Esteri

Diga di Kachovka: tutto indica che sia un altro crimine russo

Il movente e l’arma del delitto, le modalità, le contraddizioni, il precedente: ecco gli elementi che portano a pensare sia stato un sabotaggio russo

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Ci sono crimini talmente gravi che anche chi li ha commessi stenta a crederci. Questo è il caso del sabotaggio della diga di Nova Kachovka, sul fiume Dnepr, in Ucraina meridionale, che ha provocato l’allagamento di un territorio abitato da circa 50 mila persone.

Sappiamo cosa sia il dolore provocato da un’alluvione, l’abbiamo appena provato in Emilia Romagna. Pensiamo a cosa possa essere il sentimento di un popolo colpito da un’alluvione, sapendo che è stata deliberatamente provocata con un’azione terroristica.

La stampa internazionale è quasi unanime nell’additare la Russia quale responsabile del sabotaggio. La stampa italiana è invece, come sempre, più divisa e dubbiosa. L’unico dei grandi giornalisti/opinion maker che difende apertamente i russi è Tucker Carlson, che ha dedicato alla diga ucraina la sua prima puntata del nuovo format su Twitter. Se Carlson non andasse controcorrente, non sarebbe più lui e non farebbe audience. Non è detto, però, che abbia ragione.

Per cui vediamo in dettaglio quali siano gli elementi che portano a pensare che sia stato un sabotaggio russo. Ogni attentato ha un movente, un mandante, un’arma.

Il movente

Il movente: a chi interessa e a chi giova un attentato di questo genere? I territori allagati appartengono sia all’area occupata dall’esercito russo, sia a quella in mani ucraine, su entrambe le sponde dell’ultimo tratto del Dnepr. Entrambe le parti sono dunque danneggiate. Tuttavia, la popolazione civile, più colpita, è innegabilmente ucraina su entrambe le sponde. Le autorità ucraine hanno maggior interesse a proteggere la propria popolazione, per di più in un territorio liberato dall’occupazione russa solo di recente.

I russi sono nel ruolo degli occupanti e hanno meno interesse a proteggere una popolazione non loro. Inoltre hanno a che fare con una popolazione che non ha accettato mai di buon cuore l’occupazione e che, come ha dimostrato la liberazione di Kherson, ha saputo organizzare un’efficace resistenza partigiana.

Nel breve periodo, allagare quell’area interessa soprattutto ai russi che sono sulla difensiva e, da almeno due mesi, attendono l’inizio della tanto annunciata controffensiva ucraina. Una delle direttrici più probabili è proprio quella che va da Kherson alla Crimea. Allagando tutta quell’area che va da Nova Kachovka al Mar Nero, i russi hanno almeno chiuso quella porta, come nota anche il generale Battisti nella sua analisi pubblicata ieri.

Anche il governatore russo della regione occupata di Kherson la pensa allo stesso modo. Ieri ha dichiarato: “Dal punto di vista militare, la situazione operativa e tattica è favorevole alle forze russe”, rispondendo a una domanda del noto giornalista Solovev sulle conseguenze del crollo della diga.

Solo nel lungo periodo, i russi possono avere svantaggi, perché la popolazione della Crimea era rifornita di acqua soprattutto dal bacino che ora è distrutto. Ma è un danno rimediabile e aggirabile con il canale che parte a monte della diga (e alimenta direttamente la Crimea) e con l’acquedotto di Kerch, che porta acqua dalla Russia. Alla domanda “a chi giova”, dunque, la risposta è chiara: ai russi.

Una versione che non torna

Quanto al mandante: non è un “dettaglio” che la diga, benché vicinissima al fronte, era interamente in mano russa. Dall’autunno scorso, le truppe di occupazione avevano fatto saltare la strada che conduceva alla centrale idroelettrica, per migliorarne la difesa.

Che i russi facessero saltare la diga stessa era una vecchia paura degli ucraini: il governo di Kiev ha iniziato a prepararsi al peggio dal momento della liberazione di Kherson. Alla fine di ottobre 2022, l’intelligence ucraina lanciava l’allarme: i russi stanno minando la diga e potrebbero provocare un disastro su larga scala.

Il sindaco dell’autorità di occupazione di Nova Kachovka, alle sei del mattino (poco più di tre ore dopo il sabotaggio, secondo le stime) negava che fosse successo qualcosa di grave e accusava la diffusione di “notizie false”. Solo un’ora dopo lo stesso sindaco cambiava improvvisamente tesi e accusava gli ucraini di “un grave atto di terrorismo”, parlando di un “bombardamento di artiglieria”.

Se alle 2,50, ora stimata del sabotaggio (un’esplosione è stata rilevata dai sismografi fino in Romania), ci fosse effettivamente stato un bombardamento di artiglieria, perché il sindaco Leontev non se ne è accorto? Perché, ancora alle 6 del mattino dichiarava che fosse tutto tranquillo nel suo settore? C’è qualcosa che non torna nella versione russa.

La pista ucraina

Gli ucraini avrebbero avuto solo due possibilità per distruggere una diga strategica in mano russa: mandando un commando di sabotatori o bombardandola a distanza (con aerei, cannoni, missili). Un bombardamento si vede, può essere sentito, visto, filmato e tracciato anche a grande distanza, anche con i satelliti, volendo.

Un bombardamento (non atomico) che sia talmente potente da provocare il crollo di una gigantesca diga in cemento armato, potrebbe durare anche molto a lungo e impiegare grandi quantità di esplosivo. La dinamica dei fatti che conosciamo finora, non ci mostra nulla di simile.

Un commando di sabotatori che riesca a infiltrarsi dietro le linee nemiche e minare la diga? Possibile, ma altamente improbabile. Per distruggere una struttura del genere non basta il commando in stile “I cannoni di Navarone” che piazza un paio di cariche nel punto giusto e distrugge tutto. Occorre un lavoro notevole che non si può concludere in poche ore da un gruppo di uomini intenti a nascondersi alla caccia del nemico.

Difficile anche pensare che la diga possa essere stata minata, nei giorni scorsi, da infiltrati civili, o in abiti civili, mimetizzati nel personale della centrale elettrica. Perché sarebbero stati scoperti ancora più facilmente dalle autorità russe di occupazione: minare una diga non è cosa che possa passare inosservata.

Il precedente

Se vogliamo guardare anche ai precedenti, uno lo troviamo nell’agosto del 1941. Il regime di Stalin, pur se per una causa sacrosanta (la difesa dall’invasione nazista), aveva distrutto la diga di Zaporizhzhia, non lontana da quella di Nova Kachovka. Allora, il regime badava ancora meno al valore della vita della popolazione civile e l’alluvione scientemente provocata causò la morte di almeno 20 mila persone (fino a 100 mila, secondo le stime peggiori).

Putin non è Stalin, ma lo Stato russo si è sempre considerato erede diretto di quello sovietico. E mantiene vivo il mito della Grande Guerra Patriottica, anche nei metodi. Alla domanda su chi sia il mandante, dunque, la risposta è: molto probabilmente, il comando militare russo.

L’arma del delitto

Non avremo certezze, comunque, finché non troveremo l’arma del delitto. E sarà difficile trovarla. Per ora dobbiamo basarci sulle stime degli esperti. E quelli interpellati dal New York Times, ieri, paiono concordare sul fatto che la diga sia stata distrutta da un’esplosione interna, non da un bombardamento. Quindi, se si esclude l’ipotesi del commando di sabotatori talmente abile da minare tutta una diga senza farsi scoprire, un’esplosione interna può essere solo opera dei russi. Gli occupanti avrebbero fatto quel che l’Intelligence ucraina segnalava (e temeva) sin dall’autunno scorso.

Attendiamo, comunque, che l’amministrazione Biden mantenga la promessa di declassificare l’intelligence raccolta sulla distruzione della diga di Nova Kachovka, dove vi sarebbero altre prove della responsabilità di Mosca. E la declassificazione stessa potrebbe essere una prova, anche se indiretta: l’intelligence americana non si esporrebbe così tanto, se non fosse veramente certa di quel che sta affermando. Non dopo l’Iraq (e le armi di distruzione di massa che non si sono trovate).

La previsione, esatta fin nei dettagli, dell’invasione russa dell’Ucraina, azzeccata dalla CIA e non da altri servizi occidentali, è la dimostrazione che almeno sulla Russia gli 007 americani ci vedono lungo e ci vedono bene.

Crimine di guerra

Se dunque fossero stati i russi ad aver provocato una catastrofe non-naturale? Verrebbe sicuramente messa a dura prova la linea di chi, come il presidente francese Emmanuel Macron, vorrebbe accantonare l’incriminazione di Putin, alla Corte Penale Internazionale, per tornare a trattare con Mosca.

Un’alluvione provocata dal sabotaggio di una diga è un crimine di guerra e contro l’umanità, sul quale non si può sorvolare tanto facilmente. È paragonabile a un atto di mega-terrorismo. Avreste negoziato con Bin Laden dopo l’11 settembre?

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