Non è stato il disastro solo di Joe Biden. Come ha scritto il nostro Luca Bocci nella sua analisi a caldo del primo dibattito tv tra i due sfidanti nella corsa alla Casa Bianca, “i veri perdenti sono quei media che avevano per mesi provato a far passare la bufala di un Biden in perfetta salute, ancora lucido e perfettamente in forma”. I 90 minuti del duello trasmesso dalla CNN “hanno messo l’intero pianeta di fronte a quello che veniva negato con rabbia dai media mainstream“.
A chi si azzardava a sollevare dubbi o ironizzare sullo stato cognitivo del presidente, o a ritwittare e commentare i video delle sue amnesie, i nostri fact-checker e debunker di professione rispondevano con sarcasmo (tipo “hai forse una laurea in medicina?”), o con le immancabili accuse di disinformazione (video manipolati) e teorie ancora più bislacche (qualcuno ha parlato anche di balbuzie).
Le abbiamo sentite letteralmente di tutti i colori in questi anni e ancora fino a qualche ora fa. L’avanzato stato di declino cognitivo di Biden è ora innegabile. D’altra parte, qualche mese fa era stato persino certificato dal procuratore speciale Robert Hur, nominato dall’Attorney General Merrick Garland, che spiegando nel suo rapporto come mai avesse deciso di non incriminare il presidente per i documenti classificati custoditi illegalmente nelle sue abitazioni e uffici aveva parlato di “uomo anziano con scarsa memoria“.
Nemmeno l’uso del privilegio esecutivo per bloccare la pubblicazione dell’audio dell’interrogatorio di Biden era bastato a indurre Democratici e media progressisti a riconoscere la realtà.
L’ora del risveglio
Ma dopo il dibattito dell’altra notte è l’ora del (tardivo) risveglio. Ieri la pagina dei commenti del New York Times era unanime nel chiedere un passo indietro di Biden. Così come uno dei commentatori di punta progressisti, Nicholas Kristof: “Vorrei che Biden riflettesse sulla performance di questo dibattito e annunciasse la sua decisione di ritirarsi dalla corsa, lanciando alla convention la scelta del candidato democratico”. E come il sondaggista Dave Wasserman: “Questo dibattito rende abbondantemente chiara l’insistenza di Biden nel candidarsi per un altro mandato… ha gravemente messo a repentaglio le prospettive dei Democratici di sconfiggere Trump”.
La pensa così anche un altro guru dei numeri elettorali, il noto Nate Silver, che sul suo Bullettin ha pubblicato un commento dal titolo “Joe Biden dovrebbe ritirarsi”, in cui osserva che negare il suo declino ha messo i Democratici in una “posizione terribile”.
“Biden è l’ombra di se stesso. Questa è la cosa più ovvia al mondo – ed era ovvia prima di stasera“, scrive Silver, ricordando che la prima volta che aveva scritto delle sue preoccupazioni, ammettendo di non essere certo stato tra i primi, è stato lo scorso settembre. Era già chiaro allora che “la stragrande maggioranza degli elettori pensava che Biden fosse troppo vecchio per essere presidente. E avevano dannatamente ragione. Un presidente di 86 anni è una proposta ridicola e insostenibile. Pochi leader mondiali si avvicinano a quell’età, tranne che nei Paesi autoritari – e nessuno di loro è il presidente americano, il lavoro più difficile del mondo”.
Nate Silver se la prende con tutti quelli che hanno negato – nello staff, nel partito, nei media – facendo muro sui problemi di Biden fino a ieri. “Se sei un Democratico, dovresti essere arrabbiato con queste persone per averti messo in questa situazione”. E, aggiungiamo noi, non solo per aver compromesso la vittoria elettorale, ma anche per aver minato la credibilità della Casa Bianca e indebolito l’America nel mondo.
Chi comanda alla Casa Bianca?
E qui arriviamo a questioni ben più importanti di chi si sia aggiudicato il primo duello tv. Se Biden è quello dell’altra sera, chi ha governato l’America in questi anni? Chi comanda alla Casa Bianca? Chi prende le decisioni più importanti? Chi prepara i vertici internazionali? A proposito di “pericolo per la democrazia“, non può essere certo liquidato come complottismo il sospetto che altri abbiano manovrato dietro le quinte senza alcuna legittimità e accountability. Una questione che avrebbe dovuto essere in cima alle preoccupazioni dei media e degli osservatori.
La leva d’emergenza
Resta un altro interrogativo a cui provare a dare una risposta, posto ieri anche da Luigi Curini su X: perché organizzare un dibattito presidenziale così presto, così tanti mesi prima delle elezioni? Un altro record: mai infatti si era tenuto un duello tv con così tanto anticipo, ha osservato Luca Bocci, addirittura prima delle convention di investitura. Forse, azzardiamo un’ipotesi, un estremo tentativo di aprire gli occhi del mondo Dem – partito e media – e indurre il presidente ad un passo indietro in tempo utile per incoronare un altro candidato.
Lo scrive anche Nate Silver nel suo articolo: “l’unica salvezza nel tenere il dibattito così presto era che avrebbe dato ai Democratici la possibilità di tirare la leva di emergenza e sollecitare Biden a dimettersi prima della convention se fosse andata davvero male. Bene, le leve di emergenza esistono per un motivo. È andata peggio di quanto avessi mai immaginato e mi aspettavo che andasse male. È tempo che Biden consideri cosa è meglio per il suo partito, per il Paese e per la sua eredità – e non è cercare la presidenza fino agli 86 anni”. Silver quindi annuncia che non vivendo in uno stato in bilico, voterà per un terzo partito se Biden resterà in corsa, “come protesta contro l’irresponsabilità di Biden nel cercare un secondo mandato e l’irresponsabilità del Partito Democratico nel nominarlo senza una seria competizione primaria”.
C’è ancora tempo per sostituirlo?
Ma realisticamente, c’è ancora tempo per cambiare candidato? I problemi sono almeno due. Primo: a meno di non ricorrere a nomi noti, ma divisivi all’interno del partito e nel Paese, come Hillary Clinton, o la vicepresidente Kamala Harris, impopolare più o meno quanto Biden, o a Michelle Obama, che però al momento non pare disponibile, non c’è tempo sufficiente per “costruire” un nuovo candidato e farlo conoscere.
Secondo: molto difficile rimuovere Biden come candidato e tenerlo come presidente. La non ricandidatura del presidente uscente non sarebbe dovuta alla conclusione di un secondo mandato o ad una scelta personale, ma a motivi di età e di salute, al suo declino cognitivo. Non sarebbe, insomma, come Lyndon Johnson nel 1968. Ammettere che Biden non è in grado di correre per la rielezione significa ammettere che non è in grado nemmeno di concludere il suo mandato – e restano ben sei mesi.
Significherebbe azzoppare la presidenza, dare all’esterno l’immagine di un vuoto di potere di cui potrebbero approfittare i nemici dell’America. A meno che Biden non si limitasse a ritirarsi dalla corsa, ma si dimettesse anche dalla presidenza, lanciando però la sua vice Kamala Harris, che almeno mezzo partito non vuole.
Le ipotesi Newsom/Harris
Il nome che molti evocano è quello di Gavin Newsom, il fotogenico e mascellare governatore della progressista California.
Le voci secondo cui avrebbe potuto sostituire il presidente in caso di peggioramento delle sue condizioni e di ritiro si rincorrono da almeno un anno. Interrogato sul dibattito, ha risposto stizzito: “Non volti le spalle a causa di una performance. Che razza di partito sarebbe?” Parlando con i giornalisti nella “spin room” post-dibattito, Newsom ha sostenuto che il suo partito “non potrebbe essere più unito dietro Biden” e che il presidente non dovrebbe farsi da parte.
Ma la narrazione era già cambiata. Il mondo Dem, partito e media, è entrato in modalità panico e ormai come abbiamo visto discute apertamente la sostituzione di Biden. In queste ore vengono ripassate le regole del partito, che pare non lo permettano senza il consenso del candidato. Ma come dicevamo, cambiare cavallo in corsa a quattro mesi dal voto (anche meno perché in alcuni stati si inizia a votare settimane prima) è molto complicato. Non esiste un percorso spianato per la sostituzione, anche se il partito fosse unito su un nome alternativo. E difficilmente potrebbe esserlo.
Come detto, Kamala Harris è impopolare almeno quanto Biden. E mettere da parte una vicepresidente donna, afroamericana e asiatica, per un uomo bianco, privilegiato e dello stesso stato come Newsom non è una passeggiata in un partito ormai intriso di ideologia woke. Né trascurabile la rivalità tra i due che rischierebbe di trasformare la convention in un tutti contro tutti. Insomma, i Democratici dovrebbero trovare un modo per sbarazzarsi di Biden come candidato, ma tenerlo come presidente e impedire che a sostituirlo sia la vicepresidente Harris. Piuttosto complicato.
Il soccorso di Obama
Torniamo quindi a Michelle Obama, che però finora si è negata snobbando la politica di partito. E ieri sera in soccorso della candidatura di Biden è arrivato il post dell’ex presidente Barack Obama: “Brutte serate di dibattito capitano. Ma queste elezioni rappresentano ancora una scelta tra qualcuno che ha combattuto per la gente comune per tutta la vita e qualcuno che si preoccupa solo di se stesso. Tra qualcuno che dice la verità (…) e qualcuno che mente apertamente a proprio vantaggio. La notte scorsa non ha cambiato la situazione, ed è per questo che la posta in gioco è così alta a novembre”.
Ma è certo che il dibattito di ieri rappresenta un game changer e a questo punto nulla si può escludere. Nemmeno il gesto di un “pazzo”.