Ecco perché è un errore fidarsi della Cina come mediatore in Ucraina

Pechino non ha mai protestato per le annessioni russe, mai mostrato rispetto per la sovranità o integrità delle repubbliche ex sovietiche

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Si sta investendo molto, in termini di analisi e di speranze, nella telefonata di un’ora fra il presidente cinese Xi Jinping e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, il 26 aprile. Sta ritornando in auge una vecchia convinzione, quella secondo cui la Cina potrà svolgere un importante ruolo di mediazione nel conflitto russo-ucraino.

L’ottimismo di Kiev e Ue

Ad alimentare questo ottimismo è stato anche il primo commento di Zelensky: “Credo che questa telefonata, così come la nomina dell’ambasciatore dell’Ucraina in Cina, darà un forte impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali”. A cui si è aggiunto quello del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba: “La Cina può giocare un ruolo importante. C’è un grande rispetto per l’integrità territoriale, la Cina ha riaffermato il forte impegno per l’integrità territoriale”.

E le risposte positive occidentali non sono mancate. “Accogliamo questa telefonata. La presidente Von der Leyen e il presidente Macron avevano trasmesso la richiesta del presidente Zelensky per un colloquio telefonico durante il loro incontro con il presidente Xi a Pechino”, ha commentato un portavoce della presidenza della Commissione europea.

Bene, ma c’è da credere alla Cina? L’ottimismo ostentato dalla controparte ucraina è d’obbligo. Fa parte della strategia diplomatica di Kiev quella di rompere la partnership fra Mosca e Pechino. Anche da parte dell’Ue, il gesto di coinvolgere la Cina in un negoziato è una mossa obbligata.

Anche se il presidente Macron, con le sue dichiarazioni, nel momento in cui ha scaricato la questione Taiwan sugli americani, ha dimostrato che l’Ue, per ammorbidire la Repubblica Popolare, è pronta a pagare qualunque prezzo (purché non ci riguardi direttamente).

La natura del regime

Ma cosa possiamo attenderci, realmente, dal regime comunista cinese? Ci sono almeno tre validi motivi per credere che l’impegno alla mediazione di Xi non sia sincero.

Il primo riguarda la natura del regime: mai fidarsi di una dittatura. È una lezione che non impariamo mai. Eppure la menzogna è uno dei metodi classici di esercizio del potere assoluto di un dittatore: prende un impegno quando i rapporti di forza non sono favorevoli, o quando si temono conseguenze gravi da una crisi, ma lo disattende appena possibile.

Un dittatore non risponde a vincoli legali, tantomeno morali: non deve rendere conto a nessuno, al di fuori di se stesso e del partito che lo segue. Ciò è evidente soprattutto per la dittatura (comunista) cinese. Solo per fare un esempio recente, su Hong Kong il predecessore di Xi aveva preso un impegno solenne, con il Regno Unito, di rispettarne la piena autonomia fino al 2047, ma nel 2019 Xi vi ha posto fine senza neppure consultarsi con Londra.

La posizione sul conflitto ucraino

Il secondo riguarda la posizione cinese sul conflitto ucraino: la Cina ha appoggiato la Russia fin dall’inizio ed era consapevole dell’aggressione prima che iniziasse, come dimostra l’incontro fra Xi e Putin a Pechino il 4 febbraio, quando i due presidenti si sono promessi un’amicizia “senza limiti” ad appena 20 giorni dall’inizio dell’invasione.

Nonostante tutto, non ha fatto sentire la sua voce né il 24 febbraio 2022, né dopo. C’è una proposta cinese di pace? Articolata in dodici punti, chiede, di fatto, la mutilazione del territorio dell’Ucraina. Il primo punto, in cui si sancisce il rispetto della sovranità di tutti i Paesi, viene contraddetto nei successivi, quando si propone il cessate-il-fuoco (punto 3), ma non il ritiro delle truppe russe dai territori occupati.

Soprattutto: la Cina non ha mai protestato per il riconoscimento russo dell’indipendenza delle repubbliche separatiste ucraine di Donetsk e Lugansk, il 22 febbraio 2022. Né ha contestato l’annessione, da parte della Russia, di ben quattro regioni occupate militarmente: oltre a Donetsk e Lugansk, anche Zaporizhzhia e Kherson.

Ma la Cina non ha fondato tutta la sua politica estera sull’inviolabilità dell’integrità territoriale? E non è questo principio alla base del disconoscimento di Taiwan e delle continue minacce di “riportarla nell’ovile” con la forza? E qui si arriva al…

La verità dell’ambasciatore

Terzo motivo per non credere alla Cina: le dichiarazioni dell’ambasciatore in Francia Lu Shaye. Cosa ha detto? Nel corso di un’intervista rilasciata alla televisione francese Lci, parlando dell’Ucraina, ma estendendo il discorso a tutte le repubbliche ex sovietiche, ha commentato:

Questi Paesi dell’ex Unione Sovietica non hanno uno status effettivo ai sensi del diritto internazionale perché non esiste un accordo internazionale che confermi il loro status di nazioni sovrane.

Per essere ancor più chiaro, l’ambasciatore ha anche invitato i governi occidentali a smettere di “cavillare” sui confini ucraini, perché ora “è urgente realizzare il cessate-il-fuoco”. Insomma, la Cina non si fa problemi se la Russia mutila o annette il territorio del Paese vicino, perché riconosce ancora l’esistenza, la sovranità e l’integrità territoriale … dell’Unione Sovietica.

La portavoce del Ministero degli esteri di Pechino, Mao Ning, ha smentito l’ambasciatore, affermando che “dopo la disintegrazione dell’Urss la Repubblica popolare cinese fu uno dei primi Paesi a stabilire relazioni diplomatiche con gli Stati interessati e rispetta la loro sovranità”.

Ma non è così e il sostegno a Mosca ancora dopo che ha riconosciuto la separazione della Transnistria dalla Moldavia, dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale dalla Georgia, della Crimea dall’Ucraina, delle regioni meridionali e orientali dell’Ucraina, dimostra che la Cina, nei fatti, non rispetta affatto la sovranità o l’integrità delle repubbliche ex sovietiche.

Non ci si può fidare

Insomma, non ci si può fidare della Cina come mediatore nella guerra in Ucraina, perché, anche se non lo ammette apertamente, il regime di Pechino non riconosce pari dignità a Kiev. O non lo riconosce affatto come governo legittimo di uno Stato sovrano.

La Repubblica Popolare è un regime comunista che, almeno dal massacro di piazza Tienanmen del 1989 in poi, non ha ripetuto gli “errori” di Gorbachev ed è rimasto in piedi non concedendo alcuna apertura politica e nessun decentramento territoriale. Ora, in base alla sua stessa visione della storia, non può che veder bene questo progetto putiniano di restaurazione sovietica.

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