Esteri

Domenica al via il XX Congresso, Xi Jinping a caccia del terzo mandato

Ma non mancano incognite economiche e segnali di insofferenza per il suo personalismo sempre più accentuato. Le tre fazioni interne e il rivale Li Keqiang

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Non è chiaro cosa bisogna attendersi dal XX Congresso del Partito Comunista Cinese, che inizierà questa domenica 16 ottobre. Finora si pensava che Xi Jinping riuscisse a ottenere senza eccessiva fatica il tanto agognato terzo mandato, diventando così, de facto, presidente a vita.

Del resto l’attuale leader si considera a tutti gli effetti unico erede del “Grande Timoniere” Mao Zedong, ed è evidente a tutti che la sua ambizione è seguire le orme del fondatore della Repubblica Popolare.

Impossibile tuttavia ignorare i segnali d’insofferenza che si manifestano tanto nella popolazione quanto nello stesso Partito.

Tre fazioni

L’interpretazione più accreditata indica la presenza di almeno tre fazioni nel PCC. Ci sarebbe un’ala sinistra, alla quale apparterrebbe lo stesso Xi, indicata come la più corposa (almeno tra i delegati). Poi una fazione “centrista” abbastanza forte, ma non al punto di mettere in discussione la figura del leader e la sua aspirazione al terzo mandato. E infine un’ala destra, la più debole, ancora fedele alle idee di Deng Xiaoping.

Il personalismo di Xi

L’area in cui Xi si è mosso con più decisione è l’economia, dove i cambiamenti sono davvero notevoli. Recentemente è stato addirittura fondato un “Centro per lo studio del pensiero economico di Xi Jinping”. Peccato che non si capisca bene in cosa esso consista. Come non si capisce con chiarezza quale sia il “pensiero di Xi” inserito nella Costituzione (come quello di Mao Zedong il quale, però, un pensiero originale almeno l’aveva).

L’attuale leader ha attribuito alla sua azione di governo un tono sempre più personale, contravvenendo in tal modo alla leadership collettiva che è sempre stata il pilastro della politica del PCC dopo la morte di Mao.

La svolta statalista

A ben guardare, Xi ha imposto all’economia cinese una svolta nettamente statalista, privilegiando le grandi aziende statali rispetto a quelle fondate da imprenditori che, pur avendo in tasca la tessera del partito, hanno messo in campo idee innovative per aumentare i profitti.

La campagna contro i tycoon come Jack Ma è stata efficace e ha determinato l’emarginazione di molti di essi. Sono così state ridimensionate aziende di grande successo (anche sul piano internazionale) come Alibaba e Tencent. Il che ha causato perdite economiche le quali, tuttavia, non sembrano preoccupare Xi e i suoi fedelissimi.

Il decoupling

E non si tratta solo di questo. In realtà Xi sta realizzando, per conto suo, il decoupling, vale a dire il “disaccoppiamento” tra l’economia cinese e quelle occidentali che era uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump.

Alla base di questa importante mossa sta la convinzione della leadership di Pechino che la Repubblica Popolare debba rendersi sempre più indipendente dall’Occidente. Non più “fabbrica del mondo”, quindi, bensì Paese che intende privilegiare i consumi interni rispetto all’esportazione. Ciò implica, naturalmente, la fine della “globalizzazione con gli occhi a mandorla” e una maggiore autarchia da parte cinese.

La redistribuzione

Gioca inoltre un grande ruolo l’intento di redistribuire il reddito, privilegiando campagne e aree povere rispetto alle grandi metropoli che negli ultimi decenni hanno creato l’immagine esterna della Repubblica Popolare.

Obiettivo difficile da realizzare, visto che in Cina 600 milioni di cittadini vivono con un reddito mensile di 1.000 yuan (circa 145 euro), insufficiente a soddisfare anche i bisogni più elementari. E l’idea di trasferire reddito da Shanghai e Shenzhen alle regioni povere risulta, per l’appunto, di ardua realizzazione.

Il rischio è quello di deprimere economicamente le grandi metropoli, volano della crescita economica nazionale, senza ottenere risultati significativi nelle regioni povere.

Nel frattempo il Fondo Monetario Internazionale sta rivedendo al ribasso la crescita del Pil che negli ultimi decenni costituiva motivo di orgoglio nazionale. Xi sta puntando tutto sul concetto di “benessere comune”, tornando a categorie tipicamente comuniste con una verniciata di confucianesimo. Quest’ultimo, com’è noto, insiste molto sulla “armonia sociale”.

Il rivale Li Keqiang

Si noti che negli ultimi tempi Xi e il premier Li Keqiang hanno spesso detto cose diverse. Mentre il primo incontrava i veterani della guerra civile vinta dai comunisti, il secondo si recava a Shenzhen a deporre fiori sulla statua di Deng Xiaoping, inventore del “socialismo di mercato” e autore del celebre slogan “arricchitevi!”.

Si tradurrà, tutto questo, in uno scontro tra i due al XX congresso? Nulla si può escludere anche se, dalle informazioni che trapelano col contagocce, Xi sarebbe riuscito a blindare la sua posizione eliminando progressivamente tutti gli avversari.

La politica “Covid zero”

Resta il problema di comprendere l’insistenza dell’attuale leader sulla politica del “Covid zero”, praticata mediante continui lockdown totali, pur essendo evidente che tale strategia è risultata fallimentare. Lo è, però, soltanto dal punto di vista sanitario.

Sul piano puramente politico è invece uno strumento – invero assai efficace – mediante il quale Xi Jinping e il suo gruppo dirigente mantengono un controllo sociale che risulta vacillante.