Esteri

Dilemmi cinesi per il governo Meloni: cosa fare dell’accordo Xi-Conte?

Banco di prova per la premier che eredita dal duo Conte-Di Maio una questione spinosa. L’alleanza anti-cinese con Londra e Tokyo e la spinta del “partito francese”

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Il governo italiano si trova ad affrontare un problema molto spinoso, eredità della precedente compagine gialloverde diretta da Giuseppe Conte e, soprattutto, dell’ex ministro degli esteri grillino Luigi Di Maio, poi sparito dalla scena.

La Nuova Via della seta

Come si rammenterà, l’Italia fu l’unico Paese del G7 a siglare, nel 2019, l’accordo con Pechino relativo al progetto della “Nuova Via della seta”, mediante il quale Xi Jinping intende promuovere la penetrazione commerciale cinese in ogni parte del mondo. All’entusiasmo cinese e italiano (soprattutto da parte del M5S) si contrappose l’evidente irritazione dell’amministrazione Usa e degli altri membri del G7, che auspicavano maggiore prudenza da parte di Roma.

Da allora è passata parecchia acqua sotto i ponti. Il progetto fu in pratica bloccato dal Covid, con la Repubblica Popolare chiusa in se stessa per fronteggiare la diffusione della pandemia. Finita quest’ultima, tuttavia, la dirigenza cinese è più che mai intenzionata a dare nuova linfa al progetto, che è del resto essenziale per la politica estera di Xi Jinping. E vi sono segnali importanti secondo cui la leadership cinese si attende da Roma un rinnovo pressoché automatico dell’accordo.

Rinnovare o disdire il Memorandum?

Gli ostacoli però sono molti. Innanzitutto l’ostilità Usa, che non è mai venuta meno. Giorgia Meloni, dopo aver ricevuto l’incarico, ha modificato parecchio le sue posizioni in materia di politica estera. Prima era vicina al premier ungherese Viktor Orban, quindi euroscettica e atlantista “tiepida”. Diventata premier si è trasformata in europeista e soprattutto in atlantista convinta.

Ora, se decide di disdire l’accordo sulla Via della Seta, è lecito attendersi una dura reazione da parte cinese, soprattutto sul piano economico e commerciale, visti gli interessi che la Repubblica Popolare ha nel nostro Paese. Se invece lo rinnova, ci sarà una reazione altrettanto dura da parte americana, con Joe Biden che probabilmente accuserà l’Italia di essere inaffidabile. Un vero e proprio rebus, insomma, e ancora non si capisce quale corno del dilemma la premier sceglierà.

Per Giorgia Meloni è un duro banco di prova. Confermerà l’accordo blandendo Xi, e aumentando ancora l’irritazione Usa, oppure lo disdirà? Al momento non si sa. Ma è evidente che, in ogni caso, tra poco sarà possibile capire quali sono i reali margini di autonomia della politica estera italiana.

Si noti però che, nel frattempo, il presidente francese Emmanuel Macron si è recato in visita a Pechino portandosi dietro l’evanescente Ursula von der Leyen, e ha stretto accordi con Xi senza esitare troppo. Come del resto aveva fatto in precedenza Olaf Scholz, accompagnato da una nutrita delegazione di industriali e banchieri tedeschi.

L’equidistanza di Macron

Si noti inoltre che il recente tentativo di Emmanuel Macron di stabilire una sorta di “equidistanza” europea da Usa e Cina non suona affatto nuovo. È dai tempi di Charles De Gaulle che Parigi cerca di assumere un ruolo di mediazione tra Stati Uniti da un lato, e potenze autoritarie dall’altro.

Il Generale che creò la “Francia Libera” durante il secondo conflitto mondiale pensava di poter diventare l’ago della bilancia tra Usa e Unione Sovietica, attribuendo a Parigi un’importanza ben maggiore di quella che aveva nei fatti. Il problema in fondo è semplice. Un conto è “sentirsi” grande potenza, un altro è esserlo realmente.

In Europa la Francia ha indubbiamente un ruolo di rilievo. Pur avendo perduto l’impero, mantiene un arsenale nucleare discreto, ma non certo paragonabile a quello americano, russo o cinese. Pure il suo esercito è migliore di quello delle altre nazioni Ue. Anche in questo caso, tuttavia, non possiede una forza tale da impressionare i colossi che oggi dominano lo scenario mondiale.

Macron tenta allora di assumere la leadership nell’Unione europea, contrastato però dagli altri Paesi membri. In particolare dai tedeschi che, pur avendo un governo traballante e un cancelliere debole come Olaf Scholz, non vogliono saperne di cedere il bastone del comando ai francesi. Macron sta pure cercando la “sponda” italiana per perseguire il suo progetto (o sogno?) dell’Europa quale “terzo polo” tra Stati Uniti e Cina comunista.

Il trilaterale Roma-Londra-Tokyo

Non si deve però scordare un altro fatto piuttosto importante. I governi di Tokyo, Londra e Roma hanno annunciato la creazione di un nuovo partenariato trilaterale di difesa e sicurezza chiamato “Global Combat Air Programme”.

Esso prevede, tra le altre cose, lo sviluppo di un caccia di nuovissima generazione entro il 2030. Si tratta del Tempest, un vero e proprio sistema aereo di cui il caccia è solo uno dei componenti. L’aereo sarà supportato da altri strumenti quali droni e sistemi di Intelligenza Artificiale destinati ad aumentare e migliorare le prestazioni.

Siamo quindi in presenza di un’alleanza strategica tra tre Paesi membri del G7 che, sotto parecchi aspetti, rammenta l’alleanza “Aukuss” già in atto tra Australia, Usa e Regno Unito. In comune le due alleanze hanno un elemento fondamentale, e cioè quello di agire nel delicato scacchiere dell’Indo-Pacifico.

Ne consegue, ovviamente, che anche la nuova alleanza “GCAP” intende porsi quale elemento di deterrenza nei confronti del crescente espansionismo cinese. Il nuovo partenariato trilaterale è già stato firmato e la notizia è apparsa nei siti dei Ministeri degli esteri dei tre Paesi coinvolti. Vi si legge che:

Come capi di Governo di Italia, Giappone e Regno Unito, siamo impegnati a sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, più importante che mai in un momento in cui questi principi vengono contestati e in cui crescono minacce ed aggressioni. Poiché la difesa della nostra democrazia, della nostra economia, della nostra sicurezza e della stabilità regionale riveste una sempre maggiore importanza, abbiamo bisogno di forti partenariati di difesa e di sicurezza, sostenuti da una capacità di deterrenza credibile.

Alleanza anti-cinese

Qualcuno potrebbe pensare che si tratta delle solite dichiarazioni di principio, ma non è così. Nel testo, infatti, si fa esplicito riferimento al nuovo caccia avanzato e al rafforzamento della collaborazione tra le industrie militari dei tre Paesi, senza peraltro trascurare i benefici economici e industriali ad ampio raggio (l’azienda italiana coinvolta è Leonardo) che avranno ricadute anche sull’occupazione.

Si tratta insomma di un altro tassello che l’Occidente pone in atto per contrastare il tentativo di creare un nuovo ordine mondiale guidato dall’asse Pechino-Mosca.

Né si dimentichi che pure gli Stati Uniti hanno annunciato l’imminente presa di servizio del nuovo bombardiere B-21 Raider, prodotto dalla Northrop Grumman, e che è stato progettato proprio in vista di un possibile scontro armato con la Repubblica Popolare.

La premier Giorgia Meloni si è sin qui mossa con molta prudenza nei confronti di Xi Jinping. Il motivo è ovvio, giacché il mercato cinese è essenziale per il nostro export, come lo è per Germania e Francia. La premier si trova dunque in una scomoda posizione: fa parte di un’alleanza anti-cinese da un lato, ma deve decidere dall’altro se confermare o meno l’adesione alla “Via della Seta”. Dilemmi cinesi che Meloni dovrà affrontare a breve termine.

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