Oggi è il primo ottobre. Tanti auguri di un sereno Natale a tutti! Assurdo….. ma possibile.
Nella pellicola del 1971 “Il dittatore dello stato Libero di Bananas” (tit. orig. Bananas) diretto e interpretato – con buon successo di critica e di cassetta – da Woody Allen, il rivoluzionario Castrado, divenuto, infine, presidente del paese latino–americano, arringa al suo popolo con queste parole: “Sono il vostro nuovo presidente. D’ora in avanti la lingua ufficiale del Bananas sarà lo svedese. […] A partire da ora tutti i cittadini saranno tenuti a cambiarsi la biancheria ogni trenta minuti. La biancheria sarà portata sugli indumenti, per controllare. Oltre a ciò, tutti i ragazzi sotto i sedici anni di età – a partire da ora – avranno 16 anni”.
A queste deliranti parole ecco che Fielding Mellish (il personaggio interpretato da Allen stesso) commenta: “Chi è che vende le camicie di forza?”. È facile pensare che la satira di Allen non fosse scevra di un certo senso di superiorità dell’intelligencija ebraico-newyorkese nei confronti dei latinos. Ben noto, d’altronde che gli americani abbiano sostenuto una grande pletora di dittatorelli nel continente, pur provandone un sostanziale disprezzo (chi non ricorda l’espressione: “Sarà anche un figlio di p……, ma è il nostro figlio di p…..” con la quale Roosevelt si difendeva dalle critiche di chi sosteneva che il gen. Somoza del Nicaragua fosse un poco di buono).
Dalla tragedia alla farsa
La realtà, però, può superare l’immaginifica finzione cinematografica. Nicolas Maduro, di recente riconfermato – per la terza volta – presidente del Venezuela, lunedì 2 settembre, in diretta televisiva durante il suo programma settimanale “Con Maduro +” sul canale Globovisión, affermando che “a settembre già si sente profumo di Natale”, ha annunciato l’anticipazione – per decreto presidenziale – dei festeggiamenti per il giorno di Natale al primo ottobre: “Arriva il Natale (Arranca la Navidad) il primo di ottobre! Per tutti e tutte, è arrivato il Natale, con pace, felicità e sicurezza!”.
La tragedia si muta in farsa. Un Paese dilaniato da disordini interni dopo una tornata elettorale che ha lasciato stupiti persino i sostenitori internazionali del regime bolivariano-chavista, anestetizzato da un anticipo scandaloso delle festività natalizie.
Il governo venezuelano, tradizionalmente, durante il periodo che precede il Natale aumenta gli sforzi per la distribuzione degli aiuti nei quartieri popolari. Questa la ragione che ha portato al decreto dell’“Operación Feliz Navidad”: panem et circenses! La cosa stupefacente è che non è la prima volta che Maduro anticipa le festività natalizie: era già successo nel 2020, quando erano cominciate il 15 ottobre, e nel 2021, quando i festeggiamenti erano partiti il 4 ottobre. Critiche da parte della Chiesa Venezuelana. La Conferenza Episcopale ha sottolineato che “il modo e il tempo della celebrazione del Natale spettano all’autorità ecclesiastica” e che “non deve essere utilizzato per scopi propagandistici o politici particolari”.
Fuga dal Venezuela
Queste esternazioni hanno sollevato, nel nord del mondo, non più che qualche sorriso, non privo di disprezzo, verso le “fantasie” del mondo politico sudamericano, giudicato – con non poca superficialità – come una gigantesca periferia, sempre uguale a se stessa, verso gli assi principali della politica internazionale. Ben diverse reazioni nei Paesi che sono destinazione della “diaspora bolivariana”, cioè della gigantesca emigrazione dal Venezuela verso i vicini.
Questo fenomeno, già presente ai tempi di Chavez, che vedeva protagonisti cittadini della classe alta, con il peggioramento della condizioni del Paese, ha riguardato anche cittadini della classe media e bassa. Gli ultimi dati ufficiali forniti dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), aggiornati a settembre 2023, sono eloquenti: 7,7 milioni di venezuelani hanno lasciato il Paese in seguito alla crisi economica, sociale e politica esplosa nella seconda metà dello scorso decennio (20 per cento della popolazione); di questi, 6,6 milioni hanno trovato accoglienza in Paesi di America Latina e Caraibi, più di un milione sono fuggiti verso nord.
Chi lascia il Venezuela trova uno scenario molto cambiato rispetto a un paio di anni fa. Diminuisce l’attrattività dei Paesi bolivariani e andini, che negli ultimi anni hanno “assorbito” la maggior parte dei migranti venezuelani: quelli regolarizzati in Colombia sono oltre 2 milioni, in Perù si supera il milione, di poco più basse sono le cifre di Cile ed Ecuador. Il Cile era molto appetibile, per il suo bisogno di manodopera qualificata. Purtroppo, nel Paese, così come in Perù, si è affermato un atteggiamento xenofobo verso i venezuelani.
Una tragedia ancor maggiore se si pensa che nel 1950 il Venezuela è stato il 4º Paese al mondo per Pil pro capite. Il regime – con una economia alle corde – si difende cercando consensi nell’ambito delle forze armate. Non in altro modo si spiegherebbe il fatto che un Paese con un Pil pro capite di 5.949 USD (FMI 2022), possa pagare gli ufficiali generali con un salario pari a quello degli omologhi statunitensi (Pil Usa pro capite nel 2022 76.027 USD).
Meta-realtà delle dittature
Comunque, al di là dell’immane tragedia di quel Paese vessato da un regime ormai esaurito, un elemento di particolare interesse della vicenda risiede nella constatazione che i dittatori – eccetto rare eccezioni – sono propensi a vivere in un mondo parallelo che trascende il reale. Che la politica, almeno nei suoi elementi metafisici, viva più di miti che di fatti, più di fede che di ragioni è auto dimostrante, ma sempre più un regime politico diventa autoreferenziale ed autoritario, tanto più quello che viene chiesto ai “sudditi” non è tanto l’“obbedire”, ma il “credere” aprioristico al capo.
Ecco che la meta-realtà non ha bisogno di prove, ma di accettazione ed ogni ricordo di precedenti “realtà” diventa delitto. Anche se la tragica grandezza del Grande Fratello orwelliano fa a botte con l’immagine del bolso ex autista di Caracas ecco che il richiamo alle festività natalizie anticipate ad ottobre non può non ricordare il proclama durante la “settimana dell’odio”, quando l’Eurasia passa da alleata a nemica di Oceania.
Questo cambio di posizionamento avviene cancellando ogni riferimento alle precedenti alleanze che, il solo ricordarle, è “psico-reato”. Il pubblico presente nello studio di Globovisión è assolutamente sincero e convinto nell’applaudire le affermazioni del Caudillo, per quanto esse possano apparire ridicole.
Per quanto, quello bolivariano, non sia ancora un regime compiutamente totalitario, vuoi per mancanza di una vera ideologia, vuoi per una assoluta disorganicità del regime stesso, ben valide sono sempre le parole della Arendt: “il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto oppure il comunista convinto, ma le persone per le quali non c’è più differenza tra realtà e finzione, tra il vero e il falso” (“The origins of Totalitarism”, 1951).
Ogni regime autoritario o para-autoritario manifesta la sua volontà di percorrere la strada che porta al totalitarismo ogni qual volta non cerca solo di ottenere l’obbedienza assoluta dei cittadini privati di ogni libertà. Vuole conquistare la loro anima, vuole convertirli a un credo totalitario come una religione, una religione laica di cui i cittadini devono diventare i fedeli. È certo che è proprio della politica la ricerca del consenso mediante quello che Kenneth Boulding (“Three faces of power”, 1989) chiama potere “integrativo” o “dell’amore”, cioè quello che porta i “cittadini” o i “sudditi” a legittimare il potere che li amministra e li guida.
Ma la credibilità di esso sta nella capacità di limitare la deformazione della realtà. In occidente, anche nelle lontane espressioni totalitarie sarebbe impossibile un culto della personalità del leader come in Corea del Nord, dove il defunto padre fondatore Kim Il Sung venne elevato, al momento della sua morte, al rango di “Presidente eterno”. Nonostante troppe sovrastrutture culturali differenzino la nostra parte del mondo dall’Oriente, nulla ci autorizza a sottovalutare il fatto che tutta la narrazione intorno al defunto dittatore di Pyongyang venga creduta assolutamente vera e reale da gran parte della sua gente.
Questa corsa verso la irrealtà è, comunque, una costante di tutte le ideologie “forti”, cioè quelle che hanno, come intenzione, la creazione di una società ed un uomo “nuovo”, come si potesse raddrizzare il “legno storto” con il quale sono state fatti gli umani, per dirla con Isaiah Berlin. Più la proposta politica si presenta come una palingenesi della storia più – sempre sulla scorta della lezione della Arendt – questa si comporta come una lente deformante che interpreta la realtà solo attraverso i paradigmi della proposta politica stessa, tenendo in non cale le contraddizioni nella quale cade e nella irrealizzabilità della proposta stessa.
L’errore dei dittatori
Tornando al case study venezuelano, come altri simili prima di questo, vi è il sospetto che Maduro, nel proporre l’irrealtà ai suoi sudditi, si convinca che essa non è tale, ma che la sua sola volontà la renda reale. Questo è il tragico errore di molti dittatori: non il mentire, ma il credere alle proprie menzogne. Il dittatore che vuole restare saldo al potere dovrebbe avere abbastanza cinismo da sapere che è pericoloso credere alla propria retorica.
Un giorno il filosofo Ortega Y Gasset disse al suo amico Antonio Salazar (una anomalia culturale e caratteriale tra i dittatori del XX secolo): “Il suo successo, presidente, consiste nel fatto che contrariamente a Mussolini, il quale credeva di comandare otto milioni di baionette, lei sa benissimo di dover soltanto amministrate otto milioni di cadaveri”. La teatralità del dittatore venezuelano, però, cozza con la sobrietà e la cultura di quel mite professore di economia di Coimbra, divenuto dittatore del Portogallo.
Feliz Navidad señor Maduro. Buon Natale a tutti, anche se è il primo ottobre!