Ha suscitato scalpore la recente manifestazione tenutasi nel nord della Striscia di Gaza contro Hamas, dove centinaia di palestinesi hanno accusato l’organizzazione terroristica di essere responsabile dei loro problemi e hanno chiesto di smetterla con la guerra contro Israele.
Sebbene possa stupire questa vicenda, esistono da tempo voci controcorrente in seno alla società palestinese che prendono posizione contro Hamas, ritenuto responsabile di molti dei loro problemi. A volte si tratta di singoli giornalisti e attivisti, ma in altri casi può anche trattarsi di ex terroristi che, invecchiando, hanno deciso di rinunciare alla violenza.
Mohammed Al-Tous, terrorista redento
“Oggi dico ai miei nipoti di non seguire la strada degli attentati e della resistenza”, ha dichiarato in un’intervista rilasciata il 31 gennaio all’emittente statale saudita Al-Arabiya Mohammed Al-Tous, uno dei detenuti israeliani rilasciati durante la tregua nel corso dello scambio con gli ostaggi israeliani. “Non vogliamo che la nostra libertà vada a scapito della vita dei nostri figli”.
Al-Tous, 69 anni, è uno dei più anziani prigionieri liberati nell’ambito del precedente accordo di cessate il fuoco per il rilascio degli ostaggi a Gaza. Membro del movimento Fatah che in Cisgiordania governa l’Autorità Nazionale Palestinese, è stato arrestato nel 1985 per aver organizzato attentati contro i cittadini israeliani a Gerusalemme e dintorni.
Pochi giorni prima di Al-Arabiya, Al-Tous ha rilasciato un’altra intervista all’agenzia di stampa con sede negli Emirati Arabi Uniti Al-Mashhad, in cui ha criticato la leadership di Hamas quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse dell’attacco del 7 ottobre.
Se avessi saputo quale sarebbe stato il prezzo della mia libertà, sarei rimasto in prigione. (…) Un leader che sta pensando di effettuare un attacco su larga scala deve essere consapevole del prezzo da pagare. È inaccettabile che il costo del nostro rilascio dal carcere sia anche solo una goccia di sangue di un bambino palestinese.
Dalle proteste alla cooperazione
Nel corso della guerra a Gaza, Ahmed Fouad Alkhatib ha perso decine di parenti sotto i bombardamenti israeliani. “Ogni volta che condivido questa storia, la gente presume che io sia consumato dalla rabbia, desideroso di vendicarmi dei responsabili. Devo disprezzare tutti gli israeliani e considerarli miei nemici giurati”, ha scritto nel giugno 2024 sul sito americano The Free Press.
Nonostante la mia profonda frustrazione e risentimento per le azioni del governo israeliano e la guerra in corso a Gaza, non lo faccio. Semmai, sono più critico nei confronti di alcuni attivisti filopalestinesi, molti dei quali stanno peggiorando le cose, mettendo sempre più in pericolo le persone che affermano di difendere. In effetti, direi che alcuni non sono poi così interessati al benessere dei palestinesi.
Nato a Gaza e trasferitosi negli Stati Uniti nel 2007, inizialmente era attivo nelle proteste filopalestinesi in California. Nel 2008, nel corso di una manifestazione tenutasi a San Francisco, venne avvicinato da un giornalista che gli chiese un’intervista sui razzi lanciati da Hamas contro obiettivi israeliani. Alkhatib condannò Hamas definendo la violenza indiscriminata contro i cittadini israeliani “abominevole e sbagliata”. Tuttavia, venne redarguito dagli organizzatori: “Non parlare mai dei razzi”, e “se ti chiedono di Hamas, riporta il discorso all’occupazione israeliana”.
Il colpo più duro alla sua fiducia nel movimento pro-Palestina risale al 2015, quando tentò senza successo di promuovere un progetto per un aeroporto nella Striscia di Gaza che “avrebbe potuto dare alle persone la possibilità di entrare e uscire da Gaza e garantire una certa libertà di movimento ai palestinesi intrappolati dal blocco nella Striscia”. Era riuscito a dialogare positivamente col governo israeliano e con l’IDF, riscuotendo un certo interesse da parte della popolazione gazawi.
“Ciò che mi mancava”, ha spiegato, “era il sostegno degli attivisti filopalestinesi. Si sono opposti ai miei sforzi, perché la cooperazione avrebbe semplicemente fatto fare bella figura a Israele. (…) Per loro questo non era accettabile, anche se il popolo palestinese ne avrebbe tratto beneficio. Alcuni credevano che con la libertà di movimento molti abitanti di Gaza avrebbero scelto di andarsene, realizzando così il complotto sionista di svuotare la Striscia dei suoi abitanti”, sostenendo in altre parole che la prigionia degli abitanti di Gaza servisse ad “una causa più grande”.
Alkhatib non riusciva a credere a quello che sentiva: “Intrappolare le persone a Gaza andava bene perché ciò rendeva più facile smascherare e attaccare Israele? Che tipo di causa può fondarsi sul costringere la propria gente a rimanere in perenne miseria così che gli attivisti occidentali potessero condannare più facilmente i loro avversari?”.
Ayman Khaled, giornalista fuori dal coro
Mentre molti media occidentali accusavano Israele di affamare la popolazione di Gaza, il giornalista e youtuber palestinese Ayman Khaled ha accusato Hamas in un video di rubare gli aiuti umanitari destinati ai gazawi, per poi rivenderli al mercato nero. E sempre Khaled, in un tweet, ha dichiarato: “Abbiamo bisogno di promulgare una legge che ritenga Hamas e coloro che hanno partecipato al 7 ottobre responsabili. È anche necessario congelare i fondi di Hamas, che ammontano a miliardi, e stanziarli per la ricostruzione di Gaza”.
A parte le accuse di Khaled, l’afflusso di aiuti umanitari a Gaza è stato confermato anche dai dati forniti dall’IDSF (Israel Defense and Security Forum): tra ottobre 2023 e settembre 2024, Israele e i suoi partner hanno trasportato oltre 900.000 tonnellate di rifornimenti (727.000 tonnellate di cibo, 73.000 tonnellate di attrezzature per i rifugi, 49.000 tonnellate di acqua, 25.000 tonnellate di forniture mediche e 36.000 tonnellate di altri beni di prima necessità). Da notare che l’IDSF in origine era stato fondato per dare voce a quei militari che protestavano contro la riforma giudiziaria di Benjamin Netanyahu; pertanto, non possono certo essere accusati di fare propaganda pro-Netanyahu, essendo nati per opporsi a lui.
Il confronto con l’Italia
Nonostante queste voci, per quanto minoritarie, ritengano Hamas responsabile dei problemi dei palestinesi, in Italia chi prova a dire altrettanto rischia la censura e l’emarginazione: è successo di recente all’avvocatessa Ilaria Celledoni, fino a poco tempo fa portavoce delle donne del Pd in Friuli Venezia Giulia, la quale ha scritto su X che Hamas era responsabile per i bambini morti a Gaza.
Risultato? La Celledoni ha ricevuto numerosi attacchi e minacce, e i vertici regionali e nazionali del suo partito ne hanno preso pubblicamente le distanze. Alla fine, è stata persino sollevata dal suo incarico, mentre altri militanti ne hanno chiesto l’espulsione dal Pd. Perché in un’area politica che ha fatto della causa palestinese e dell’antisionismo una sorta di religione dogmatica, questo è ciò che accade agli eretici.