Esteri

Dove sta andando la politica estera di Trump? Ecco due indizi

Verso la ricostruzione della credibilità degli Usa come potenza egemone (pace attraverso la forza) promessa in campagna elettorale, o verso l’isolazionismo, anche a spese degli alleati

Trump Gaza
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Ci si è interrogati molto su dove stia andando la politica estera di Donald Trump. Se verso la ricostruzione della credibilità dell’America come potenza egemone e nazione leader tra i suoi alleati. O verso una posizione più isolazionista, anche a spese degli alleati.

Il Wall Street Journal ha lanciato l’allarme già diverse volte sulle decisioni di politica estera del presidente, e ultimamente il suo comitato editoriale ha chiesto a Trump di spiegare la sua visione di politica estera durante il suo prossimo discorso sullo stato dell’Unione.

Secondo l’editoriale, contrariamente alla visione di “Peace through Strenght” della campagna elettorale, la strategia di Trump sembra ora allinearsi con le opinioni di influencer come Tucker Carlson, e del vicepresidente J.D. Vance, che credono entrambi che l’America sia in declino e sostengono che gli Stati Uniti non possono più guidare l’Occidente.

Due eventi programmati per oggi (4 marzo) saranno molto rivelatori a questo proposito.

L’isolazionista Colby

Il primo è l’udienza di conferma di Elbridge Colby a sottosegretario alla Difesa. Colby è molto apprezzato nei circoli MAGA, ma la sua nomina è in pericolo, poiché è considerato da molti senatori repubblicani come un isolazionista.

Colby da anni sostiene che l’America debba tralasciare l’Europa e il Medio Oriente per concentrarsi sulla rivalità tra grandi potenze del futuro: quella tra America e Cina. Ma a grattare sotto la superficie, sembra che non sia nemmeno tanto entusiasta di questa prospettiva. Come scrive Lee Smith su Tablet.

In altre parole, Colby è passato dal sostenere che Taiwan è il perno della sicurezza degli Stati Uniti, molto più importante del Medio Oriente e dell’Europa, e persino di altre questioni cinesi, a sostenere che Taiwan è solo relativamente importante e non c’è molto che possiamo fare al riguardo. Cosa è successo?

Il cambiamento di Colby sembra dare peso a ciò che i critici dicono delle sue preferenze politiche: non è uno che dà la priorità, piuttosto, concentrarsi su Taiwan era un modo per giustificare l’ignorare l’Europa e il Medio Oriente e ora che il suo bluff è stato smascherato è sempre più chiaro che la sua preferenza è semplicemente quella di ridurre il potere americano ovunque all’estero. Qualunque siano le sue motivazioni, il fatto è che Colby continua ad allontanarsi sempre di più dalle politiche dichiarate da Trump sia sulla Cina che sul Medio Oriente.

Vedere come reagirà Trump alla conferma, o mancata conferma, di Colby, o se farà pressione sul Senato per confermarlo, sarà rivelante.

Il pericolo della fase 2

Il secondo evento è l’incontro di Trump con alcuni degli ostaggi israeliani liberati a Gaza, che lo ringrazieranno per il suo intercedere e, apparentemente, lo imploreranno di assicurarsi che anche tutti gli altri ostaggi vengano liberati.

Ciò sembra abbastanza innocuo, e addirittura commovente. Il problema è che, per liberare il resto degli ostaggi, Israele e Hamas dovrebbero passare alla cosiddetta Fase 2 dell’accordo sugli ostaggi. La Fase 2 richiede che Israele si ritiri completamente da Gaza, ponendo di fatto fine alla guerra con una vittoria completa per Hamas, che tornerà in completo controllo della Striscia, e sarà libera di riarmarsi attraverso il confine egiziano.

Il governo Netanyahu ha fatto pressioni sull’amministrazione Trump affinché non si passi alla Fase 2, ma piuttosto si estenda la Fase 1 per tutta la durata del Ramadan, con altri scambi ostaggi contro prigionieri, ma mantenendo l’IDF in controllo di Gaza.

Corre voce che la visita degli ostaggi sia una sorta di complotto interno ad ambienti politici israeliani per fare leva sul cuore di Trump, e fargli imporre la Fase 2 a Netanyahu. Ma perché? Perché se la Fase 2 venisse approvata e le forze israeliane si ritirassero da Gaza, la coalizione di governo crollerebbe, Netanyahu dovrebbe dimettersi, e si andrebbe alle elezioni. A quanto pare, in certi circoli israeliani, per liberarsi di Bibi, vale anche la pena di concedere la vittoria ad Hamas.

Finora, a causa della retorica bellicosa di Trump su Hamas, tutti hanno dato per scontato che sostenga la fine del dominio del gruppo terroristico su Gaza. Ma ciò non può accadere se la IDF si ritira definitivamente dalla Striscia senza distruggere Hamas.

Quindi, se c’è un momento in cui Trump deve decidere se Israele o Hamas debbano vincere la guerra, è un po’ questo. Tale decisione dirà molto sui piani di Trump per il Medio Oriente. Se la sua minaccia di non lasciare che Hamas regni di nuovo su Gaza non è reale, allora probabilmente non lo è nemmeno la sua promessa che “l’Iran non può avere armi nucleari”.