Dunque, nella notte tra martedì e mercoledì uno o più droni (vai a sapere) attaccano la cupola del Senatskiy Dvorets del Cremlino, dove opera l’amministrazione presidenziale russa. Le agenzie di stampa di Mosca comunicano la notizia solo dodici ore dopo, diffondendo un video in cui effettivamente si vede un oggetto non meglio identificato avvicinarsi al complesso di edifici (in teoria) più protetto del pianeta, a cui segue una deflagrazione di scarsa potenza che non sembra colpire l’obiettivo. L’immagine è comunque impattante, considerando la simbologia del luogo e il momento storico in cui si produce.
Ad aggiungere suspense al mistero, due figure umane vestite di bianco che sembrano salire sul tetto del Senato per motivi non meglio specificati. Potrebbero essere di tutto, per quel che se ne sa: vigili del fuoco in attesa dell’esplosione, guardie di sicurezza con equipaggiamento anti-drone (decisamente migliorabile, in questo caso), curiosi (si scherza)…
La versione di Mosca
A stretto giro di posta i russi fanno sapere che si tratta di un atto di terrorismo di matrice ucraina diretto contro il presidente Vladimir Putin, che è salito illeso. In realtà, Putin non dorme mai al Cremlino ma nella sua residenza di Novo-Ogarevo, difficile che chi ha inviato il drone non lo sapesse.
L’incidente ha avuto luogo a pochi giorni dalla tradizionale parata della vittoria del 9 maggio, che sarà celebrata quest’anno in tono minore ufficialmente per “motivi di sicurezza”. Puntuale è arrivato il drone a confermare le preoccupazioni delle autorità. Improbabile a questo punto che Putin si faccia vedere troppo in giro nelle prossime settimane.
Cinque ipotesi
Cinque le ipotesi principali, rilanciate dai media e dai social networks: attacco partito dall’Ucraina, lavoro di sabotatori ucraini in territorio russo, resistenza “partigiana” interna, regolamento di conti intra moenia, false flag per intensificare la campagna bellica e/o preparare la popolazione a nuovi “sacrifici” (leggasi mobilitazione, possibili rovesci sul campo, ulteriore stretta repressiva).
Troppo presto per dirlo, ma la prima e l’ultima opzione mi sembrano le meno probabili. Nel primo caso la difficoltà tecnica di far percorrere a uno o più droni circa 500 chilometri in linea d’aria senza essere intercettati sarebbe enorme. Dal punto di vista politico-militare, poi, si tratterebbe di un’azione puramente dimostrativa i cui benefici a breve termine sarebbero tutti da dimostrare: se gli ucraini decidessero di attentare davvero alla vita di Putin è presumibile che preparerebbero qualcosa di più efficace e meno velleitario.
Certo, l’idea che lo spazio aereo russo sia penetrabile fino al centro stesso del potere rappresenterebbe, a livello di immagine, un successo non indifferente. In questo senso, anche senza esserne gli autori materiali (Kyiv ha subito smentito ogni coinvolgimento), gli ucraini si portano comunque a casa un bel trofeo.
False flag?
Quanto alla false flag, difficile pensare che l’autolesionismo russo arrivi fino a questo punto: se vuoi incolpare i tuoi nemici, non scegli il Cremlino come obiettivo, facendo la figura dell’inetto in mondovisione. Oltretutto Mosca ha ampiamente dimostrato in quindici mesi di conflitto di non aver bisogno di scuse per colpire indiscriminatamente l’Ucraina con veri e propri atti di terrorismo contro i civili e le infrastrutture del Paese.
Le piste “interne”
Restano le ipotesi della “resistenza” e del regolamento di conti. Ed è un’alternativa che fa la differenza. Se si trattasse di sabotatori ucraini (quindi dei servizi segreti) o di “partigiani” russi, Putin avrebbe buon gioco nell’intensificare le misure ritorsive o repressive, nel tentativo di compattare attorno al regime una popolazione sull’orlo di una crisi di nervi.
Se invece ci trovassimo di fronde a una faida interna, con tanto di avvertimento alla cupola del potere (in senso figurato e letterale), allora comincerebbero a intravedersi davvero i prodromi di una guerra civile strisciante.
Un conflitto latente che il regime ha tentato di esportare con l’invasione dell’Ucraina ma che, come un boomerang, rischia di tornare a casa con effetti devastanti per il sistema. Una sfida che, più o meno apertamente, Prigozhin, Girkin e altri signori della guerra hanno già lanciato a più riprese nei confronti del Ministero della difesa e degli alti comandi dell’esercito.
Che i droni sul Senatskiy Dvorets siano o meno la rappresentazione grafica di una ribellione delle élites in potenza, nessuno può ancora dirlo al momento. Ma che, dopo gli assassini eccellenti dei mesi scorsi (Dugina e Tatarsky su tutti), nebbie sempre più fitte avvolgano il Cremlino, è un dato di fatto che ormai nemmeno la propaganda russa può mascherare.