L’ultima volta abbiamo visto come il cancelliere Olaf Scholz, passato lo shock energetico, sia uscito dal bunker e, seguito dal fido Vassallo Macrone, abbia preso a disegnare il IV Reich: uno “spazio geopolitico”, ma pure “potenza democratica” che, attraverso i fantomatici valori leuropei, si intrometta nel governo degli Stati membri come manco i Bianchi nelle colonie africane. Il tutto spiegato dal cancelliere al Parlamento leuropeo. Poi ripetuto dal Vassallo Macrone, a Bratislava e Chişinău.
Quest’ultimo si porta sempre dietro il partito francese in Italia, uso a ripetere qualsivoglia detto parigino a pappagallo. Testimone, la francesissima intervista di Giuliano Amato. Una perla: circa il cd cambiamento climatico, “la politica non si è resa conto che è in gioco la sopravvivenza della specie umana”. Ed una chiave di lettura: “noi abbiamo bisogno dell’Europa” … cioè, del IV Reich.
Abbiamo visto pure la risposta polacca. Pronunciata dal primo ministro Mateusz Morawiecki, ad Heidelberg: un no secco e splendidamente motivato.
Ciò che ci mancava, era la risposta di Mario Draghi. Che sappiamo essere altro rispetto al partito francese, nonché sensibile agli argomenti d’oltre Atlantico. Fortuna vuole che, proprio mentre usciva il nostro pezzo, Sua Eccellenza si sia degnato di tenere un gran discorso, al MIT di Boston.
Un discorso che ad altri è sembrato un accendere “la luce sui rapporti con Washington”. Ma che a noi suona come una risposta al IV Reich di Scholz. Come tale proponiamo di leggerlo.
Niente cambiamento attraverso il commercio
Anzitutto, il Chiarissimo si è pregiato di bastonare il concetto guida della politica estera tedesca degli ultimi tre decenni: il Wandel durch Handel (cambiamento attraverso il commercio): “negli anni ’90, molti credevano che il processo di globalizzazione fosse inarrestabile e … ipotizzavano che i legami economici e commerciali … sarebbero stati una garanzia di prosperità, un motore di democratizzazione, un preludio a una pace duratura”.
Invece niente, fallimento totale.
– Quanto alla prosperità, “l’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio anche se non era e non è un’economia di mercato … ha avuto un impatto sociale, politico e ambientale importante”. Quale? Beh, “l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e il referendum sulla Brexit in Europa”, definiti come “la rivolta contro l’ordine liberale multilaterale”. Rivolta alla quale non dà completamente torto visto che, subito dopo, aggiunge: col Covid-19, “in Europa ci siamo resi conto che troppe catene di approvvigionamento erano al di fuori del nostro controllo interno”.
– Quanto alla democratizzazione, non lo sta a spiegare. Avrebbe potuto dirlo, visto che, per lui, pure Erdogan è “un dittatore” … figurarsi Vladimir Putin e Xi Jinping. Ma non lo ha detto, perché ciò che preme a lui è il concetto successivo.
– Quanto alla pace duratura, “Putin non ha mai accettato i cambiamenti politici e territoriali seguiti alla fine dell’Unione Sovietica … Poiché perseguiva un piano premeditato per ripristinare il suo passato imperiale, i contratti che avevamo firmato con la Russia (in particolare per quanto riguarda la fornitura di gas naturale) sarebbero diventati uno strumento per ricattare noi in Europa”.
Perdere significa accettare
Segue un passo denso. Che prenderemo dalla fine: “non c’è alternativa, per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati, che garantire che l’Ucraina vinca la guerra”.
Il problema è che egli non definisce tale vittoria. Non accenna affatto esplicitamente ad una vittoria militare dell’Ucraina. E se ne intuisce la ragione: come ha ben spiegato Lucio Caracciolo, essa significherebbe “la resa degli ultimi marinai russi a Sebastopoli, dopo avere autoaffondato la flotta”.
No, il Caro Leader è molto prudente, limitandosi a definire il contrario della vittoria, la sconfitta: perdere significa “accettare una vittoria russa o un pareggio confuso”.
Per vittoria russa, non può che intendere il raggiungimento degli obiettivi di guerra moscoviti: un governo amico in un Ucraina finlandizzata e ridotta almeno della Crimea, se non di tutte le regioni sino al Dnieper.
Per pareggio confuso, egli spiega di intendere una spartizione alla coreana. La quale costringerebbe ad “inviare sempre più armi e costruire un accordo tra l’Ucraina e tutti i suoi alleati in questa guerra: tale accordo conterrebbe elementi di mutua difesa, richiamando il trattato che lega gli Stati Uniti alla Corea del Sud”.
Esito che lo preoccupa moltissimo: “se tale dovesse rivelarsi il corso degli eventi più probabile, l’incertezza e l’instabilità che ne deriverebbero potrebbero essere grandi”. E non solo a causa di Mosca, ma pure di Kiev (“non vincolerebbe la strategia nazionale dell’Ucraina ad una strategia globale”).
Ma, in alternativa, non ha molto da offrire: “dobbiamo essere pronti a iniziare un viaggio con l’Ucraina, che porti alla sua adesione alla Nato”. Ed è tutto, nonostante ben si sappia che tale viaggio non potrebbe concludersi prima della fine della guerra.
In definitiva, Sua Altezza sta dicendo che gli ucraini, se anche dovessero perdere militarmente, ancora non sarà stata detta l’ultima parola. L’essenziale è che l’Occidente non accetti una vittoria russa o un pareggio confuso. Cioè, non sancisca alcunché, pure dopo che fosse collassato l’esercito ucraino.
E, finché non avremo accettato una vittoria russa o un pareggio confuso, non avremo perso. Perdere significa accettare.
Accettare significa fine di Ue e Nato
Un esito che lo terrorizza. Infatti “vincere questa guerra (per l’Europa e per il mondo) significa avere una pace stabile”. Cioè, accettare una vittoria russa o un pareggio confuso significa non avere una pace stabile. Per tre motivi:
- “indebolirebbe fatalmente altri stati confinanti”, cioè i restanti candidati ad entrare nella Ue (Moldova e Balcani occidentali);
- “invierebbe un messaggio agli autocrati che l’Unione europea è pronta a scendere a compromessi su ciò che rappresenta”. Laddove, per autocrati egli intende qualunque governo non perfettamente allineato. Infatti già sappiamo che, nel gergo degli amici del Magnifico, governi autoritari sono pure quelli di Polonia ed Ungheria. Tradotto, autocrate è qualunque governo disobbediente che, in caso di vittoria russa, certamente disobbedirebbe ancor di più.
- “segnalerebbe, ai nostri partner orientali, che il nostro impegno per la loro libertà e indipendenza non è poi così incrollabile, dopotutto”. Laddove, per libertà egli intende certamente libertà degli Stati. Non libertà dei cittadini, che importa zero al padre del Green Pass. Perciò, quando egli aggiunge che “i valori esistenziali dell’Unione europea sono la pace, la libertà e il rispetto della sovranità democratica”, si può serenamente intendere: pace, libertà degli Stati e indipendenza. Dal giogo russo, ovviamente, non da quello leuropeo perché – secondo lui – solo un autocrate lo considererebbe tale.
Ciò che ne deriverebbe “infliggerebbe un colpo esistenziale all’Unione europea e, certamente, minerebbe tutta l’alleanza occidentale”.
Vincere significa che la Russia abbandona il suo passato imperiale
Ed è per questo che l’invasione russa “minaccia la nostra prosperità … collettiva”. Noti bene il lettore: a minacciare la nostra prosperità, sarebbe l’accettazione di una eventuale vittoria militare russa … non la continuazione delle sanzioni.
Perché, traduciamo, se accettassimo una vittoria russa o un pareggio confuso … dovremmo pure rinunciare alle sanzioni. Mentre, se non accettassimo, pure in presenza di un collasso dell’esercito ucraino, allora continueremmo a combattere un altro tipo di guerra, che già stiamo combattendo: la guerra economica permanente alla Russia.
Scopo della quale è che “la Russia abbandoni i suoi obiettivi”. Precedentemente definiti da L’Eccelso come “un piano premeditato per ripristinare il proprio passato imperiale”. Ovvio che, se Mosca cessasse di pensarsi come un impero, cesserebbe pure di pensare all’Ucraina.
Per quanto tempo dovremo combattere? Beh, “ci vorrebbe un cambiamento politico interno a Mosca perché la Russia abbandoni i suoi obiettivi. Non vi è alcun segno che un tale cambiamento si verificherà presto”. Quindi, per molto ma molto tempo.
Un’economia molto diversa dal passato
Nel frattempo, che facciamo? “Dobbiamo prepararci a un periodo prolungato in cui l’economia globale si comporterà in modo molto diverso rispetto al recente passato”. Qui è come se finisse la parte del discorso rivolta agli ucraini e cominciasse quella rivolta ai tedeschi.
Sì, va bene, Bce continuerà ad aumentare i tassi. Sino ad ammazzare i settori che ancora non calano (“tassi più elevati stanno ora filtrando attraverso l’economia … tuttavia i servizi e soprattutto il turismo nell’Europa meridionale rimangono forti”). Sino ad ammazzare quel che resta dell’industria (“la domanda aggregata deve essere sufficientemente contenuta da ridurre il pricing power ed impedire alle imprese di trasferire futuri aumenti salariali ai consumatori”). Musica, per i tedeschi.
Ma, in compenso, dovremo riarmare: per davvero, non per finta come fa Scholz. Grattacapo, per i tedeschi.
I governi faranno “deficit di bilancio permanentemente più elevati. Le sfide che dobbiamo affrontare (dalla crisi climatica, alla necessità di sostenere filiere strategiche, alla difesa) soprattutto nell’Ue, richiederanno investimenti pubblici sostanziali che non possono essere finanziati solo attraverso aumenti delle tasse”. Obbrobrio, per i tedeschi.
Le banche vanno salvate senza-se-e-senza-ma: “i governi dovrebbero finanziarle quando necessario, in altre parole dovrebbero evitare il contagio a tutti i costi. E dovrebbero intraprendere ogni intervento necessario per evitare di creare un conflitto, per le banche centrali, tra il perseguimento degli obiettivi di politica monetaria e quelli di stabilità finanziaria”. Orrore, per i tedeschi.
L’obiettivo deve essere “un’unica entità politica, economica e sociale”; cioè, un grande bilancio unico; cioè, le tasse tedesche che pagano le pensioni portoghesi. Anatema, per i tedeschi.
Lo scambio proposto ai tedeschi
Sono i tedeschi disposti ad accettare? Beh, in tal caso, avranno ciò che desiderano:
L’Ue ha bisogno di essere ridisegnata per accogliere l’Ucraina, per accogliere al suo interno i Paesi balcanici e i Paesi dell’Europa orientale. Sarà determinante nell’organizzazione di un sistema di difesa europeo, complementare e accrescitivo rispetto alla Nato. E sarebbe cruciale per superare tutte le altre sfide soprannaturali che affrontiamo collettivamente: prima di tutto, la transizione climatica e la sicurezza energetica. E anche nell’adattare le nostre istituzioni, dobbiamo rivedere quasi tutte le nostre regole e soprattutto le regole decisionali.
Insomma, lo “spazio geopolitico” e la “potenza democratica” che i tedeschi tanto desiderano. Il IV Reich.
Ma alle predette condizioni: di riarmare per davvero, di consentire ai governi deficit di bilancio permanentemente più elevati, di salvare e lasciar salvare le banche senza-se-e-senza-ma, di versare le proprie tasse in un grande bilancio unico.
Come si vede, il discorso di Sua Altezza Eminentissima suona davvero come una risposta al IV Reich di Scholz.
E se i tedeschi dicono no?
Ma è una risposta costruttiva, o provocatoria? Chiediamoci: e se Scholz non fosse d’accordo, se rispondesse nein? Sua Maestà aggiunge: “il nostro viaggio, iniziato molti anni fa e accelerato con la creazione dell’Euro, continua”. Ed è come se aggiungesse: alle predette condizioni.
Infine, chiosa: “quando sono arrivato qui, nell’agosto del 1972, mentre ero uno studente qui, abbiamo avuto … il crollo del sistema monetario internazionale … e l’inflazione era fuori controllo, e ovviamente eravamo nella Guerra Fredda. Siamo stati in grado di superare queste sfide, come sono fiducioso che saremo in grado di fare ancora in futuro”. Ed è come se dicesse: il crollo del sistema monetario europeo. Ed è come se promettesse: sono fiducioso che saremo in grado di superare pure questa sfida.
Così conclude il discorso. L’ultimo passaggio è talmente evidente che, subito dopo, la moderatrice lo interroga girando il coltello nella piaga: “l’Euro resisterà?”. Ha ascoltato bene, Signor Cancelliere?!
Destra arrembante a Berlino
Ad aver ascoltato bene è il di lui ministro delle finanze, il molto finanziariamente conservatore Lindner. Il quale si oppone persino ad una rivisitazione meno che ferocissimamente austeriana del Patto di Stabilità. Figurarsi quando gli verrà detto che deve: riarmare per davvero, consentire ai governi deficit di bilancio permanentemente più elevati, salvare e lasciar salvare le banche senza-se-e-senza-ma, versare le proprie tasse in un grande bilancio unico. La risposta non può che essere un nein grande come una casa.
Ciò mentre i sondaggi elettorali segnalano la crescita della sua FDP al governo e della CDU e della AFD all’opposizione, a fronte del crollo della SDP del cancelliere e dei Verdi al governo.
È qui che il discorso di Sua Eminenza Reverendissima, decisamente oltrepassa la sottile linea che divide una risposta costruttiva da una provocatoria. Perché, se è probabile che le predette condizioni di Sua Santità siano inaccettabili per le sinistre tedesche al governo oggi, è assolutamente certo lo siano per le destre tedesche al governo domani.
Conclusioni
Insomma, Sua Immensità ha certamente risposto a Scholz. Ma con un discorso europeista? O con un discorso atlantico? Propenderemmo per la seconda interpretazione. Con tutto ciò che ne consegue.