I tagli ai finanziamenti statunitensi per gli aiuti umanitari stanno mettendo in crisi al-Hol e Roj, due campi nel nord-est della Siria dove vivono oltre 60.000 persone, tra cui circa 40.000 bambini. Molti sono familiari di sospetti affiliati all’Isis. Non sono formalmente prigionieri, ma nemmeno liberi di andarsene. Ora, con gli aiuti bloccati, la situazione si fa critica: carenza di cibo, acqua, cure mediche. Il rischio? Rivolte, fughe di massa e persino operazioni dell’Isis per liberare i suoi uomini.
Un clima esplosivo
Per capire l’atmosfera dentro al-Hol, basta la testimonianza di due reporter dell’Associated Press durante una rara visita al campo. Mentre camminavano scortati da guardie curde, un gruppo di bambini ha iniziato a lanciare loro pietre. Alcuni stringevano in mano pezzi di metallo affilati come coltelli. Un ragazzino, non più di dieci anni, ha gridato: “Ti uccideremo perché sei un infedele. Noi siamo lo Stato Islamico”. Un altro si è passato la mano sul collo mimando un taglio: “Con il coltello, se Dio vuole”. Nel mercato interno, tra bancarelle che vendono shampoo e vestiti usati, una donna ha sussurrato: “Lo Stato Islamico resiste”.
Secondo gli operatori umanitari del campo che invece hanno parlato con Reuters, la sospensione dei fondi ha già bloccato la distribuzione di aiuti essenziali. File di tende si estendono per quasi un chilometro quadrato. Spesso più famiglie sono stipate insieme, con strutture mediche minime e scarsa acqua pulita. D’inverno le tende si allagano, d’estate il caldo è soffocante. Gli incendi, provocati da fornelli a gas usati per cucinare, sono frequenti.
Un campo che non si svuota
Al-Hol nasce nel 1991 per accogliere rifugiati iracheni dopo la prima Guerra del Golfo. Nel 2019, con la battaglia di Baghuz che ha segnato la fine del “Califfato”, il campo si è riempito di nuovo. Oggi è sorvegliato dall’Asayish, la polizia dell’Amministrazione autonoma del Nord-est della Siria (AANES), e dalle Forze Democratiche Siriane (SDF), la milizia curda che ha combattuto lo Stato Islamico con il supporto americano. Mentre varie ong gestiscono diversi campi per iracheni, siriani e cittadini di Paesi terzi. Controllare il campo è già difficile: ogni giorno transitano 400 veicoli e migliaia di persone. Senza fondi, la situazione rischia di sfuggire di mano.
Il governo di transizione di Damasco – quello composto da ex (?) terroristi – rivendica il controllo dei centri di detenzione, ma le SDF si oppongono: cederli al regime significherebbe rischiare una ripresa dell’Isis. Sheikhmous Ahmed, responsabile dei campi, ha spiegato all’Associated Press che gli aiuti americani coprivano le falle nei servizi di base. Senza quei fondi, “l’Isis ne approfitterà”. Mentre Jihan Hanan, direttrice della struttura, è ancora più netta: “I campi sono una bomba a orologeria”.
Le cellule dormienti non hanno mai smesso di uccidere chi viene sospettato di tradimento, di lavorare come informatore o di violare le regole, anche prostituendosi per sopravvivere. Solo nel 2024 almeno 47 persone sono state assassinate secondo le autorità curde.
Un vivaio jihadista
Nel settore Annex di al-Hol vivono circa 8.000 donne e bambini di oltre 60 nazionalità. Sono considerati i sostenitori più radicali dell’Isis. Molti bambini crescono immersi nell’ideologia jihadista trasmessa dalle madri. Gli esperti avvertono che, senza un intervento, da qui potrebbe emergere una nuova generazione di combattenti. Alcuni Paesi dell’ex Unione Sovietica hanno rimpatriato alcuni cittadini, ma la maggior parte degli Stati arabi, europei e africani si rifiuta di farlo. Rimpatriare significa processare o monitorare, e i governi preferiscono ignorare il problema.
“Tra loro ci sono ancora molti dei foreign fighters che sono partiti e che non sono tornati per esempio in Europa: in particolare francesi, britannici, olandesi – ci dice Stefano Piazza, scrittore, giornalista (Panorama e La Verità) ed esperto di terrorismo e sicurezza – la situazione in Siria è estremamente grave e lo Stato islamico è stato capace in questi anni, con la pandemia, successivamente con la guerra in Ucraina ed oggi con la guerra nella Striscia di Gaza, di lavorare sottotraccia e a ricomporre le proprie forze“.
“Il nuovo califfo dello Stato islamico, questo misterioso califfo del quale non si conosce il volto o meglio ci sono delle fotografie ma che non sono confermate, è riuscito nell’intento di costruire una struttura decentrata difficilmente individuabile ma fatta di fedelissimi. In termini numerici oggi possiamo dire che gli uomini che sono presenti tra la Siria e l’Iraq, il famoso Siraq, è tra le 15.000 e 18.000 unità, sotto le 20.000, sono molti e sono soprattutto ben armati. Senza l’aiuto degli Usa oggi la Siria non ha la possibilità di estirpare il cancro che rappresenta l’Isis: gli mancano gli uomini, gli mancano i mezzi e quindi si tratta di un continuo colpire e difendersi”.
Il Centro per la lotta al terrorismo di West Point già nel 2021 lanciava l’allarme: migliaia di adolescenti crescono in questi campi immersi nella dottrina jihadista. L’Aanes lo sa bene. Per questo ha aperto due centri di rieducazione dove finiscono i ragazzi dopo i 12 anni. Vengono separati dalle madri per spezzare il ciclo di radicalizzazione. Ma le donne li nascondono, rendendo impossibile sapere quanti adolescenti vivano ancora nel settore Annex.
L’inerzia europea
Senza aiuti e senza controllo, il nord-est della Siria rischia di implodere. Se i campi collassano, sarà un disastro umanitario, ma anche un’opportunità per l’Isis. Gli Stati Uniti da tempo avvertono gli alleati: “Riprendete i vostri cittadini, o ve li ritroverete a combattere in casa vostra”. Ma diversi Paesi europei membri della Global Coalition to Defeat ISIS non si sono mai preoccupati di risolvere la questione o di supportare abbastanza le SDF (bombardate dalla Turchia, membro Nato) per occuparsi di questi campi, fucine di terroristi. Quegli stessi terroristi che poi vediamo all’opera per le strade delle città tedesche, austriache, francesi…