Esteri

Donbass, il disastro ambientale in atto di cui nessuno parla

Giovanni Brussato: dalle miniere allagate contaminazione dell’acqua, fughe di gas e la minaccia “Klivazh”, una seconda Chernobyl a quasi mille metri di profondità

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Conosciamo tutti il triste bilancio di perdite di vite umane causato dal conflitto in Ucraina. E altrettanto bene conosciamo i danni ingenti alle infrastrutture e alle città che vengono spesso mostrati ai telegiornali.

Oltre a questi terribili bollettini quotidiani, c’è un altro aspetto meno conosciuto, più nascosto ma non per questo meno grave, che ci è stato segnalato da Giovanni Brussato, che abbiamo già ospitato sulle pagine di Atlantico Quotidiano. Lo ha definito il bilancio ambientale. Abbiamo pertanto deciso di ricontattarlo per approfondire.

Il bacino carbonifero di Donetsk

MARCO HUGO BARSOTTI: Iniziamo dai fatti: tutti sappiamo della guerra in Ucraina, ma descriva brevemente quello che ha recentemente definito come “disastro ambientale”.

GIOVANNI BRUSSATO: L’occupazione dell’Ucraina orientale da parte delle truppe russe nel 2014, e i successivi combattimenti nel 2014-2017, hanno causato interruzioni di corrente e, di conseguenza, l’allagamento dei pozzi delle miniere di carbone che sono concentrati in questa regione. Una situazione che con l’invasione del 2022 è andata progressivamente aggravandosi.

Oggi la situazione relativa alle miniere non sotto il controllo governativo non è verificata poiché non è consentito l’accesso agli impianti stessi, e qualsiasi informazione viene ottenuta da fonti “non ufficiali”. Questo, oltre alla continua estrazione di carbone non regolamentata ed illegale, rappresenta una minaccia significativa per l’ambiente.

Il bacino carbonifero di Donetsk è storicamente una zona ad alto rischio ecologico ma con l’inizio delle ostilità, il rischio di inquinamento incontrollato e su larga scala è aumentato drasticamente e potrebbe avere dimensioni catastrofiche.

Il drenaggio acido

Infatti, quando cessa la disidratazione delle miniere, ottenuta attraverso pompaggi continui, ne consegue un successivo aumento dei livelli delle acque sotterranee che tornano ad occupare il loro spazio naturale. Come conseguenza, quando le rocce contenenti solfuri, che sono composti chimici molto comuni in cui lo zolfo è combinato con elementi metallici e semimetallici, entrano in contatto con l’acqua, come nel caso delle miniere del Donbass, formano acido solforico.

L’acido fuoriesce fintanto che la roccia di origine è esposta all’acqua e fino a quando i solfuri non vengono lisciviati, un processo che può durare centinaia, persino migliaia di anni. Questo fenomeno è definito drenaggio acido metallifero e l’Onu lo ha etichettato come il secondo più grande problema che il mondo deve affrontare dopo il riscaldamento globale.

Riconoscendo i rischi del drenaggio acido la US Environmental Protection Agency, EPA, ha affermato, nel 1987, che “… i problemi relativi ai rifiuti delle miniere possono essere classificati come secondi solo al riscaldamento globale e all’esaurimento stratosferico dell’ozono in termini di rischio ecologico. Il rilascio nell’ambiente dei rifiuti minerari può provocare una distruzione profonda, generalmente irreversibile, degli ecosistemi”.

La pericolosità del drenaggio acido è la persistenza nell’ambiente. Le miniere allagate possono avere ripercussioni gravi e prolungate nel tempo sulle acque superficiali e sotterranee, e sulle forme di vita acquatica. Una volta avviato, il processo di formazione di acidi è estremamente difficile da arrestare. È risaputo che l’acidità e la presenza di contaminanti disciolti uccidono la maggior parte delle forme di vita acquatica, facendo diventare pressoché sterili i corpi idrici e rendendo l’acqua inadatta al consumo umano.

Un esempio in Europa è il fiume Rio Tinto in Spagna, che prende il nome dall’omonima, storica, miniera di rame aperta nel 1873, dove ancora oggi, dopo decenni dalla sua chiusura, le sue acque sono del colore del sangue, non si possono bere, non si possono usare per l’agricoltura e, in esse, non possono vivere né pesci né alghe.

Acqua contaminata

La decisione di interrompere di drenare acqua dalle miniere ha avuto ripercussioni sull’intero sistema idrologico, poiché il bacino minerario di Donetsk è un sistema geologico in cui molte miniere hanno una connessione idraulica l’una con l’altra.

Per evitare che l’acqua tossica inondasse migliaia di ettari di terreno, e privato dell’acqua potabile decine di migliaia di persone, si è reso necessario scaricarla direttamente nei fiumi. Questo il caso del fiume Komyshuvakha, che finisce nel bacino idrico di Seversky Donec, da cui, secondo l’Ocse, preleva l’acqua il 70 per cento degli abitanti di Donetsk e il 30 per cento di Luhansk. Secondo stime attendibili, per oltre 300.000 abitanti di queste regioni l’inquinamento dei bacini idrici è una minaccia concreta ed urgente.

Inoltre, il deflusso acido dalla miniera può dissolvere i metalli pesanti contaminando le acque sotterranee e i fiumi. I rischi connessi alla contaminazione dell’acqua potabile e l’ingestione di metalli comporta effetti acuti o cronici sulla salute in base al tipo e al livello di esposizione ai metalli, come danni agli organi, al sistema nervoso o aumento del rischio di alcune tipologie di neoplasia.

MHB: Nella sua descrizione del “drenaggio acido metallifero” ci sembra di rilevare un paradosso: il problema sta nel fatto che l’uomo smette di drenare acqua (per le miniere), con la conseguenza che queste “tornano ad occupare lo spazio naturale” e questo causa danni ambientali. Controintuitivo, no?

GB: Le risorse minerarie e idriche sono intimamente connesse ma hanno una relazione complessa e spesso poco compresa. L’attività mineraria ha una relazione diversa e più diretta con le acque sotterranee rispetto alla maggior parte degli altri settori industriali. In termini semplici, il processo di estrazione richiede notevoli quantità di acqua ma può anche presentare rischi sostanziali per i fiumi, i laghi, le risorse idriche sotterranee, gli acquiferi e conseguentemente per gli ecosistemi e le comunità che dipendono da queste risorse idriche.

L’accesso alla roccia mineralizzata prevede necessariamente che l’acqua venga rimossa attraverso le operazioni di disidratazione e pertanto gli afflussi delle acque sotterranee vengono espulsi per mantenere l’accesso al sito. La falda acquifera viene quindi artificialmente abbassata di decine di metri modificando le condizioni della rete idrologica per decine di chilometri nelle aree circostanti: consideri che stiamo parlando di prelievi idrici anche di milioni di metri cubi all’anno.

Nel momento in cui cessano le attività di pompaggio la falda tende a ritornare al livello originario: le conseguenza sono frequentemente disastrose.

Rischio terremoti

MHB: Quindi qual è la situazione nel bacino carbonifero di Donetsk?

GB: L’aspetto più grave, a nostro giudizio, resta l’inquinamento delle acque superficiali e sotterranee ma le miniere allagate causano inondazioni in superficie, terremoti, fughe di gas esplosivi e tossici.

Vi sono ulteriori potenziali rischi connessi all’interruzione del pompaggio delle acque dalle miniere: terremoti causati dall’uomo. Se l’acqua non viene pompata fuori dai pozzi minerari i terreni sommersi perdono le loro caratteristiche strutturali e geomeccaniche, di conseguenza si verificano fuoriuscite improvvise di enormi quantità d’acqua. Tali scosse idrauliche possono essere accompagnate da terremoti locali la cui intensità può raggiungere anche 4-5 punti della scala Richter.

Il Servizio statale per la geologia e il sottosuolo dell’Ucraina ha osservato che l’intero Donbass, a causa dell’innalzamento delle acque sotterranee, è sull’orlo di una crisi che può portare all’attività sismica spiegando così i messaggi che hanno iniziato ad apparire periodicamente sui social network da parte di residenti circa forti terremoti di origine sconosciuta.

Fughe di gas

Ulteriore conseguenza è il rischio di rilascio ed esplosione di metano e altri gas dalle miniere. Il metano, oltre ad essere esplosivo, rappresenta un grande pericolo per i residenti della regione, poiché è difficile da rilevare a causa della sua mancanza di odore e colore.

La fuoriuscita incontrollata dei gas in superficie può includere il monossido di carbonio, che è altamente tossico, ed il radon che è la fonte dominante dell’esposizione umana alle radiazioni ionizzanti e rappresenta la seconda causa di tumore al polmone dopo il fumo di tabacco.

Rischio seconda Chernobyl

C’è poi una situazione particolarmente grave che potrebbe rappresentare con alta probabilità una contaminazione radioattiva definita da alcuni una seconda Chernobyl. Mi riferisco alla situazione della miniera Yunyi Komunar, nota come Yunkom, che si trova vicino a Yenakiieve, nell’area non controllata dal governo di Kiev.

Ad una profondità di 937 metri nel pozzo della miniera, c’è la cosiddetta struttura “Klivazh”, che è una capsula formata da un’esplosione atomica sotterranea controllata che ha avuto luogo nella miniera nel 1979, quando l’Ucraina faceva parte dell’URSS. Durante l’esplosione si formò una capsula di roccia con pareti che si fusero in vetro, in cui si accumulò acqua insieme a stronzio radioattivo, cesio e altri elementi. L’esplosione, sperimentale, aveva finalità belliche, anche se mascherata da esigenze tecnico-scientifiche. Successivamente la miniera “Yunkom” fu una delle più sature di gas nocivi in tutta l’ex Unione Sovietica.

Non è definitivamente chiaro il livello di allagamento della miniera, ma si ritiene che la struttura “Klivazh” sia completamente allagata. La situazione è complicata dal fatto che attualmente non ci sono informazioni sull’aumento della radiazione di fondo nell’area circostante la miniera, o nei fiumi Bulavin, Krynka e Mius, mentre i rappresentanti della autoproclamata Repubblica Popolare di Doneck negano qualsiasi rischio associato all’inondazione di “Klivazh”.

Nel frattempo, tutti i tentativi dei rappresentanti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica per valutare in modo indipendente la situazione hanno ricevuto un netto rifiuto.

Se i dati venissero confermati, l’eventualità di un disastro ecologico, consistente nella contaminazione radioattiva e chimica delle acque sotterranee e superficiali dell’intera regione e, a sua volta, del Mare d’Azov, sarebbe inevitabile.

Chi paga il conto?

MHB: Se la guerra terminasse oggi, quanto tempo e con quali costi ci dovremmo confrontare per ristabilire l’equilibrio ambientale ? E soprattutto, chi sarebbe giusto pagasse? E chi ragionevolmente dovrà farlo?

GB: Il futuro del Donbass è complesso e richiede un’attenta pianificazione e investimenti per affrontare le sfide sociali, geopolitiche, industriali e ambientali. Il tempo e i costi di questi interventi sono estremamente complessi da quantificare, ma consideri che in molti casi in questi siti ci si trova a dover applicare quelle che io definisco “cure perpetue”, cioè una manutenzione che di fatto potrebbe non avere fine.

Circa la responsabilità del danno, questa sarebbe ovviamente in capo alla compagnia mineraria che frequentemente, quando si manifestano questi problemi, non esiste più e quindi di fatto i danni restano a carico della collettività. In silenzio questa regione si sta avvicinando ad un punto di non ritorno, dove una vita e un lavoro normali diventeranno impossibili.

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