Venerdì 26 gennaio, la Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha emesso una serie di misure provvisorie in merito all’accusa di genocidio intentata dal Sudafrica contro Israele, mentre il verdetto definitivo è stato rimandato.
La decisione
Il caso non è stato archiviato, come sperava il governo di Gerusalemme. La Corte ha ordinato a Israele di prendere tutte le misure necessarie a “prevenire tutti gli atti che rientrano nell’ambito della Convenzione sul genocidio” e di consentire l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza, ma al tempo stesso non ha ordinato a Israele il cessate-il-fuoco, limitandosi a richiedere maggiore attenzione per limitare le ripercussioni sulla popolazione civile.
“La stessa affermazione che Israele compia un genocidio del popolo palestinese è non solo menzognera ma anche oltraggiosa”, ha tuonato il premier Benjamin Netanyahu. “La disponibilità della Corte di prenderla in esame è un marchio di vergogna che non sarà cancellato per generazioni”. Mentre Sudafrica, Hamas e Anp festeggiano, Noemi Di Segni esprime il proprio rammarico: “Fa male, alla vigilia del Giorno della Memoria, constatare che la Corte abbia statuito la propria giurisdizione per decidere su quanto promosso dal Sudafrica”.
A Israele è stato richiesto di presentare, entro un mese, un rapporto militare sulla situazione nella Striscia. Nel frattempo, la Corte ha dichiarato di essere “gravemente preoccupata” per gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, e ha chiesto il loro rilascio immediato e senza condizioni.
Parziale vittoria
Tutto questo avviene in un contesto in cui, pur partendo svantaggiata, Israele poteva comunque contare su alcuni fattori a suo favore: innanzitutto, ha potuto mostrare ai giudici le immagini dei massacri compiuti da Hamas il 7 ottobre, dei quali la veridicità è stata confermata anche da fonti come il New York Times, solitamente critico nei confronti dello Stato ebraico.
Inoltre, non sono mancati coloro che hanno preso le difese d’Israele in vista del processo: la Germania aveva espresso a metà gennaio la decisione di intervenire come terza parte, poiché in quanto firmataria della Convenzione sul Genocidio del 1948, ha il diritto di unirsi ai processi in corso e presentare le proprie argomentazioni nel merito. “Il governo federale respinge fermamente ed espressamente l’accusa di genocidio che è stata ora formulata contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia. Questa accusa non ha alcun fondamento”, afferma il comunicato ufficiale del portavoce del governo tedesco.
Nel complesso, quella di Israele può considerarsi una parziale vittoria: è vero che il verdetto vero e proprio non è ancora stato emesso, ma la condanna per genocidio avrebbe amplificato le pressioni internazionali per un cessate il fuoco che, se ottenuto, in questo momento rappresenterebbe una vittoria per Hamas.
Scandalo UNRWA
Mentre all’Aja Israele riportava questo risultato, è emerso un grosso scandalo che ha coinvolto l’UNRWA, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. Proprio il commissario generale dell’UNRWA, Philippe Lazzarini, ha dichiarato in un comunicato che “le autorità israeliane hanno fornito all’UNRWA informazioni sul presunto coinvolgimento di diversi dipendenti dell’UNRWA nei terribili attacchi contro Israele del 7 ottobre”.
Lazzarini ha aggiunto che per “proteggere la capacità dell’Agenzia di fornire assistenza umanitaria, ho preso la decisione di rescindere immediatamente i contratti di questi membri del personale e di avviare un’indagine per stabilire senza indugio la verità. Qualsiasi dipendente dell’UNRWA coinvolto in atti di terrorismo sarà ritenuto responsabile, anche attraverso procedimenti penali”.
Immediate le reazioni delle istituzioni: il Dipartimento di Stato Usa ha temporaneamente sospeso i finanziamenti aggiuntivi all’UNRWA, mentre il segretario generale Onu Antonio Guterres si è detto “inorridito dalla notizia”, e avrebbe chiesto a Lazzarini “di indagare rapidamente sulla questione e garantire che qualsiasi dipendente UNRWA che abbia partecipato o favorito gli attacchi venga immediatamente licenziato e deferito per un potenziale procedimento penale”.
Gli insegnanti dell’UNRWA
Da quando è scoppiata la guerra, questo non è il primo scandalo che coinvolge l’UNRWA: il 10 gennaio, una ricerca della ong UN Watch aveva rivelato che in un gruppo Telegram di cui fanno parte oltre 3.300 insegnanti di Gaza affiliati all’UNRWA, sono stati trovati numerosi post e commenti che inneggiavano ai massacri e agli stupri compiuti dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, celebrati come “eroi”. Venivano altresì condivise con gioia foto degli israeliani uccisi o catturati, e vi era chi chiedeva l’esecuzione degli ostaggi.
Diversi erano gli esempi di docenti scolastici UNRWA che istigavano all’odio: Waseem Ula, ad esempio, aveva condiviso un video in cui glorificava gli attentati compiuti da Hamas, oltre a postare la foto di un giubbotto esplosivo da kamikaze scrivendo: “Aspettate, figli del giudaismo”. Inoltre, elogiò uno dei terroristi responsabili dei massacri del 7 ottobre, Akran Abu Hasanen, definendolo “amico” e “fratello”.
Un altro insegnante dell’UNRWA, Abdallah Mehjez, aveva invitato la popolazione civile di Gaza a non ascoltare gli allarmi diramati da Israele per consentire loro di mettersi al riparo, esortandoli invece ad immolarsi come scudi umani. Prima di lavorare a tempo pieno per l’UNRWA, dal 2018 al 2022 Mehjez ha lavorato come giornalista per la BBC.
Un altro docente, Shatha Husam Al Nawajha, il 7 ottobre ha elogiato i terroristi che hanno compiuto i massacri, dicendo che “nutrono la jihad con il latte delle loro madri”, oltre ad affermare: “Possa Allah garantire loro la vittoria”.
Le altre ong
Anche altre organizzazioni umanitarie in passato hanno visto i loro membri presenti a Gaza rendersi protagonisti di azioni riprovevoli: nell’aprile 2020, un’impiegata di Amnesty International, Hind Khoudary, attaccò pubblicamente su Facebook Rami Aman, giornalista e fondatore del Comitato Giovani di Gaza, “reo” di aver discusso su Zoom con dei pacifisti israeliani sulla situazione nella Striscia durante la pandemia.
A causa della denuncia della Khoudary, che aveva taggato nel post dei dirigenti di Hamas, Aman e altri attivisti palestinesi vennero arrestati con l’accusa di “normalizzazione dei rapporti con l’occupazione israeliana”. Dopo gli arresti, la Khoudary aveva cancellato il suo post, del quale tuttavia erano rimasto reperibile in rete lo screenshot.
Neanche Medici senza Frontiere è rimasta esente da scandali per l’operato dei suoi affiliati: in un rapporto di 47 pagine pubblicato il 18 dicembre 2023, e realizzato proprio dall’ex segretario generale di MSF Alain Destexhe, è emerso che su 300 loro dipendenti presenti a Gaza, almeno 22 hanno difeso su Facebook gli attacchi terroristici del 7 ottobre, e 16 hanno pubblicato dei post apertamente solidali con i terroristi. Nessuno invece ha condannato gli attacchi.
Ad esempio, un’infermiera di MSF aveva scritto: “Ricordatevi sempre che Hamas ha fatto tutto ciò gli eserciti arabi non hanno fatto…!! Ha scavato dei tunnel con le proprie mani. Ha fabbricato le armi con le proprie mani…!! Ha sacrificato i propri figli, i propri giovani, i propri anziani, le proprie case e le proprie moschee per la dignità di questa terra..!!”. Inoltre, per lungo tempo hanno continuato a dare credito alla bufala secondo cui gli israeliani avrebbero colpito l’ospedale Al-Ahli, anche dopo che venne dimostrato che a sparare il razzo era stata la Jihad Islamica.
“Dallo scorso 7 ottobre, la comunicazione dell’organizzazione, insignita del Premio Nobel per la Pace, e quella dei suoi dipendenti sul campo, mostra un partito preso sistematico in favore di Hamas e ostile a Israele”, si legge all’inizio del rapporto. “Médecins sans frontières è venuta meno al suo obiettivo umanitario e ha violato la sua carta che proclama ‘l’imparzialità, la neutralità e l’indipendenza dell’organizzazione nei confronti di qualsiasi potere politico e religioso’”.