni di persone.
Motivazione ufficiale è evitare la diffusione del Covid. Ma si sa anche che i suddetti lockdown vengono imposti anche in presenza di un numero ridicolo di contagiati. E allora è ovvio che le chiusure hanno semplicemente lo scopo di favorire il controllo sociale coatto di una popolazione che manifesta evidenti segni d’inquietudine.
Pure l’emarginazione degli imprenditori più innovativi conferma il quadro anzidetto. Per Xi, a questo punto, i tycoons non servono più. Hanno contribuito a proiettare all’estero l’immagine di una Repubblica Popolare dinamica, ancora comunista de jure, ma ricca e capitalista de facto.
È giunto il tempo, per il nuovo imperatore, di modificare tale immagine, proponendo alle nazioni del Terzo e Quarto Mondo il “modello cinese”, in aperta contrapposizione a quello occidentale.
L’asse con Putin
Se ci si chiede perché, nonostante i dubbi che Pechino ha espresso circa l’invasione dell’Ucraina, resti salda l’alleanza “senza limiti” stipulata con Vladimir Putin, la risposta non è poi così difficile. Xi intende ad ogni costo rovesciare l’ordine globale sin qui dominato dall’Occidente. E, per farlo, il leader russo, pur indebolito dal cattivo andamento del conflitto ucraino, è utilissimo per almeno due motivi.
Innanzitutto perché l’alleanza tra le due maggiori autocrazie del pianeta proietta un’immagine di forza che la Cina, da sola, non può garantire. In secondo luogo perché l’attuale debolezza russa apre a Pechino ampi spazi di manovra nelle Repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale.
L’influenza in Asia centrale
Non solo. La Repubblica Popolare può così continuare a coltivare il vecchio sogno di recuperare, in futuro, gli immensi territori asiatici conquistati dagli zar, che i cinesi considerano invece più vicini alla loro storia e alla loro cultura.
C’è insomma il progetto di espandere l’influenza della Repubblica Popolare in regioni contigue ai suoi confini allentando, nello stesso tempo, quella di Mosca. Sta già avvenendo in Kazakistan, e altri Stati indubbiamente seguiranno.
Un progetto anti-storico
Sul versante russo troviamo un Vladimir Putin prigioniero di un sogno che qualcuno ha definito addirittura “metafisico”. Vale a dire quello di ricostituire – con la benedizione della Chiesa ortodossa – l’unità della Rus’ medievale di Kiev, giacché russi, bielorussi e ucraini sarebbero un solo popolo.
Il capo del Cremlino è circondato da intellettuali che giustificano questo progetto che è del tutto anti-storico. Per esempio Alexandr Dugin, il quale ha recentemente definito “un angelo” la figlia Darya Dugina, uccisa in un attentato lo scorso 20 agosto. Peccato che, poco prima di morire, costei avesse definito gli ucraini “subumani”, espressione che un angelo non avrebbe mai usato.
Cosa li tiene uniti
Il fatto è che Putin, che certamente comprende il pericolo di ridurre la Russia a satellite di Pechino, non può fare a meno di Xi il quale, sia pure con molti dubbi, continua a fornirgli copertura politica. L’idea di rovesciare l’ordine mondiale esistente tiene uniti i due autocrati.
Entrambi sperano nell’ulteriore indebolimento degli Usa, più polarizzati che mai, e in attesa delle imminenti elezioni di midterm che potrebbero rafforzare le tendenze isolazioniste sempre forti negli Stati Uniti. Un quadro non certo incoraggiante per le democrazie liberali dell’Occidente, che forse avrebbero dovuto trovare strumenti per impedire che l’asse Pechino-Mosca si saldasse.