Io fedo te molto imbezille, ma fiat voluntas tua.
Io allora ti fo proposizione, dici combattere a lo modo almenno.
Kon okuli bendati: più sollazzevole, necessita grande courage und, sopratutti, grande lealtà alemanna!
Paolo Villaggio (Brancaleone alle crociate, 1970)
Ci giunge un documento assai prezioso. Convenientemente recente – è del 25 agosto u.s. – e di fonte accreditatissima: la Corte dei Conti della Repubblica Federale Tedesca. Ci troviamo scritto che, nel 2022, l’indebitamento netto reale di quel Paese “è stato superiore di oltre 2/3 a quello indicato nei conti del bilancio federale”. Mentre, “nel 2023, sarà più di quattro volte l’importo preventivato nel bilancio federale”. Abbastanza da far venir giù il mondo. Perciò, conviene un poco addentrarci.
869,1 miliardi per fondi speciali
Il tema è che una parte significativa delle spese dello Stato tedesco non stanno scritte nel bilancio pubblico tedesco, ma stanno fuori bilancio. Dove? In certi altri bilanci separati, definiti “patrimoni speciali” (Sondervermögen), o “bilanci speciali” (Sonderhaushalte), o “istituzioni a bilancio temporaneo” (budgetflüchtige Einrichtungen). In lingua italiana, la definizione corrente è “fondi speciali”, anche se quella più sincera sarebbe “bare di bilancio”.
Così la Corte tedesca: “sono parti separate del patrimonio federale giuridicamente dipendenti, costituite mediante legge, o sulla base di una legge e destinate all’adempimento di singoli compiti della Federazione”.
Di quanti soldi stiamo parlando? Potenzialmente di 590,2 miliardi, autorizzati per fondi speciali senza patrimonio proprio e senza contributi dal bilancio pubblico. Oltre a 88,9 miliardi autorizzati per fondi speciali con patrimonio proprio e 190 miliardi per fondi con contributi dal bilancio pubblico. In totale, gli ormai celebri 869,1 miliardi.
Naturalmente, non si tratta solo di spese già effettuate – cioè, solo di debito emesso -, bensì anche di autorizzazioni di spesa – cioè, anche di debito emettibile -: il totale del debito che i 29 fondi speciali esistenti vennero autorizzati a contrarre.
Nel bilancio ufficiale dello Stato, compaiono solo i deflussi verso i fondi speciali (nonché gli afflussi, molto eventuali). Attualmente indirizzati verso i soli fondi speciali con contributi dal bilancio pubblico. Con che effetti sul vero deficit ed il vero debito pubblico tedeschi?
Il vero indebitamento
Nel 2022, scrive la Corte, “le spese dei fondi speciali ammontavano a circa il 10 per cento delle spese effettive del bilancio federale”. Per la precisione, 48,2 miliardi di spesa dei fondi speciali, da aggiungere ai 481,3 miliardi di spesa iscritti nel bilancio federale vero e proprio: un’extra-spesa del 10 per cento fuori bilancio.
Nel 2023, continua la Corte, “le spese aggiuntive previste per i fondi speciali ammonteranno addirittura al 36 per cento circa delle spese previste nel bilancio federale”. Per la precisione, 170,9 miliardi di spesa dei fondi speciali, da aggiungere ai 476,3 miliardi di spesa iscritti nel bilancio federale vero e proprio: un extra-spesa del 35,9 per cento fuori bilancio.
E ciò considerando solo i 13 fondi speciali i cui piani economici sono riportati in allegato al bilancio federale. Cioè, non i restanti 16, il contributo dei quali nemmeno la Corte dei Conti competente si azzarda a stimare. Dimodoché, continua la Corte, “l’effettivo indebitamento netto della Federazione – importante per valutare l’attuale stato delle finanze federali – viene distorto dai fondi speciali finanziati con prestiti”.
Il che la ha spinta a ricostruire il vero indebitamento netto annuo dello Stato tedesco, che non è quello riportato dal bilancio pubblico. Bensì, per il 2022, 195,5 miliardi di euro contro i 115,4 dichiarati; per il 2023, 192,8 miliardi contro i 45,6 allora programmati.
Così la Corte: “nel 2022, l’indebitamento netto [annuo, ndr] integrato dai fondi speciali è stato superiore di oltre 2/3 a quello indicato nei conti del bilancio federale per l’anno finanziario 2022. Nel 2023, sarà più di quattro volte l’importo obiettivo del bilancio federale (più i fondi speciali non presi in considerazione per mancanza di dati)”.
Un debito ufficiale fantasioso
Facendo noi un conticino semplice-semplice, il deficit pubblico del 2022 sarebbe stato, non il 2,60 per cento dichiarato, bensì il 3,84. Quello del 2023 sarebbe stato, non lo 1,2 per cento apparentemente previsto (e in corso di correzione), bensì il 4,9 per cento. E lo dice la loro Corte dei Conti.
Più macchinoso stimare l’effettivo ammontare del vero debito pubblico complessivo – dentro e fuori bilancio. Prudenzialmente, assumiamo che non sia stato acceso indebitamento fuori bilancio per finanziare i fondi speciali con patrimonio proprio. Assumiamo, inoltre, che, entro fine 2022, siano già passati dal bilancio dello Stato tutti i 63 miliardi spesi, dei 190 autorizzati per i fondi con contributi dal bilancio pubblico. Al contrario, dei 195,1 miliardi spesi, dei 590,2 autorizzati per i fondi senza patrimonio proprio e senza contributi dal bilancio pubblico.
A tali 195,1 miliardi, sommiamo l’indebitamento netto annuo fuori bilancio del 2023 (192,8 meno 45,6). Dunque, diciamo 342,3 (195,1 più 147,2). Ovvero, circa l’8,8 per cento del Pil. Che, sommato al debito pubblico dichiarato a fine 2022 e pari al 66,1 per cento del Pil, farebbe forse un totale vero del 74,9 per cento del Pil.
Le cose peggiorerebbero assai, nella prospettiva da massaia del contabile alemanno. Infatti, nota la Corte, “il potenziale debito residuo dei fondi speciali, al 31 dicembre 2022, ammontava a circa 522 miliardi di euro”. Stiamo parlando dei miliardi autorizzati e non spesi. Se verranno spesi tutti, ebbene il vero debito pubblico pluriennale passerebbe all’82,6 per cento del Pil.
Una politica fiscale parecchio espansiva
Commenta il Ministero delle finanze tedesco, che riferirsi alle cifre massime sarebbe scorretto: “per far fronte a situazioni d’emergenza … può essere necessario che i fondi per il finanziamento immediatamente disponibili superino di molte volte le necessità dell’emergenza, al fine di aumentare l’efficacia di tali misure”.
Risponde la Corte che, “la maggior parte del debito potenziale è pronta per essere utilizzata in questi anni … gli anni della pandemia, con i loro bilanci suppletivi, hanno dimostrato che ciò è possibile in qualsiasi momento”.
Dove assistiamo al duello rusticano fra la teoria del bazooka dei finanzieri di Wall Street e il sentire da massaia del contabile alemanno. Certamente la verità sta nel mezzo. Ma ciò è più che sufficiente per affermare che sta pure molto distante dai dati ufficiali del bilancio pubblico. Invero, come continua la Corte, “con la politica anticrisi, che dal 2020 è fortemente espansiva in termini di politica fiscale, si è raggiunta un’espansione e una dinamica finora sconosciuta”.
Tradotto, il governo Scholz spende e spande. E non lo fa, non attraverso il bilancio pubblico regolare, bensì attraverso le sue “bare di bilancio”.
Un bilancio pubblico “fuori controllo”
La Corte così chiosa: il suo riconteggio dell’indebitamento netto annuo “spiega a quanto ammonterebbe l’indebitamento netto se i fondi speciali fossero inclusi nel bilancio federale nel 2022 e nel 2023. Questo importo non può essere letto nel piano di indebitamento dello Stato ed è stato calcolato dalla Corte dei Conti Federale solo sulla base di altre fonti e qui presentato”.
Ed ancora: “la Corte dei Conti Federale conferma la propria constatazione, secondo la quale è indice di mancanza di trasparenza il fatto che l’importo del debito effettivo della Federazione possa essere determinato solo attraverso un calcolo aggiuntivo complesso che richiede conoscenze specialistiche”.
Invero, “spostando entrate e spese su fondi speciali in scala finanziariamente significativa, il bilancio federale è stato svuotato del nocciolo, nel corso degli anni. Le spese fuori bilancio e il finanziamento dei prestiti fuori bilancio mettono in pericolo i diritti del Parlamento sul bilancio e l’efficacia della regola del debito. Il Parlamento (ma anche l’opinione pubblica) rischia di perdere la vista d’insieme e, quindi, il controllo”.
Ed è in nome di tal esigenza di trasparenza che la Corte invoca tre preesistenti principi giuridici (annualità del bilancio – Jährlichkeit, durata di un anno – Jährigkeit, scadenza – Fälligkeit), per introdurne un quarto apparentemente nuovo: che i compiti principali dello Stato debbano essere finanziati con il bilancio pubblico propriamente detto.
Spingendosi sino a definire – espressamente – l’attuale bilancio federale come “fuori dai binari” o, per traslato, “fuori controllo” (“aus den Fugen geratenen Bundeshaushalt”). Espressione che più forte non si può.
La motivata indifferenza di Bruxelles
Abbastanza per aver fatto venir giù il mondo. E per lasciarci dire, serenamente, che il bilancio pubblico tedesco è, in realtà, una arlecchinata. E allora viene da chiedersi perché Bruxelles se ne freghi: perché abbia fatto guerra al governo Conte 1 per correggere un deficit del 2,4 per cento in un 2,04 senza, contemporaneamente, aver imposto a Berlino di consolidare le sue “bare di bilancio”?
Ebbene, la risposta è abbastanza semplice: per Bruxelles le regole fiscali non sono obiettivi in sé, ma strumenti di una politica economica che conosce per l’Italia solo la eterna continuazione della cura Monti di compressione della domanda interna; mentre, per la Germania, l’espansione dei consumi interni, volta a correggere i mostruosi avanzi di commercio estero.
Infatti – non ci stancheremo mai di ripeterlo – deficit e debito pubblici non contano, contano solo deficit e debito netto verso l’estero: Berlino li ha entrambe mostruosamente negativi e, quindi, Bruxelles, lascia che spenda e spanda. E tanto meglio se lo fa attraverso impresentabili “bare di bilancio”: così pochi se ne accorgono e i Luigi Marattin possono continuare a blaterare di lealtà alemanna … come faceva Paolo Villaggio nell’Armata Brancaleone.
Il freno all’indebitamento
Sin qui tutto bene, per la politica fiscale spendi e spandi del governo tedesco. Non fosse che, in mezzo, si è messo un ostacolo giuridico, che ha per nome “Schuldenbremse” o freno all’indebitamento. Un disgraziatissimo dettato della locale Legge Fondamentale (art. 115 cpv. 2), il quale impone ai governi di non fare deficit di bilancio superiori allo 0,35 per cento del Pil. E si applica anche ai fondi speciali costituiti dopo il 31 dicembre 2010.
Lasciando, come unica scappatoia, la dichiarazione di una sorta di “stato di emergenza finanziario”, qualora intervengano catastrofi naturali o emergenze eccezionali che sfuggano al controllo dello Stato e abbiano un impatto significativo sulla situazione finanziaria dello Stato. Da dichiararsi con voto a maggioranza semplice del Bundestag (“Notlagenklausel” o clausola d’emergenza).
Scappatoia alla quale gli ultimi governi hanno fatto amplissimo ricorso, in particolare quello Scholz con il Secondo Atto Supplementare di Bilancio 2021, promulgato nella Gazzetta Federale del 25 febbraio 2022. Col quale veniva modificato il criterio di imputazione delle spese, per cui qualunque fondo assegnato in anno di emergenza ad un fondo speciale, veniva considerato esente dal freno all’indebitamento, pur se effettivamente speso in un successivo anno non di emergenza.
Criterio di imputazione cui si è recentemente applicata una seconda Corte tedesca, quella Costituzionale di Karlsruhe, dichiarandolo contrario alla Legge Fondamentale e innescando, così, una crisi di politica di bilancio.
Nel mirino tutti i fondi speciali
Faccenda senza conseguenze dirette ai fini del calcolo del vero debito pubblico esistente. In quanto riguardante un fondo speciale (il KTF, “Klima- und Transformationsfonds” o Fondo per il clima e la trasformazione) appartenente al gruppo di quelli già finanziati con contributi del bilancio federale.
Ma importante per il futuro: d’ora in poi – per non trovarsi sommerso dalle rate di ammortamento finanziate con contributi del bilancio pubblico – il governo dovrà contenere le future spese dei fondi speciali esistenti; nonché limitare la costituzione di nuovi fondi speciali a quelli con patrimonio proprio, che venga impiegato prestando e non più spendendo – modello banca di stato o simili -, con conseguente grave limitazione dell’ambito di intervento.
Coerentemente con le ambizioni lasciate trasparire dalla Corte dei Conti: “i fondi speciali sono fondamentalmente problematici dal punto di vista giuridico e politicamente discutibili e limitano i diritti del Parlamento sul bilancio … Le ragioni addotte dal Ministero delle finanze per la creazione di fondi speciali, non sono convincenti”.
In una parola, il governo dovrà smettere di spendere e spandere. Non perché glielo dice Bruxelles – che, infatti, non glielo dice – ma perché glielo dicono le Alte Corti tedesche, in nome di una propria lettura delle Legge Fondamentale tedesca.
Corollario Nato
Alla luce di tale loro lettura, l’obiettivo fiscale – di rango costituzionale – prevale su qualunque altro, in particolare sugli obiettivi – di rango costituzionale anch’essi – di politica estera e di difesa Nato.
Come dimostra il caso di un fondo speciale molto particolare: il fondo difesa federale (“Bundeswehr”); rientrante nel gruppo dei fondi speciali con una propria autorizzazione di credito, dunque fuori bilancio; ed approvato con leggi pubblicate in Gazzetta Federale il 30 giugno e 7 luglio 2022. Contro tale fondo, la Corte dei Conti si scaglia in modo particolarmente convinto, per due ragioni.
In primo luogo, perché la difesa rappresenta certamente uno dei compiti principali dello Stato i quali – come abbiamo visto – debbono essere finanziati con il bilancio pubblico propriamente detto.
In secondo luogo, perché la legge istitutiva del fondo venne accompagnata da una modifica costituzionale che esplicitamente lo escludeva dall’ambito di applicazione di quell’altra regola costituzionale, quella del freno all’indebitamento: una precauzione a quel tempo non necessaria – come abbiamo spiegato – ma che costituisce un precedente particolarmente sgradito alla Corte, la quale ha scandito come tale “passo senza precedenti … non dovrebbe essere ripetuto”.
Non occorre troppo intuito per capire che, alle dette condizioni auspicate della Corte, la Germania semplicemente non riarmerà. E che la stessa fine rischiano di fare altri obiettivi di politica estera e di difesa, quali il sostegno all’Ucraina. O, più in generale, la stessa permanenza attiva nella Nato.
Conclusioni
Tutto bene? O tutto male? Beh, per chi si attarda a difendere la moneta unica, tutto male: l’ultima volta che Berlino ha tirato i remi in barca comprimendo la domanda interna, ha fatto esplodere i propri saldi commerciali esteri, edificando la crisi del 2011.
Ma tutto male pure per chi – a partire da Sua Competenza -, nella moneta unica vorrebbe finanziare ingenti spese per Ucraina e difesa Nato, magari attraverso un Patto di Stabilità opportunamente riformato: la piccola vicenda che abbiamo raccontato dimostra, una volta di più, che non si può fare.
Al contrario, per quelli che già han compreso che la moneta unica non ha futuro e, tanto più, per quelli fra questi ultimi che vogliono bene alla Nato, tutto bene: terra si avvicina.