Esteri

Global Britain, modello alternativo al dirigismo Ue

Con l’adesione al CPTPP Londra raccoglie i frutti della maggiore libertà post-Brexit. Sempre più marcata l’antitesi tra UK proiettato verso l’esterno e Ue arroccata su se stessa

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Il segretario di Stato per gli affari e il commercio del Regno Unito, Kemi Badenoch, ha ratificato l’adesione di Londra all’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (CPTPP) il 16 luglio ad Auckland. Il Regno Unito sarà quindi il dodicesimo firmatario del CPTPP, che in termini economici figura tra le più grandi aree di libero scambio del mondo (13,5 trilioni di dollari Usa, pari a circa il 13,4 per cento del Pil globale).

I commentatori più maliziosi potrebbero sentenziare: gli interessi della Gran Bretagna coincidono con quelli di Brunei, Malesia e Vietnam? Esistono delle affinità tra la nazione fondatrice del Commonwealth e i Paesi emergenti del sud-est asiatico? La risposta è inequivocabile: certo che sì.

La Global Britain

L’adesione al Trattato rientra nell’ambizioso disegno geopolitico della Global Britain, intrapreso con risolutezza dopo la Brexit. Un Regno Unito che può essere definito outward-looking, cioè proiettato verso l’esterno, propenso al commercio marittimo e impegnato a livello internazionale con un appetito per nuovi accordi di libero scambio (free-trade agreements, FTA).

L’espressione “Global Britain” fu coniata dal primo ministro Theresa May in un discorso del 2019, quando il Regno Unito era in procinto di uscire dal mercato unico dell’Unione europea e dall’unione doganale europea.

L’allora premier conservatrice evidenziò la necessità di “costruire relazioni con vecchi amici e nuovi alleati allo stesso modo”, puntando sulla vivace cultura imprenditoriale che ha caratterizzato la stagione thatcheriana. “The freer the markets, the freer the people” avrebbe detto icasticamente la Lady di ferro.

Il ruolo del Regno Unito nel CPTTP

Il ruolo di un attore come Londra è fondamentale nel CPTPP. Il Regno Unito potrà rappresentare il capofila di un processo di stabilizzazione nel quadrante di riferimento, facendo da contraltare alla massiva presenza predatoria cinese nella regione indo-pacifica.

A ciò si uniscono il rafforzamento della storica intesa con il Giappone, l’Australia e la Nuova Zelanda, l’estensione delle convergenze diplomatiche con le cosiddette “Asian Tigers” e l’incremento dei traffici commerciali verso Singapore, hub finanziario d’importanza strategica e quinto porto per attività su scala mondiale.

Benefici economici

Si calcola che l’accordo con gli undici partner emisferici stimolerà l’economia britannica di 1,8 miliardi di sterline nel lungo periodo. È previsto altresì un aumento salariale complessivamente pari a 800 milioni di sterline rispetto ai livelli del 2019.

Oltre il 99 per cento delle esportazioni di merci britanniche verso i Paesi aderenti al CPTPP potrà ora beneficiare di tariffe zero. L’export del Regno Unito nella regione in esame valeva già 60,5 milioni di sterline (settembre 2021-settembre 2022) ed è destinato a crescere nei prossimi mesi.

In particolare, il settore dei servizi trarrà vantaggio dalla riduzione dei vincoli burocratici e dall’accesso ai mercati in via di sviluppo del Pacifico. Entusiastico il commento del primo ministro Rishi Sunak:

Nel nostro cuore siamo una nazione aperta al libero scambio, e questo accordo dimostra i reali vantaggi economici delle nostre libertà post-Brexit. Come parte del CPTPP, il Regno Unito è ora in una posizione privilegiata nell’economia globale per cogliere le opportunità di nuovi posti di lavoro, crescita e innovazione. L’adesione al blocco commerciale CPTPP pone il Regno Unito al centro di un gruppo dinamico e in crescita di economie del Pacifico, come primo Paese non fondatore e prima nazione europea aderente al Trattato. Le imprese britanniche godranno ora di un accesso senza pari ai mercati dall’Europa al Pacifico meridionale.

Ue inward-looking

La decisione del governo britannico rimarca le distanze da un’Unione europea inward-looking e autoreferenziale, che ha scelto (incomprensibilmente) di arroccarsi al proprio interno. In effetti, la politica dell’Ue procede per antitesi rispetto all’agenda degli Esecutivi May, Johnson e Sunak.

Londra preme per rilevanti defiscalizzazioni; Bruxelles attua piani economici dirigisti e d’impronta simil-sovietica. Londra è un centro propulsivo e un crocevia tra l’Anglosfera e il resto del mondo; Bruxelles sfrutta l’alibi della continentalità per perseverare nel suo letargismo.

Il Regno Unito, infine, incoraggia policies non predatorie nei confronti dei Paesi in via di sviluppo. In Europa c’è chi, come la Francia di Macron, preferisce la pars destruens alla pars construens e si dedica allo sfruttamento neocoloniale di quattordici Stati africani.

La Global Italy di Meloni

La linea di Giorgia Meloni risulta decisamente più simile a quella di Sunak che non allo statalismo euro-centrico. Il presidente del Consiglio ha compreso che l’Italia possiede una struttura istituzionale con una forte capacità di penetrazione economica.

Il mancato rinnovo della “Via della Seta”, il memorandum d’intesa tra Cina e Italia sottoscritto nel governo Conte I, testimonia la volontà di comprimere l’influenza della Cina a livello globale. Roma ha acquisito una postura coerente con le posizioni del G7 ed è saldamente ancorata al mondo occidentale, ragion per cui Meloni intende valorizzare la dimensione esterna dell’Italia.

Nei primi quattro mesi del 2023 i dati Istat hanno confermato che il saldo manifatturiero con i Paesi extra-Ue è stato in surplus per 37,5 miliardi. La felice bilancia commerciale italiana e la posizione geografica di piattaforma naturale nel Mediterraneo ci consentono di essere protagonisti nei rapporti con l’Africa settentrionale e il Medio Oriente.

Seguire l’esempio geo-economico di Sunak gioverà senza dubbio al governo Meloni: oggi è necessaria anche una Global Italy.

Liberismo contro centralismo

La sfida è tra due modelli speculari: il liberismo anglosassone, che vede nella deregulation un’opportunità di crescita, e il centralismo europeo, asfittico e strategicamente rovinoso. Gli analisti euro-lirici saranno crucciati nel vedere che il Regno Unito post-Brexit non è capitolato come avevano previsto.

Il dominio secolare della Gran Bretagna sugli oceani ha forgiato l’identità del popolo britannico, fiero delle sue radici libertarie e cultore del progresso economico.