Osservando Carlo Rovelli si ha l’impressione di aver a che fare con un poseur, con un uomo che ha deciso di calarsi nel ruolo di “scienziato umanista”, un po’ Albert Einstein e un po’ Bertrand Russell. Il suo pacifismo oltranzista, che dal palco del “concertone” del Primo Maggio lo ha spinto a tuonare contro i “piazzisti della morte”, è il reflusso di una militanza nella sinistra radicale mai del tutto digerita. Rovelli, infatti, non ha mai abbandonato la redazione di Radio Alice né il Movimento del ’77.
Ignoranza o malafede?
I suoi interventi pubblici sulla guerra in Ucraina e la storia contemporanea sono delle ammutolenti esibizioni di demagogia e ignoranza. Una villania intellettuale compiaciuta di se stessa perché stolidamente convinta di essere “dalla parte giusta”.
Rovelli si dice contro la guerra, come d’altronde fanno tutte le persone ragionevoli, peccato però che lui la veda fare solo agli occidentali, Stati Uniti in testa. In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 30 luglio 2022, intitolato “Il conflitto e l’ipocrisia: serve un nuovo soggetto politico, l’umanità”, il fisico gandhiano scriveva:
Mi unirei al coro contro il riconoscimento del Donbass che ha innescato la guerra ucraina, se aggiungessimo che ci siamo sbagliati riconoscendo Slovenia e Croazia, innescando la guerra civile Iugoslava.
A leggere certe affermazioni, viene il sospetto che non si tratti nemmeno d’ignoranza, ma di vera e propria malafede. La responsabilità della guerra civile jugoslava ricade sul nazional-comunista Miloševic, che era deciso a riaffermare il ruolo egemone dei serbi in una Jugoslavia unita.
Gli orrori occultati
Rovelli si straccia le vesti per i bombardamenti della Nato sulla Serbia, senza mai ricordare la criminale aggressione della pacifica Bosnia, i brutali assedi di Mostar e Sarajevo, la carneficina di Srebrenica, la pulizia etnica delle città lungo la Drina, l’istituzionalizzazione dello stupro come atto politico, la profanazione dei siti culturali bosniaci, il bombardamento della Vijećnica, l’oppressione sistematica di due milioni di kosovari. Anzi, per lui, il massacro dei kosovari era solo una “scusa” della Nato per colpire Belgrado.
La macchina del pacifismo, d’altronde, può funzionare solo così, ossia occultando gli orrori delle presunte “vittime” della protervia occidentale. Rovelli ricorda anche le bombe su Hiroshima e Nagasaki, ma non i massacri di Nanchino, dove l’esercito del Sol Levante, tra stupri e uccisioni, massacrò dai 300.000 ai 500.000 civili cinesi in un mese.
Scrive con coscienza pulita che l’Iraq non aveva mai attaccato nessuno, nascondendo il genocidio dell’Anfal e l’invasione del Kuwait; piange sui “vietnamiti massacrati dal napalm“, ma non su quelli assassinati dal regime di Ho Chi Minh. Il suo pacifismo è parziale, ideologico e imbevuto di quel senso di colpa gioioso caratteristico dei benpensanti.
I nemici del presente
La sua cecità è tale che gli impedisce di vedere i nemici del presente. Persino davanti all’emergere di una potenza totalitaria e imperiale, Rovelli incolpa solo l’Occidente, che secondo lui “si sente inquieto perché la Cina sta diventando ricca. La provoca, la accusa con pretesti (ce ne sono: scagli la prima pietra chi è senza colpe). Cerca lo scontro. Vorrebbe umiliarla militarmente prima che cresca troppo. La classe dominante occidentale ci sta portando verso la terza guerra mondiale”.
Affermazioni sconclusionate, che però rivelano la visione meramente economicista del suo autore (“la Cina sta diventando ricca”), residuo di un marxismo giovanile mai del tutto superato.
Il pacifismo di Rovelli è inarrestabile. Procede come un panzer, schiacciando senza ritegno fenomeni e situazioni storiche diverse, rendendole indistinguibili l’una dall’altra. Il risultato è un’amalgama di fatti destoricizzati.
Il celebre scienziato ha persino scritto la prefazione a “Le guerre illegali della Nato”, un libro di Daniele Ganser, teorico della cospirazione sull’11 Settembre, antiamericano al cubo, noto per la diffusione sistematica di informazioni false fabbricate dal Cremlino.
Lo scorso 25 febbraio, sul suo profilo Facebook, ha suggerito anche la lettura del libro di Benjamin Abelow, con prefazione di Noam Chomsky e dello stalinista Luciano Canfora, “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”, per “per resistere alla stridente e feroce propaganda di guerra a cui si è assoldata la maggior parte dei media del nostro Paese”. Peccato che Abelow sia l’ennesimo anti-atlantista hardcore tenerissimo con Vladimir Putin.
Fiction rovelliana
Il candido Rovelli ci tiene però a specificare che “non è filorusso” e che “questo governo fa scelte bellicose”. Come ha precisato al Fatto Quotidiano in data 19 marzo 2023: “hanno preso voti mettendo in dubbio l’eccessiva sudditanza italiana e, arrivati al potere, si sono stesi a zerbino sotto l’America”.
Sono queste affermazioni che fanno apparire lo scienziato profondamente insincero quando afferma di non essere né antiamericano né filorusso. Certo, Rovelli, da un punto di vista strettamente soggettivo, può non esserlo, ma il suo discorso pubblico è sovrapponibile a quello di qualunque “putiniano”.
Nella fiction rovelliana, alimentata dalle pessime letture sopra indicate, Kiev starebbe combattendo una guerra “per procura”, ovvero eterodiretta da Washington, contro la Russia. Si tratta di una visione falsa e inaccettabile, una vera e propria negazione ideologica della realtà, che dimentica che l’Ucraina è stata invasa da Putin con l’esplicito obiettivo di conquistarne il territorio e sottometterne la popolazione, attraverso l’impiego sistematico del terrore su larga scala e la rieducazione della popolazione più giovane, basti pensare al rapimento di migliaia di bambini e adolescenti.
Contro un nemico la cui ferocia criminale è arcinota, come rivelano le tantissime violazioni dei diritti umani compiute dai russi durante i conflitti in Cecenia e in Siria, Rovelli non riesce a fare altro che suggerire fumose soluzioni diplomatiche.
Come molti sanno, negli anni Trenta, alcuni elementi dell’aristocrazia britannica erano solidali con Hitler. Oggi Putin gode di un sostegno simile. Al tempo erano Edoardo VIII, Sir Oswald Mosley e il Daily Mail; oggi sono alcuni intellettuali di sinistra. Forse non sognano il fascismo russo su scala globale, ma certamente possono essere definiti come certi ex apologeti dell’Urss: “utili idioti dell’Occidente”.