Fine dei Giochi, a Macron resta la crisi politica: verso un governo di galleggiamento

Alla fine nominerà un primo ministro suo, “macronico”. Il presidente sta conducendo un’asta al ribasso da cui uscirà meglio chi risulterà meno compromesso

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Ritorno sulla crisi politica francese. Ci eravamo lasciati con Macrone che lanciava segnali, a sinistra e destra, desideroso di conquistare l’astensione dei deputati di una o dell’altra. Giochetto durato sette settimane. Oggi, finalmente, egli si degna di avviare formali consultazioni, convocando all’Eliseo i tre raggruppamenti nei quali è diviso quel Parlamento.

Un Parlamento costituzionalmente debole

Una premessa indispensabile è che, in Francia, un governo non entra in carica in forza di un voto di fiducia del Parlamento, bensì in forza della semplice nomina presidenziale (Art.8 CostFR).

Dopodiché, il Parlamento lo può abbattere con una mozione di censura, presentata da almeno 1/10 dei deputati (cd mozione spontanea). La quale deve ricevere il voto favorevole della maggioranza assoluta di tutti i deputati, l’astensione o l’assenza valendo come voto a favore del governo (Art.49 CostFR). Se ciò accade, il primo ministro deve presentare le dimissioni del governo al presidente della Repubblica (Art.50 CostFR). Il quale PdR, poi, “mette fine alle sue funzioni” (Art.8 CostFR).

O, meglio, dovrebbe mettere fine alle sue funzioni, visto che il governo Attal, dimessosi il 16 luglio, è sempre in carica. Ancorché “per gli affari correnti”. Ma questi ultimi non sono manco menzionati dalla Costituzione francese e comprendono serenamente qualunque misura latamente “urgente”. Perciò, effettivamente, il PdR non ha messo fine alle funzioni del governo.

In definitiva, in Francia, il Parlamento non solo non può dare inizio ad un governo, ma nemanco dargli fine. Ed è precisamente per questo motivo che Macrone fa mostra di tanta indifferenza con riguardo all’esito delle elezioni legislative.

Un governo costituzionalmente forte

Chi dà inizio e fine ad un governo è, sempre e solo, il PdR. Ma non può costringere un primo ministro a dimettersi, bensì solo accettarne le dimissioni. Inoltre, è il primo ministro che “dirige l’azione del governo” (Art.21 CostFR), potendosi più o meno trascurare il PdR anche quando egli “presiede il consiglio dei ministri” (Art.9 CostFR).

Di più, il governo gode di potere legislativo, potendo esso stesso emettere leggi, che entrano in forza salvo successiva mozione di censura (cd mozione offensiva) votata dal Parlamento con le stesse limitazioni della mozione spontanea testé vista. Persino in materia di promulgazione della legge finanziaria, il governo può agire tutto solo, non solo tramite la menzionata mozione offensiva, bensì pure tramite ordinanze (Art.47 CostFR, generosamente interpretato).

Ne segue che, una volta nominato, il primo ministro francese è piuttosto inattaccabile. Se non da un PdR che agisce d’intesa con una maggioranza assoluta di tutti i deputati, difficile però da trovare in un Parlamento così diviso come quello uscito dalle ultime elezioni legislative.

Non per niente, la sinistra (riunita nel NFP-Nuovo Fronte Popolare) annuncia come primo provvedimento l’abolizione della recente riforma delle pensioni: alla quale la destra del RN farebbe forse fatica ad opporsi. Non ha caso, su singoli provvedimenti di legge, RN ha appena fatto sapere che potrebbe votare quanto proposto da un governo NFP; e quest’ultimo di voler accettare il voto di RN.

Ed è precisamente per tale motivo che Macrone è così tanto restio a nominare un primo ministro del NFP, anche solo per vederlo subito cadere (come gli suggerisce Alain Minc): il rischio che non cada, non è sufficientemente minimo.

Un nuovo primo ministro macronico

Tutto ciò considerato, si intuirebbe che Macrone nominerà un primo ministro comunque suo, macronico: politico interno o tecnico esterno, poco importa. Incaricandolo di portare doni a sufficienza per convincere o la sinistra o la destra ad astenersi nelle mozioni di censura.

Ad esporsi verso sinistra è stato il primo ministro in carica, Attal, con una lettera del proprio “marito” (o già “marito”) e ministro degli esteri, Stéphane Séjourné. Questi prometteva di tenere fuori il RN, di difendere la “laicità” (nel senso della blasfemia, vista nella cerimonia d’apertura dei giuochi olimpici) e nemanco citava l’immigrazione. Ma, in cambio, chiedeva di tenere fuori LFI (la componente più a sinistra del NFP), nonché il “ristabilimento dei conti pubblici”.

Ad esporsi verso destra non è stato alcuno, ma c’è stata l’apertura verso il Marocco (amato dalla destra) e la chiusura verso l’Algeria (amata dalla sinistra). E ci sono state tante voci, come quella circa la nomina a primo ministro di tale Laurent Nuñez: prefetto di polizia di Parigi, responsabile della sicurezza delle Olimpiadi e figlio di pied-noir (cioè di scappati d’Algeria, l’antica base elettorale del RN). Oppure Jean-Dominique Senard: già gran manager di Renault e Michelin, specchietto per le allodole anti-casta.

Un cambiamento che cambia molto poco

Come si capisce, sinistra e destra sono entrambe invitate al banchetto, la prima essendo preferita alla seconda. A condizione che rinuncino a pretendere un proprio primo ministro (e magari pure a pretendere ministri, quanto meno LFI e RN). In cambio di un primo ministro simpatetico: più di sinistra o più di destra, ma macronico sempre.

Normale che le due invitate rispondano a Macrone che pure lui dovrebbe rinunciare a pretendere un proprio primo ministro (e magari pure a pretendere propri ministri). Socchiudendo la porta a nomi macronici ma esterni: “un nuovo primo ministro che non provenga dai partiti del blocco centrale”, ha scritto ieri il primo ministro uscente Attal. Traduzione: non un politico, ma un “tecnico competente”.

E noi sappiamo fin troppo bene – ce lo ha spiegato Mario Monti in persona – come “tecnico competente” significhi: integralista leuropeista e perfettamente indifferente a ciò che desiderano gli elettori. D’altronde, il nuovo patto di stabilità leuropeo incombe e Macrone lascia conti esteri letteralmente terrificanti.

Tale il “cambiamento” che Macrone ha detto di voler riconoscere, nel momento in cui annunciava le consultazioni; da sostenersi con la “maggioranza più ampia e stabile possibile”. Cioè, un cambiamento che cambia molto poco e sostenuto da una maggioranza che può pure non essere assoluta. Ed è a tale “cambiamento” che, di nuovo, Macrone si è riferito ieri – nella prima giornata delle consultazioni – ricevendo NFP all’Eliseo.

Un’asta al ribasso

Il NFP, sin qui, non ha accettato: pretende sempre di nominare la propria Lucie Castets e ministri anche di LFI, la propria componente estrema. Nel merito delle politiche di governo, il NFP rifiuta l’austerità fiscale e, anzi, vuole una politica espansiva.

Quanto al RN, esso ha mostrato una certa disponibilità: certamente legge per legge ma, forse, pure più in generale. In cambio di politiche contro immigrazione, da sostanziarsi con la convocazione di uno o più referendum. Ciò che PdR e PdC possono fare, di propria semplice iniziativa (Art.11 CostFR). E non si può certo escludere che tale invito alla democrazia plebiscitaria solleciti il palato del piccolo Napoleone dell’Eliseo.

Macrone, praticamente, sta conducendo un’asta al ribasso, nella quale vince chi chiede meno.

Scenari

Quanto sopra è quanto accaduto sin qui. Per l’avvenire, possiamo divertirci ad azzardare uno scenario. Per cominciare, Macrone potrebbe nominare un proprio uomo col cuore a sinistra (Cazeneuve, …), per vedere quanti socialisti sono disposti a mollare il NFP, al seguito di uno dei loro capi, Glucksmann. Correndo il rischio che non siano abbastanza, visto il tono dei più recenti comunicati di quel partito.

In caso di rifiuto, Macrone potrebbe nominare un proprio uomo col cuore a destra. Che pattuisca con RN quell’appoggio esterno che il NFP gli avrebbe nel frattempo rifiutato. Con sfumature da definirsi, magari coinvolgendo solo gli ex-LR di Ciotti oggi alleati del RN, magari pure alcuni deputati RN, chissà.

In caso di un secondo rifiuto, Macrone potrebbe nominare un “tecnico competente”. Che raccolga il suffragio di quanti non abbiano speranza di rielezione. Minacciando, in caso di un terzo rifiuto, di proclamare lo Stato di Emergenza (Art.16 CostFR); oppure dimettersi e lasciare al successore l’onere di sciogliere la Camera.

Sicché, al più tardi al terzo giro, l’esito più probabile è che un primo ministro comunque macronico raccatti in Parlamento deputati abbastanza per metter su un governo attaccato con lo sputo. Disegnato per galleggiare due anni e mezzo, sino alle prossime presidenziali.

Conseguenze

Le conseguenze dipendono da chi si sarà maggiormente compromesso con l’ultimo governo dell’ultimo Macrone. Certamente molto compromessi saranno i centristi, condannati dal tempo corto e dal patto di stabilità leuropeo.

Certamente molto compromessi saranno i socialisti di Glucksmann e quanti saranno passati al centro con lui, inseguiti dalla accusa di trasformismo, schiacciati in un amalgama che Mélenchon è pronto a definire “blocco borghese”.

Certamente non compromesso sarà Mélenchon, il quale ha pronta una procedura di destituzione del PdR (aka impeachment), che NFP può avviare da solo (Art.68). Dubbio il destino di RN, che può solo ardentemente sperare di non essere chiamato a tenere in piedi il governo con lo sputo, perciò in una spaccatura del NFP la più grande possibile.

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