Esteri

Dov’era l’Africa al G7? L’Occidente persevera nel suo approccio assistenziale

Nessuna attenzione speciale, accoglienza di circostanza per il presidente di turno dell’Unione Africana. L’esclusione del Sudafrica e i mali interni del Continente

Esteri

Forse gli africani si aspettavano di ricevere un’accoglienza speciale al G7, svoltosi a Hiroshima dal 19 al 21 maggio, perché, invece di ospitare alcuni stati come nei precedenti summit, il primo ministro giapponese Fumio Kishida aveva deciso di invitare l’Unione Africana, l’organismo continentale di cui fanno parte tutti i Paesi africani, e aveva motivato la sua decisione dicendo di voler dare “un segnale dell’importanza attribuita dal G7 alle esigenze del ‘Sud globale’”.

L’esclusione del Sudafrica

In realtà, sembra che l’intenzione fosse invece di escludere il Sudafrica, che ha partecipato agli ultimi G7 invitato in quanto Paese emergente del gruppo BRICS (insieme a Brasile, Russia, India e Cina) e seconda potenza economica africana. Il motivo dell’esclusione era evitare imbarazzo e incidenti diplomatici, tanto più essendo previsto l’arrivo al G7 del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dovuti alla scelta del Sudafrica di schierarsi con la Russia e di giustificare l’invasione dell’Ucraina.

Il governo sudafricano ha persino pensato di revocare la propria adesione alla Corte penale internazionale, quando a marzo i giudici della Corte hanno accusato il presidente russo Vladimir Putin di aver commesso crimini contro l’umanità e hanno emesso un mandato di cattura internazionale contro di lui. Lasciando la Corte, il Sudafrica eviterebbe l’obbligo di arrestare Putin durante il vertice del gruppo BRICS che si terrà il prossimo agosto a Città del Capo.

Il comunicato finale

Sta di fatto che l’accoglienza speciale non c’è stata, al contrario. “Africa assente: dove è l’Africa al vertice G7 di Hiroshima?” è il titolo di un articolo di Julia Tops, ricercatore del Centro Informazioni del G7 dell’Università di Toronto, pubblicato su Analytical Studies il 21 maggio. Tops, come altri osservatori internazionali, evidenzia così non tanto la presenza di una sola delegazione, quella del presidente delle Isole Comore, Azali Assoumani, invitato in qualità di presidente di turno dell’Unione Africana, quanto la scarsa attenzione, sostanzialmente convenzionale, dedicata al continente.

A conferma, il documento finale, il “Comunicato dei Leader del G7 di HIroshima”, omette di nominare l’Unione Africana sia nel preambolo, tra i partner internazionali con cui i G7 auspicano di lavorare “per realizzare un mondo inclusivo e resiliente, che ponga l’uomo al centro”, sia nella conclusione, dove si ringraziano per il loro contributo i capi degli organismi internazionali presenti al summit.

Nel testo di 40 pagine diviso in 66 paragrafi, all’Africa sono dedicati i paragrafi 62 e 63 in cui in modo generico si parla “di rafforzare i rapporti con i Paesi africani e di sostenere una maggiore rappresentanza africana nelle sedi multilaterali”; si afferma che i G7 continueranno a fornire assistenza ai Paesi e alle regioni più colpite da crisi alimentare come hanno fatto finora nel Corno d’Africa; si esprime preoccupazione per le condizioni che nel continente “favoriscono la diffusione di terrorismo, estremismo violento e instabilità”; si promette sostegno agli sforzi africani per garantire pace, stabilità e prosperità al continente.

Seguono congratulazioni per la fine della guerra in Etiopia, la condanna della guerra scoppiata in Sudan ad aprile, ringraziamenti per la loro generosità ai Paesi limitrofi disposti a ospitare i profughi sudanesi, appelli a sostenere la Somalia contro il gruppo jihadista al-Shabaab, e la Repubblica democratica del Congo, minacciata nella sua integrità territoriale.

Politiche assistenziali

I G7, le sette democrazie più ricche del pianeta, in sostanza hanno ritenuto che non fosse opportuno e tanto meno prioritario in questo momento affrontare la questione dei loro rapporti con l’Africa o, più concretamente, con i suoi 55 Stati.

Rapporti che, nell’ansia di competere con Cina, Russia e non solo, continueranno, al di là delle dichiarazioni ufficiali, a fondarsi su politiche assistenziali incondizionate, sulla concessione di fondi miliardari a titolo di dono e di prestito a condizioni irresponsabilmente favorevoli, su una pressoché totale astensione dal giudizio in merito ai fattori interni responsabili di instabilità, mancato sviluppo, dilagare di violenza e corruzione.

Produzione e libero scambio

Dunque, era assente al G7, ma l’Africa, quella reale, lo era anche nelle dichiarazioni del commissario dell’Unione Africana per il commercio e l’industria, lo zambiano Albert Muchanga, che nei giorni precedenti al summit ha rilasciato interviste ai mass media internazionali per spiegare che cosa il suo continente si aspetta dalle potenze mondiali e come intende muoversi in futuro sullo scenario internazionale.

Alla Bbc il commissario UA ha dichiarato che l’Africa deve “poter far sentire con forza la sua voce in merito a tutte le questioni economiche globali” e non accetterà di continuare a essere soltanto una fonte di materie prime per il resto del mondo. Presto, ha detto, fabbricherà prodotti finiti che esporterà con ben maggiore profitto.

Come esempio, ha annunciato un progetto per la costruzione di batterie per auto elettriche frutto della collaborazione di due Paesi: la Repubblica democratica del Congo, che fornirà il cobalto di cui abbonda, e lo Zambia, che metterà il suo rame. Ma altri progetti per la lavorazione delle materie prime e dei prodotti agricoli sono in cantiere che gli Stati Uniti e altri Paesi hanno detto di essere disposti a finanziare.

L’Africa inoltre disporrà delle infrastrutture necessarie per sviluppare nuovi accordi commerciali, grazie anche al grande contributo già offerto dalla Cina. Un ulteriore spinta allo sviluppo verrà dalla realizzazione di una area di libero scambio a cui hanno aderito tutti i Paesi africani e che sarà seguita dalla creazione di una Unione doganale africana.

Quale Africa?

Di quale Africa parlava il commissario UA? Non del continente in cui la circolazione di merci e persone è, e continuerà, a essere soggetta a dazi (sia legali che arbitrariamente imposti), impedita da vie di comunicazione impraticabili e dalla presenza di gruppi e bande armati che controllano immensi territori; non del continente delle guerre civili, dei colpi di stato, del jihad, della corruzione, del tribalismo, dei Paesi sommersi dai debiti, con la Cina tra i principali creditori.